Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19289 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19289 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 25091-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE Società con socio unico, soggetta all’attività di direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 285/2019 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 06/02/2020 R.G.N. 399/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 25091/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 15/04/2025
CC
Rilevato che
La Corte d’appello di Cagliari, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato il diritto di NOME COGNOME ad essere inquadrata con decorrenza di legge nel livello superiore Area B- Quadri -profilo professionale ‘ Professional’ ( già Area Funzionale V Quadri, parametro 220 – profilo professionale Capo Stazione Sovrintendente) per le mansioni svolte sin dal febbraio 2005 presso la Stazione di Oristano quale Dirigente di Movimento ed ha condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle differenze retributive per l’8° livello, calcolate secondo le tabelle retributive applicate per ciascun anno <> oltre accessori.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE (da ora RAGIONE_SOCIALE; la parte intimata ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno comunicato memoria.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione degli artt. 99, 112 e 434 c.p.c. denunziando nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione. Rappresenta che la lavoratrice nel ricorso in appello aveva censurato la sentenza di primo grado, di rigetto della pretesa azionata, facendo valere due profili: a) la violazione della prassi aziendale di RFI secondo la quale il personale addetto a mansioni di Dirigente di Movimento, almeno fino all’accordo sindacale del 26.2.2013, era inquadra to nell’8° livello (c.c.n.l. 1990/1992) poi confluito nel V livello ( c.c.n.l.1998) ed infine nella classificazione Area B) Quadri, profilo ‘Professional’; b) la concreta riconducibilità delle
mansioni espletate al livello reclamato. La Corte distrettuale, respinto nel merito il secondo profilo di censura, aveva mostrato di fondare il riconoscimento della pretesa non sulla causa petendi effettivamente dedotta, concernente la verifica della asserita prassi aziendale rilevando a tal fine la condotta unilaterale della parte datoriale, bensì sull’accordo sindacale stipulato nel 1991 circa l’organico delle stazioni di Oristano e Macomer, accordo che non era stato modificato per tutti gli anni 2000. Tanto aveva determinato la sostituzione a quella invocata dalla lavoratrice di una differente causa petendi .
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente deduce violazione dell’art. 414 c.p.c., anche in relazione agli artt. 416 e 420 c.p.c. nonché agli artt. 99, 101, 112, 276 comma 2 c.p.c. e all’art. 24 Cost. ; censura la sentenza impugnata per avere posto a base della decisione il documento denominato ‘Accordo Aziendale 26/2/2013’, tardivamente prodotto solo in data 3.7.2015, epoca successiva alla costituzione delle parti, documento del quale essa RFI aveva immediatamente eccepito la inammissibilità con deduzione reiterata in seconde cure.
3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
3.1. La sentenza impugnata, per quel che qui rileva, ha mostrato di conferire rilievo decisivo alla previsione organizzativa della società datrice di prevedere come Dirigente il movimento nella stazione di Oristano personale di 8° livello; ciò fino all’acc ordo modificativo sulla composizione delle piante organiche raggiunto in fine con l’Accordo del febbraio 2013. Tanto premesso, le doglianze articolate con il motivo in esame presentano un profilo di inammissibilità, per violazione del disposto dell’art. 36 6, comma 1 nn. 3 e 6 c.p.c. , collegato alla
carente esposizione del fatto processuale con particolare riferimento al l’intero contenuto della domanda azionata in primo grado dalla lavoratrice ed alle deduzioni sul punto articolate dal RFI nella memoria di costituzione; tanto impedisce a questa Corte di legittimità la verifica del corretto inquadramento della fattispecie in particolare in relazione alle ragioni di fatto e di diritto fatte valere con la originaria domanda; in relazione al contenuto dell’atto di appello della lavoratrice si rileva poi che la trascrizione solo parziale di alcuni brani dello stesso, peraltro riportati in maniera incompleta stante le omissioni denunziate dal frequente ricorso ai ‘ puntini sospensivi ‘ , non consente alcuna reale verifica del denunziato difetto di attività della Corte di merito. Come ben evidenziato dalla parte controricorrente, il riferimento alla ‘prassi aziendale’ nelle difese di seconde cure della lavoratrice ben poteva configurare un’ espressione riassuntiva della più ampia tematica adombrata – secondo quanto riferito dalla parte controricorrente- con il ricorso di primo grado ed incentrata, in sintesi, nel fatto che RFI per alcune stazioni ritenute di maggiore importanza e dimensione, quale, per come pacifico, quella di Oristano, aveva previsto la figura di Capo Stazione Sovraintendente di 8° livello. In questa prospettiva risulta coerente nella sentenza impugnata il riferimento all’accordo sindacale stipulato nel 1991 circa l’organico previsto per le stazioni di Ori stano e Macomer, senza che ciò determini una modifica di causa petendi atteso che l’accordo in questione appariva riconducibile all’ambito della ‘prassi aziendale’ evocata, vale a dire quella di prevedere per alcune stazioni in relazione alle relative caratteristiche, evidentemente da individuarsi sulla base di accordo sindacale,
la figura del Capo Stazione sovraintendente per il Dirigente del movimento.
3.2. A prescindere da tale considerazione resta assorbente al fine del mancato accoglimento del motivo il rilievo del difetto di specificità dello stesso. Secondo consolidati arresti del giudice di legittimità, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla S.C. ove sia denunciato un “error in procedendo”, come nel caso di specie, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'”iter” processuale senza compiere generali verifiche degli atti (v. tra le altre, Cass. n. 23834/2019, Cass. n. 11738/2016, Cass. n. 19410/2015). In particolare, è stato precisato che nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti
processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Cass. n. 28072/2021, Cass. n. 15367/2014, Cass. n. 6361/2007), onere nello specifico non adempiuto.
Il secondo motivo di ricorso deve essere anch’esso respinto per ragioni in rito. Invero la denunzia di omessa pronunzia sulla eccezione di inammissibilità della produzione documentale, nella quale si sostanzia la censura concretamente formulata con il motivo in esame (v. in particolare ricorso, pag. 14, terz’ultimo cpv) , è inammissibile valendo il principio che essa è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito e non anche di questioni processuali (cfr., tra le altre, Cass. n. 25154/2018, Cass. 1876/2018, Cass. n. 22083/2013); deve altresì osservarsi che la valutazione del documento si configura quale implicita espressione della relativa indispensabilità che ne giustificava l’acquisizione nell’esercizio dei poteri istruttori di ufficio di cui all’art. 421 c.p.c. .
All’inammissibilità del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite e la condanna della ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre
spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 15 aprile 2025