Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26998 Anno 2024
Ad.10/06/2024 CC
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26998 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/10/2024
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18869/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato per legge in ROMA, alla piazza INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), con domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato ROMA, alla INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) con domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di L’AQUILA n. 1968/2019 depositata il 27/11/2019.
Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 10/06/2024, dal Consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, che si occupava di impiantistica elettrica, idrica sanitaria e affini, si rivolse a NOME COGNOME, ingegnere, perché provvedesse agli adempimenti di cui al d.m. 22/01/2008 per l’emissione delle certificazioni di conformità e, nella prospettazione del COGNOME, la collaborazione doveva durare sei anni, al fine di consentirgli di acquisire i requisiti professionali per provvedere autonomamente ai detti incombenti.
L’accordo non ebbe seguito e il COGNOME, prima stragiudizialmente e quindi giudizialmente, chiese la condanna di NOME COGNOME al pagamento al COGNOME di oltre euro, affermando che glieli aveva corrisposti a titolo di anticipo.
Il COGNOME resistette alla domanda e chiese in via riconvenzionale la condanna di NOME COGNOME al pagamento oltre dodicimila euro.
Il Tribunale di Lanciano rigettò la domanda del COGNOME e accolse la riconvenzionale di NOME COGNOME per euro oltre ottomila euro (€ 8.265,00).
La sentenza venne impugnata da NOME COGNOME e la Corte d’appello di L’Aquila, nel ricostituito contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1968 del 27/11/2019, ha rigettato l’impugnazione del COGNOME.
Questi propone ricorso per cassazione con due motivi.
Risponde con controricorso NOME COGNOME.
Il Procuratore Generale non ha presentato conclusioni.
Il ricorrente ha depositato memoria per l’adunanza camerale del 10/06/2024, alla quale il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME propone i seguenti due motivi di censura:
R.g. n. 18869 del 2020 Ad. 10/06/2024; estensore: NOMECOGNOME
primo motivo, violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 e 5 cod. proc. civ., per omesso esame degli atti processuali e per avere il giudice di merito valutato le risultanze probatorie, documentali e testimoniali, conferendo loro valore diverso da quello reale;
secondo motivo, violazione degli artt. 112 e 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. per omesso esame degli atti processuali ed assenza di motivazione rispetto al criterio logico seguito per formarsi il convincimento che ha portato il giudice ad emettere la decisione, specie con riferimento alla somma riconosciuta per le ritenute di acconto non versate sui corrispettivi per le prestazioni extracontrattuali del COGNOME.
Entrambi i motivi sono, con riferimento alle censure formulate sotto il parametro dell’omesso esame di cui all’art. 360, comma 1, n. cod. proc. civ. inammissibili per plurime ragioni.
I motivi, invero, contrariamente al testo della norma di riferimento, non individuano un singolo fatto il cui esame è stato omesso, ma una pluralità di fatti, in modo peraltro, frammisto, poiché assumono che il giudici di merito non hanno valutato documenti e circostanze, in tal modo risolvendosi i motivi di ricorso in una critica generica della motivazione e nella prospettazione di una diversa valutazione di fatti, il che è normalmente precluso alla Corte di legittimità.
Inoltre, e con riferimento specifico ancora al parametro del n. 5 dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., i due motivi di ricorso non individuano, a fronte di una sostanziale coincidenza della ricostruzione fattuale dei giudici di merito di primo e di secondo grado, alcun fatto diverso di cui sia stato omesso l’esame, così incorrendo nella preclusione all’impugnazione e conseguente inammissibilità, di cui all’art. 348 ter , comma 5, cod. proc. civ. (il cui testo è, a seguito delle modifiche di cui al d.lgs. n. 149 del
10/10/2022, stato trasfuso, con riferimento al ricorso per cassazione, nell’art. 360, comma 4, codice di rito civile ).
Il vizio di cui al n. 4 dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ. sul quale si incentra il primo motivo di ricorso è insussistente, in quanto non viene individuato, nella pur estesa parte di ricorso ad esso dedicata, alcuna nullità della sentenza o del procedimento, limitandosi, ancora una volta la difesa del ricorrente alla critica apodittica della motivazione dei giudici d’appello, confermativa di quella di primo grado, secondo il vecchio schema della denuncia di omessa, carente o insufficiente motivazione, non più ammessa dal codice di rito civile.
Il primo motivo è incongruente anche con riguardo alla asserita violazione dell’art. 115 e dell’art. 116 cod. proc. civ., volta che, nella specie, non viene lamentato un vizio della sentenza impugnata sotto il profilo dell’errore percettivo, e cioè del travisamento del contenuto oggettivo della prova (in relazione alla cui portata e alla cui censurabilità in seno al giudizio di cassazione si veda ora Sez. U n. 5792 del 05/03/2024 (Rv. 670391 – 01)), censurandosi, di converso, la pronuncia impugnata esclusivamente (quanto inammissibilmente) sotto l’aspetto della erronea valutazione del merito dei fatti di causa.
Quanto alla censura relativa alla pretesa violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., osserva, infine, il collegio che, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nelle sentenze nn. 8053 e 8054 del 7/04/2014 (secondo cui: «la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza della motivazione»), il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, non essendo incasellabile né nel paradigma del n. 5 né in quello del n. 4 (per il tramite della deduzione della violazione del n. 4 dell’art. 132 cod. proc. civ. nei termini ora indicati), la motivazione della sentenza impugnata si pone ampiamente al di sopra del «minimo costituzionale» di cui è cenno nelle ricordate pronunce, né risulta affetta da insanabili vizi logici o inemendabili contraddizioni, di tal che la censura, in parte qua , non trova di per sé alcun diretto referente normativo nel catalogo dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione.
Di oscura comprensione è anche la parte di censura, di cui al secondo motivo di ricorso, relativa alla prova del mancato esborso delle somme per le ritenute di acconto sui corrispettivi per le prestazioni extracontrattuali espletate dal COGNOME e che invece sono state riconosciute come dovute: dagli stralci degli atti difensivi di primo e secondo grado riportati in ricorso non risulta, invero superata l’affermazione della Corte d’appello dell’essere stata la questione tardivamente introdotta in causa, poiché proposta soltanto in appello e, dunque, preclusa alla stregua dell’art. 345 , comma 1, cod. proc. civ. nel testo all’epoca vigente .
Il sindacato sulla motivazione, che pure l’intestazione del detto motivo richiede, è precluso dalla già richiamata giurisprudenza nomofilattica (Sez. U n. 8053 e 8054 del 07/04/2014), in quanto la
motivazione della sentenza , come detto poc’anzi, supera ampiamente il cd minimo costituzionale.
In conclusione, tutti i motivi sono inammissibili
Il ricorso è, pertanto, rigettato.
Le spese di lite di questa fase di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate, in favore del controricorrente , come da dispositivo, tenuto conto dell’attività processuale espletata in relazione al valore della controversia.
La decisione di inammissibilità del l’impugnazione comporta che deve attestarsi, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente e in favore del competente Ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente e in favore del competente Ufficio di merito , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte di