Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 29030 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 29030 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 18252/2024 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Foggia, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO , che lo rappresenta e difende , unitamente all’AVV_NOTAIO, giusta procure speciali in atti.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la SENTENZA, n. cron. 82/2024, depositata dalla CORTE D’APPELLO DI BARI il 24/01/2024.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 22/10/2025 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto ritualmente notificato, NOME COGNOME citò RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a. (dante causa di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a.) dinanzi al Tribunale di Foggia, esponendo, in fatto, di avere promosso, con precedente giudizio presso il medesimo tribunale – sezione distaccata di Lucera, una opposizione, ex art. 615 cod. proc. civ., ad un precetto di pagamento notificatogli dalla menzionata banca il 17 settembre 2004, per la somma di € 83.521,64, in forza di un contratto di mutuo ipotecario del 17 maggio 2000 per mancato pagamento di due rate dello stesso. A supporto di tale opposizione aveva allegato l’impossibilità sopravvenuta della prestazione di pagamento delle rate a causa del carattere eccezionale di eventi calamitosi (alluvione e terremoto) che avevano interessato la provincia foggiana nel periodo gennaio-aprile 2003, gravemente compromettendo la redditività dell’azienda agricola di cui lui era titolare. Pertanto, aveva invocato le vigenti disposizioni di cui al decreto ministeriale del 2 febbraio 2004 sui danni al sistema agricolo, espressamente richiedendo il posticipo della scadenza di pagamento del mutuo, usufruendo delle agevolazioni di legge predette, conseguendone, così, la mancanza di titolo, da parte della creditrice precettante, per agire in suo danno ed invocando la dichiarazione di nullità dell’opposto precetto . Richieste, tuttavia, non accolte dall’ad ito tribunale lucerino che, con sentenza del 24/3/06, aveva rigettato l’opposizione con le conseguenziali statuizioni di rito.
Dedusse, inoltre che, con altro e successivo giudizio, aveva proposto anche un’azione di accertamento del saldo del rapporto bancario, acceso presso la filiale di Apricena, sul quale era appoggiato il mutuo suddetto, con esito positivo, essendosi accertata, con sentenza del 16 aprile 2014, l’esistenza di un saldo attivo in suo favore, pari ad € 17.591,23, tanto escludendo qualsiasi pretesa creditoria della banca all’epoca dell’intimato precetto. A tale accertamento, seguiva un ulteriore giudizio di opposizione all’esecuzione immobiliare, nelle more promossa dalla RAGIONE_SOCIALE predetta, finalizzato all’accertamento della sopravvenuta carenza del titolo esecutivo, definito con sentenza del 2 novembre 2016, di accoglimento, con dichiarazione d’inesistenza del diritto in capo alla procedente.
Tanto premesso, chiese la revocazione della prima sentenza n. 117/2009 (quella con cui era stata rigettata la proposta opposizione a precetto per asserita impossibilità sopravvenuta all’esecuzione della prestazione avente ad oggetto il pagamento delle rate del mutuo in scadenza) in quanto frutto di dolo da parte della banca, con le conseguenziali statuizioni di rito.
Costituitasi la convenuta, che contestò l’avversa pretesa concludendo per la sua inammissibilità, il Tribunale di Foggia, cui nelle more era stato trasferito il giudizio per l’avvenuta soppressione della sezione distaccata, con sentenza del 9 ottobre 2018, rigettò la domanda dell’attore e lo condannò all a refusione delle spese di lite processuali, supportando tale conclusione con la ritenuta inammissibilità rituale ed infondatezza nel merito della domanda stessa.
Il gravame promosso dal COGNOME avverso quella decisione fu respinto dall’adita Corte di appello di Bari, con sentenza del 24 gennaio 2024, n. 82, pronunciata nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.a. (quale incorporante RAGIONE_SOCIALE), che ritenne infondati tutti i formulati motivi di gravame.
Per la cassazione di questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso affidandosi a due motivi. RAGIONE_SOCIALE è rimasta solo intimata.
