Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16802 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16802 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16335 -2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Milano, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che le rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO COGNOME, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 4752/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, pubblicata il 5/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/11/2023 dal consigliere COGNOME;
lette le memorie delle controricorrenti;
rilevato che:
con atto di citazione per querela falso notificato in data 11 marzo 2015, NOME COGNOME convenne in giudizio dinnanzi al Tribunale di Milano le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e, premesso che la Compagnia era receduta dal rapporto di agenzia con lui intercorso addebitandogli gravi inadempimenti contrattuali e, in particolare, l’avvenuta falsificazione, da parte dei suoi subagenti sulla cui condotta egli avrebbe dovuto vigilare, degli attestati di rischio relativi alla stipulazione di 600 polizze, oltre alla conclusione di contratti assicurativi al di fuori della zona dell’incarico agenziale , chiese fosse dichiarata la falsità del contratto di agenzia del verbale recante il risultato delle operazioni di rilascio dei documenti attestanti il suo incarico agenziale, compiute in data 10 gennaio 2000 e della sottoscrizione di 600 polizze (documenti tutti prodotti nel precedente giudizio in cui era stata accertata la giusta causa di recesso, con efficacia di giudicato);
con il deposito di una successiva «comparsa di intervento», quindi, COGNOME chiese fosse dichiarata la falsità dei 600 attestati di rischio prodotti dalle convenute società nel procedimento precedentemente instaurato;
con sentenza n. 168272016, il Tribunale di Milano rigettò tutte le domande;
c on sentenza n. 4752/2018, la Corte d’appello di Milano rigettò l’appello proposto da NOME COGNOME , ritenendo inammissibile
per sua formulazione il motivo di impugnazione relativo alla falsità del contratto di agenzia, nonché inammissibile per difetto di interesse la querela di falso proposta per le 600 polizze e, quanto della falsità dei relativi 600 attestati di rischio, l’ irritualità della proposizione della relativa domanda;
avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, affidandolo a quattro motivi, a cui RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con controricorso;
considerato che:
il primo motivo è rubricato quale denuncia di «nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui agli art. 100, 112, 161, 183, 184, 189, 221, 224 cod. proc. civ. cod. proc. civ., 1342, 1418 cod. civ., i n relazione all’art. 360 comma I n. 4 cod. proc. civ. e, in via subordinata, violazione e falsa applicazione degli art.131 (cod. proc. civ.) e 1342, 1414, 1414, 1421, 2724 cod. civ. in rela zione all’art.360 n. 3»;
il secondo motivo è rubricato quale denuncia di «violazione e falsa applicazione degli art. 2702 cod. civ. e 221 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ.»;
il terzo motivo è rubricato quale denuncia di «violazione e falsa applicazione degli art. 2702, 2712 e 2719 cod. civ. e degli art. 214, 215, 221 cod. proc. civ. e 24 Cost. nonché il vizio di omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto decisivo ex art. 360 n. 5»;
il quarto motivo è rubricato quale denuncia di «violazione e falsa applicazione degli art. 221, 244 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ.»;
di là di questa formulazione delle rubriche, in nessuno dei quattro motivi, tuttavia, è individuabile una censura conferente alla motivazione della sentenza impugnata, perché vi sono soltanto affastellati, in modo
farraginoso e non pertinente, più fatti relativi ai rapporti intercorsi con le Compagnie e ai precedenti giudizi e vi sono richiamati in modo non conseguenziale più istituti e principi di diritto di cui non risulta intellegibile la rilevanza nella fattispecie;
le S.U. di questa Corte hanno chiarito (ordinanza n. 37552 del 30/11/2021) che «il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 cod.proc. civ.»; l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione che si risolva, come proprio accade nella fattispecie, in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 cod. proc.civ.;
-il ricorso deve essere, perciò, dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al rimborso delle spese processuali in favore delle società controricorrenti, liquidate in dispositivo in applicazione dei parametri di valore indeterminabile;
-la dichiarazione di inammissibilità del ricorso implica che il provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato sia suscettibile di revoca, sicché deve comunque essere dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto,
perché spetterà all’amministrazione giudiziaria competente verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Sez. U, Sentenza n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE , delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione