Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10061 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10061 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16174-2021 proposto da:
NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
REGIONE CAMPANIA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso L’UFFICIO DI RAPPRESENTANZA DELLA REGIONE CAMPANIA, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Retribuzione pubblico impiego
R.G.N.16174/2021
COGNOME
Rep.
Ud.20/02/2025
CC
avverso la sentenza n. 3651/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 09/12/2020 R.G.N. 968/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
con sentenza del 16 ottobre 2019 la Corte d’appello di Napoli riformava la decisione del Tribunale della stessa sede, accogliendo il gravame della Regione Campania e revocando il decreto ingiuntivo emesso in favore dell’avv. NOME COGNOME -dipendente appartenente al ruolo degli avvocati dell’ente per l’ammontare di euro 40.666,67 oltre accessori, a titolo di indennità speciale per gli anni 2012-2014;
la Corte territoriale rilevava anzitutto l’inadeguatezza contenutistica della delibera n. 196/2015 della G.R. Campania, la quale non era affatto attuativa del giudicato del Tar (sent. n. 1196 del 20/2/2015), come peraltro già affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 1507/2016;
tale delibera, nel riconoscere un’indennità speciale annua lorda di €. 16.000, 00, non si uniformava all’art. 40 comma 3 (e 30 comma 2) del reg. regionale n. 12/2011 che consentiva sì di individuare, con specifica motivazione, posizioni retributive ma pur sempre a fronte dell’istituzione di correlate ‘posizioni organizzative’ di alta professionalità non dirigenziale, come chiarito nello stesso regolamento;
la Corte distrettuale osservava che il credito in parola non era neppure liquido, in quanto non si comprendeva se l’ammontare indicato nella delibera in menzione fosse globale o individuale (cosa
che la remunerazione della elevata professionalità in sé richiederebbe);
la Corte d’appello aggiungeva, infine, che erano noti i limiti (ribaditi da Corte cost. n. 175/2016) alla potestà normativa regionale con riguardo alla materia dell’ordinamento civile, sicché, non potendo esserci spazio di disciplina regionale del trattamento economico del personale dipendente mediante attribuzione di indennità non previste dalla contrattazione collettiva, l’art. 40 co mma 3 del reg. n. 12/2011, cit., doveva intendersi alla luce dei detti principi e sottostare alla fonte statale (art. 117 co. 2 lett. l) Cost.) e collettiva (art. 2-45 del t.u.p.i.), fatto salvo quanto stabilito dall’art. 40 co mma 3 quinquies del d.lgs. n. 165/2001 in ordine alla destinazione di (ulteriori) risorse regionali alla contrattazione integrativa;
4. contro tale sentenza propone ricorso per cassazione la lavoratrice sulla base di tre motivi cui si oppone con controricorso la Regione Campania.
CONSIDERATO CHE:
1. con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione ‘ di norme di diritto ‘ e si richiama la pronuncia di primo grado che aveva ritenuto la completezza della delibera G.R. n. 196/2015, perché ricognitiva del diritto all’indennità speciale degli avvocati interni ed attuativa della normativa regionale e dello stesso giudicato amministrativo, senza che in contrario potesse invocarsi l’obiter contenuto nella sentenza n. 1507/2016 del Consiglio di Stato che -a parere della ricorrente si era lasciata andare a indebiti ‘sconfinamenti’;
1.1 il motivo è inammissibile,
non è, infatti, formulato nel rispetto dei prescritti requisiti di specificità, se è vero che l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., a pena
d’inammissibilità della censura, non solo «di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione» (ciò che nella specie non è avvenuto), ma anche «di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che il ricorrente è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo» (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01);
col secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. nonché «omesso esame di un fatto storico ex articolo 360 n. 5 cod. proc. civ.»;
la sentenza impugnata non spendeva ‘un rigo’ sull’opera di ‘smantellamento normativo’ perseguita dalla regione Campania mediante la deliberazione di G.R. n. 536/2016, afferente alla modifica dell’art. 30 del reg . regionale n. 12/2011, e la deliberazione n. 728/2016 recante la dichiarazione di invalidità della delibera n. 196/2015, sui cui si fondava in sostanza la pretesa della ricorrente;
la Corte di merito aveva ignorato l’intervenuto ‘annullamento dell’auto -annullamento’ da parte del Tar ( con la sentenza n. 2866/2017) il quale aveva affermato che la delibera n. 196/2015 era pienamente valida ed efficace;
2.1 il motivo è inammissibile perché formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ.; la ricorrente, infatti, pone a fondamento della censura una serie di delibere e/o sentenze ma non ne trascrive nel ricorso il contenuto né indica dove, quando e da chi i documenti de quibus sono stati prodotti nel giudizio di merito;
la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che «il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte» (Cass. 12.12.2014 n. 26174 e negli stessi termini Cass. 28.9.2016 n. 19048 e Cass. 7.6.2017 n. 14107);
la censura è inammissibile anche laddove denuncia il vizio d ‘omesso esame circa un punto decisivo della controversia, in quanto non corrisponde al paradigma di cui al novellato art. 360, n. 5, cod. proc. civ., come interpretato da Cass., Sez. Un., n. 8053/2014, il quale prevede l'”omesso esame” come riferito ad ‘un fatto decisivo per il giudizio” , ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storiconaturalistico (cfr., Cass., n. 2268 del 2022), non assimilabile in alcun modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’, quali quelle interpretative dedotte nella critica in esame, che, pertanto, risultano irrilevanti a tali fini, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass. n. 31332/2022);
analogamente, va disatteso il rilievo sul difetto del requisito di cui all’art. 132 cod. proc. civ., che si configura, infatti, solo qualora la motivazione o manchi del tutto -nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione -ovvero
esista formalmente come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum; esula, invece, dal vizio di violazione di legge la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito;
nella specie, la sentenza impugnata è congruamente motivata in ogni suo aspetto, come si evince agevolmente dalla ricostruzione contenuta nella narrativa in fatto;
col terzo motivo si invoca il buon «governo degli esborsi e competenze professionali in quanto all’auspicato accoglimento del ricorso dovrà accedere indefettibile condanna di controparte alla rifusione delle spese»;
5.1 al di là dell’infelice tecnica di formulazione, trattasi in realtà di un ‘non motivo’ poiché si chiede null’altro che l’applicazione del la regola della soccombenza laddove il ricorso venisse, in ipotesi, accolto, il che è da escludere per le ragioni tutte dianzi esposte;
conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile; spese di legittimità, liquidate in dispositivo, secondo soccombenza.
P.Q.M.
La Corte: dichiara inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che liquida in €. 5.000,00 per compensi ed €. 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di