In data 11/12 dicembre 2024, il consigliere delegato ha depositato una proposta di definizione anticipata del giudizio ex art. 380bis cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Con istanza del 21/22 gennaio 2024, il RAGIONE_SOCIALE ha chiesto la decisione del loro ricorso, altresì depositando memoria ex art. 380bis .1 in prossimità della odierna adunanza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione e falsa applicazione dell’art. 395, comma 1, n. 1) c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., laddove (e la seguente dimostrazione vale come sufficiente enunciazione del motivo): a) la Corte di merito non ha considerato che la sentenza n. 117/2009 è stata l’effetto del dolo della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a. in danno di COGNOME NOME consumato nella
consapevolezza di aver consumato i comportamenti contrattuali sanzionati con la sentenza la n. 3288/2016, pubblicata il 21 novembre 2016, recante il seguente dispositivo: ‘ P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: dichiara l’inesistenza del diritto di Banc a RAGIONE_SOCIALE s.p.a., Unicredit s.p.a., RAGIONE_SOCIALE Popolare di Milano e RAGIONE_SOCIALE Popolare di Puglia e Basilicata di procedere ad esecuzione forzata nei confronti di COGNOME ‘ ; b) tali comportamenti contrattuali costituenti il dolo rilevante sono stati descritti nella sentenza n. 3288/2016, a pag. 2, in modo inequivocabile: ‘ Il Tribunale di Foggia Articolazione Territoriale di Lucera, con sentenza n. 346/2014 pubblicata il 16.4 2014, passata in giudicato, ha accertato la nullità parziale del contratto di apertura di credito in conto corrente n. 245598 intercorso tra RAGIONE_SOCIALE NOME e RAGIONE_SOCIALE A pulia e, per l’effetto, ha rideterminato il rapporto dare -avere tra le parti rilevando, alla data di chiusura del conto, un saldo attivo di euro 17.591,23 a favore del correntista . Il contratto di mutuo ipotecario posto da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a fondamento della procedura esecutiva n. 138/04 r.g.e. Trib. Lucera è stato stipulato, per espressa ammissione dell’istituto bancario, all’esclusivo fine di ripianare l’esposizione debitoria maturata dal mutuatario sul conto corrente, ed il pagamento delle rate di mutuo è avvenuto, per espressa previsione contrattuale, mediante prelievo diretto degli importi corrispondenti dallo stesso conto corrente ‘ ; ‘ Nel caso di specie, il titolo contrattuale azionato dalla creditrice procedente RAGIONE_SOCIALE è dunque affetto da nullità ‘derivata’ dal sopravvenuto accertamento giudiziale dell’inesistenza del saldo passivo di conto corrente ‘ ; c) pertanto (secondo l’insegnamento di Cass. n. 2989/2016, Cass. n. 4008/2004, Cass. S.U. 11 gennaio 2008 n. 576) il termine perentorio per proporre la revocazione per dolo ex art. 396, comma 1, n. 1), c.p.c. decorre ai sensi dell’art. 326 c.p.c. dalla scoperta del dolo. Dev e trattarsi ‘ di scoperta effettiva, completa e riconoscibile, essendo tale solo quando si sia acquisita la ragionevole certezza -non essendo sufficiente il mero sospetto -che il dolo vi sia stato ed abbia ingannato il giudice, fino a determinarne statuizioni diverse da quelle che sarebbero state adottate a conclusione di un dibattito
corretto ‘ . Come per la decorrenza del termine prescrizionale per la richiesta del risarcimento del danno da fatto illecito, si deve far riferimento al momento della percezione del danno ingiusto conseguente al comportamento illecito posto in essere dalla controparte processuale: qui si deve tenere in considerazione la data della percezione del dolo, inteso nella sua accezione di scoperta effettiva e completa. Nel caso in questione, la data della percezione del dolo può essere individuata nella data di pubblicazione della predetta sentenza n. n. 3288/2016, la quale ha sanzionato il carattere fraudolento, usurario, e comunque illecito della condotta dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a. nell’ambito del giudizio iscritto al R.G. n. 950/2004 del Tribunale di Lucera che ha avuto come effetto la sentenza n. 117/2009 e la conseguente procedura esecutiva immobiliare a danno di NOME COGNOME»;
II) « Violazione e falsa applicazione dell’art. 398, comma 2, c.p.c. e dell’art. 183, comma VI, c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) e 4), c.p.c., nonché per violazione del diritto costituzionale di difesa processuale probatoria, laddove (e la seguente dimostrazione vale come sufficiente enunciazione del motivo) le sentenze di merito hanno impedito all’odierno ricorrente di completare la produzione dei documenti in suo possesso nonostante il secondo comma dell’art. 398 c.p.c. di sponga inequivocabilmente che ‘ la citazione deve indicare, a pena di inammissibilità, il motivo della revocazione e le prove relativa alla dimostrazione dei fatti di cui ai numeri 1 dell’art. 395 ‘. Nel caso in questione, in allegato all’atto di citazione del primo grado del giudizio vi era comunque la copia della sentenza n. 3288/2016 del Tribunale di Foggia, pubblicata il 21 novembre 2016».
Va rilevato, innanzitutto, che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore:
« 1. Entrambi i motivi di ricorso, per come concretamente argomentati, si rivelano inammissibili.
1.1. Essi, infatti, non si confrontano in alcun modo con le puntuali rationes decidendi come concretamente motivate dalla corte territoriale, sicché difettano di specificità, atteso che, come del tutto condivisibilmente chiarito da Cass. n. 21563 del 2022 (cfr. pag. 8 e ss. della motivazione), da Cass. n.
35782 del 2023 (cfr. pag. 41 e ss. della motivazione) e da Cass. n. 25495 del 2024 (cfr. pag. 7-8 della motivazione), «l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, non solo “di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione” , ma anche “di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01), confrontandosi sempre con l’effettivo ” decisum ” che sorregge la sentenza impugnata. Difatti, il motivo di impugnazione “è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo”, sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione, “tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4), cod. proc. civ.” (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564- 01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonché, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01)».
1.1.1. In altri termini, i motivi suddetti si rivelano privi di una specifica censura giuridica e logica alla motivazione della sentenza impugnata, nelle parti qui di interesse, perché, piuttosto che esplicitare, in maniera puntuale, le ragioni per cui essa sarebbe errata (confrontandosi concretamente, dunque, con le sue argomentazioni in diritto e confutandole), sostanzialmente si limitano a richiamare le stesse argomentazioni e le medesime deduzioni articolate negli atti difesivi dei gradi di merito già scrutinate e ritenute infondate dalla corte di appello. Sotto questo punto di vista, quindi, i presenti motivi appaiono una mera ripetizione delle difese che, ove questa Corte giungesse all’esame funzionale degli stessi, dovrebbero ritenersi già (peraltro correttamente) respinte.
1.2. A tanto va solo aggiunto che il giudizio legittimità non può essere trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 19423, 25495 e 26871 del 2024)» .
Il Collegio reputa affatto condivisibile tali conclusioni, che, pertanto, ribadisce interamente, facendole proprie, altresì evidenziando che le stesse non sono state specificamente confutate dalla parte ricorrente, limitatasi unicamente a chiedere la decisione del ricorso ed a depositare una memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. in sui si assume, esclusivamente, che le argomentazioni di cui alla descritta proposta « appaiono al ricorrente del tutto errate e inaccettabili perché il n. 4) del primo comma dell’art. 366 c.p.c. si limita a dire: ‘Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità 4) la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano’, nient’altro. Il ricorrente ha il diritto che la Corte Suprema legga le pagine del ricorso di
NOME COGNOME (pagine da 1 a 9), dove c’è la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si è chiesta la cassazione della sentenza di merito impugnata » .
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia quanto alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo RAGIONE_SOCIALE rimasta solo intimata.
4.1. Alla stregua di quanto sancito, affatto condivisibilmente, dalla qui condivisa giurisprudenza di questa Corte ( cfr., ex aliis , Cass., SU, n. 27195 del 2023; Cass. n 27947 del 2023; Cass. nn. 5243 e 26383 del 2024; Cass. nn. 7385 e 8668 del 2025) -secondo cui, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), nel caso in cui il giudizio in conformità alla proposta, l’omessa costituzione dell’intimato, se da un lato preclude la statuizione ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ. (non ricorrendo una situazione che consenta una pronuncia sulle spese), dall’altro ne impone la condanna al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di cui all’art. 96, comma 4, cod. proc. civ., alla stregua dell’autonoma valenza precettiva del richiamo a tale ultima disposizione, contenuto nel citato art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ., che si giustifica in funzione della ratio di disincentivare la richiesta di definizione ordinaria a fronte di una proposta di definizione accelerata (esigenza che sussiste anche nel caso di mancata costituzione dell’intimato) –NOME COGNOME va condannato
al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
4.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME e lo condanna al pagamento della somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME