Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 23691 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 23691 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1745/2024 R.G., proposto da
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME domiciliato ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso,
–
ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA ,
-intimato
–
per la cassazione del decreto n. 5107/2023 del Tribunale di Catanzaro pubblicato il 5.7.2023;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18.6.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 35ter , comma terzo, della legge n. 354 del 26 luglio 1975 sull’ Ordinamento penitenziario, NOME COGNOME conveniva dinanzi al Tribunale di Castrovillari il Ministero della Giustizia, al fine di
Ristoro ex art. 35- ter della legge n. 354 del 1975.
chiederne la condanna al pagamento della somma di euro 19.408,00, per essere stato sottoposto, dal 21 luglio 2010 al 12 marzo 2017, a carcerazione in condizioni contrastanti con l’art. 3 CEDU presso ciascuna delle case circondariali nelle quali aveva scontato la pena della reclusione.
Riassunto il giudizio dinanzi al Tribunale di Catanzaro a seguito della dichiarazione di incompetenza del Tribunale di Castrovillari, il ricorrente deduceva che le celle all’interno delle quali era stato ristretto in ciascun periodo di detenzione: a) non garantivano uno spazio minimo di abitabilità; b) erano dotate di una piccola finestra che non consentiva un congruo passaggio di luce e areazione; c) il riscaldamento era inadeguato ovvero inesistente; d) i bagni erano sprovvisti di acqua calda, doccia e bidet, oltreché insufficientemente illuminati; e) aveva trascorso circa venti ore al giorno in cella; f) nel loro complesso le celle erano sporche e degradate e, in talune occasioni, infestate da scarafaggi e insetti.
Il Ministero della Giustizia, richiamate le difese svolte nel giudizio dinanzi al Tribunale di Castrovillari, in via preliminare eccepiva la prescrizione del diritto per decorso del termine quinquennale, con riferimento al periodo di detenzione anteriore ai cinque anni precedenti la notifica del ricorso, in considerazione della natura extracontrattuale della responsabilità dell’ amministrazione. Nel merito, il Ministero eccepiva la compensazione tra il credito preteso dal ricorrente con quello vantato dall’amministrazione per il mantenimento in carcere; in subordine, chiedeva la riduzione del quantum perché eccessivo e sproporzionato.
Il Tribunale di Catanzaro con decreto n. 5107/2023, pubblicato il 5.7.2023, accertava che la detenzione del ricorrente presso le Case circondariali di Rossano e Torino per 129 giorni non era stata conforme all’art. 3 CEDU, con conseguente diritto del ricorrente alla liquidazione dell’indennizzo di euro 1.032,00, ma che il Ministero della Giustizia vantava un credito per mantenimento di euro 3.652,09 e, previa compensazione tra le due poste, dichiarava che nulla spettava al ricorrente per la causale indicata, compensando le spese di lite.
Per la cassazione del decreto del Tribunale di Catanzaro ricorre NOME COGNOME sulla base di tre motivi. Il Ministero della Giustizia è rimasto
intimato.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve essere rilevato che la notifica al Ministero della Giustizia è stata effettuata dal ricorrente presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato e non presso l’Avvocatura Generale dello Stato in violazione dell’art. 11, comma primo, r.d. 1611/1933 (v. ex multis Cass., sez. 6-III, 24 giugno 2020, n. 12410; Cass., Sez. Un., 15 gennaio 2015, n. 608; Cass., sez. II, 17 ottobre 2014, n. 22079).
Sebbene la notifica al Ministero della Giustizia sia nulla, poiché, per quanto si dirà, il ricorso è inammissibile, è superfluo ordinare la rinnovazione della notifica, giacché nessun vantaggio ne potrebbe derivare al resistente pretermesso. Questa Corte ha già più volte affermato che ove sussistano cause che impongono di disattendere il ricorso, è esentata, in applicazione del principio della “ragione più liquida”, dall’esaminare le questioni processuali concernenti la regolarità del contraddittorio o quelle che riguardano l’esercizio di attività defensionali delle parti poiché, se anche i relativi adempimenti necessari non fossero stati regolarmente effettuati, la loro rinnovazione o effettuazione sarebbe ininfluente ed anche lesiva del principio della ragionevole durata del processo (v., tra le tante, Cass., sez. II, 18 aprile 2019, n. 10839; Cass., Sez. Un., 18 novembre 2015, n. 23542; Cass., sez. II, 10 maggio 2018, n. 11287; Cass., Sez. Un., 22 marzo 2010, n. 6826; Cass., sez. 6-III, 24 maggio 2013, n. 12995).
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘E rrore di fatto in merito al presunto credito vantato dal Ministero della Giustizia per spese di mantenimento in carcere ‘ .
Il ricorrente osserva che a seguito di richiesta di remissione del debito i crediti vantati dall’amministrazione sono stati azzerati dall’Ufficio di Sorveglianza di Cosenza con ordinanza n. 2018/658 del 19.4.2018 e dall’Estratto di Ruolo dell’Agenzia delle Entrate . La cartella esattoriale n. 03420170010873791, notificata il 9.10.2017, successivamente azzerata per remissione del debito, pur recando come ente creditore la Casa Circondariale di Avellino , afferiva all’intero periodo di detenzione.
2.1. Il motivo è inammissibile.
In via preliminare, deve essere rilevato come il ricorrente, oltre ad aver espressamente rubricato il motivo, al pari dei successivi, come volto a denunciare un errore di fatto, così da esporsi al riferito rilievo, nella redazione della censura abbia completamente omesso di provvedere al relativo inquadramento. Scorrendo il sommario riportato a pagina 1 del ricorso, tuttavia, è possibile leggere: ‘ 2.1) primo motivo di impugnazione pag. 13, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art 2697 c. c., in merito al presunto credito vantato dal Ministero della Giustizia per spese di mantenimento in carcere’ . Soltanto così si può ritenere che la censura esposta poggi su una pretesa violazione dell’art. 2697 cod. civ. e sull’omessa valutaz ione di un fatto decisivo ai fini del giudizio ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.
Un tanto premesso, la violazione dell’art. 2697 cod. civ. è dedott a in maniera impropria alla stregua del principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte, ai sensi del quale la violazione dell’articolo 2697 cod. civ. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed
eccezioni (v. Cass., sez. un., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto; Cass., 6-III, 23 ottobre 2018, n. 26769; sez. lav., 19 agosto 2020, n. 17313; 15 ottobre 2024, n. 26739). Sennonché, dal tenore della doglianza non è dato comprendere la ragione per il quale la regola sulla distribuzione dell’onere della prova sarebbe stata disattesa dal Tribunale di Catanzaro.
A nche la pretesa violazione dell’art. dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. è svolta in modo del tutto inadeguato, poiché il ricorrente in violazione del principio di specificità non ha in alcun modo indicato quale sarebbe il fatto il cui esame sarebbe stato omesso, dovendo intendersi per tale un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo), o anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale, v. Cass. 24 gennaio 2020, n. 12387; 16 gennaio 2020, n. 791; 8 settembre 2016, n. 1776; 26 luglio 2017, n. 18391.)
Né a tali fini di potrebbe intendersi la circostanza che l’intero debito verso l’amministrazione sarebbe stato rimesso per effetto di un atto dell’Agenzia delle Entra te, trattandosi di una allegazione rispetto alla quale il ricorrente non ha in alcun modo provveduto all’indicazione del se e come il Tribunale ne fosse stato investito, provvedendo alla debita localizzazione al fine di consentirne l’esame da parte di questa Corte (v. Cass., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34469 e ribadito più di recente da Cass., sez. III, 1° luglio 2021, n. 18695).
Con il secondo motivo è denunciato ‘ Errore di fatto e violazione di legge per la non ammissione delle prove testimoniali formulate dal ricorrente ‘ .
Il ricorrente si duole per la mancata ammissione delle prove orali in relazione ai periodi di detenzione trascorsi presso le Case circondariali di Catanzaro e Bellizzi Irpino, per i quali erano indicati la durata effettiva e le concrete condizioni patite, peraltro evincibili dalle relazioni dell’istituto penitenziario qualora fossero state inviate.
3.1. Fermo quanto rilevato a proposito della non consentita deduzione di un errore di fatto, anche il secondo motivo sul piano della tecnica di redazione presenta la stessa criticità del precedente, sì che occorre riandare al sommario per poter leggere che ‘ 2.2) secondo motivo di impugnazione pag. 14, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in merito alla mancata ammissione delle prove testimoniali proposte dal ri corrente’ .
Nessuna delle censure svolte è ammissibile.
Fermo quanto sopra indicato a proposito dei presupposti per invocare il paradigma dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., poiché il ricorrente non ha indicato il fatto il cui esame sarebbe stato omesso, in alcun modo, a fronte della generica doglianza di mancata ammissione delle prove orali , è prospettabile la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. , giacché detta censura può formularsi soltanto rispetto a omissioni di pronuncia inerenti a questioni di merito, che riguardino il bene della vita cui aspira la parte.
Nella specie viene in rilievo non una questione di merito, bensì una questione processuale relativa alla mancata ammissione dei mezzi di prova orale, peraltro neppure riprodotti in questa sede (v., ex multis , Cass., sez. I, 28 marzo 2014, n. 7406; Cass., sez. III, 11 ottobre 2018, n. 25154; 15 aprile 2019, n. 10422; 16 ottobre 2024, n. 26913; 9 dicembre 2024, n. 31684).
3.2. Del pari le censure relative alla violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. sono dedotte in modo del tutto improprio.
Nell’ambito di un ricorso per cassazione per dedurre la violazione del paradigma dell’articolo 115 cod. proc. civ. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma (v. già Cass., sez. III, 10 giugno 2016, n. 11892, il cui principio di diritto trovasi ribadito anche dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 20867 del 2020 e già da Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione espressa,
sebbene non massimata sul punto; Cass., VI-3, 23 ottobre 2018, n. 26769; sez. lav., 19 agosto 2020, n. 17313). Ciò significa che per realizzare la violazione deve aver giudicato, o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 cod. proc. civ.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., rubricato per l’appunto “valutazione delle prove” (v., Cass. 1189 2/2016, cit.).
Va altresì ricordato che una questione di violazione o di falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (v. Cass., 11892/2016, cit.; 8 ottobre 2019, n. 25027; 31 agosto 2020, n. 18092; 22 settembre 2020, n. 19798; Cass., sez. un., 30 settembre 2020, n. 20867).
Analogamente, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., che dà rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per
il giudizio, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (v., sempre, Cass. 11892/2016 cit.).
Con il terzo motivo si denuncia ‘Errore di fatto ed errata interpretazione della documentazione prodotta telematicamente’ .
Il ricorrente espone che il Tribunale di Catanzaro erroneamente ha ritenuto non essere state prodotte le relazioni dell’amministrazione penitenziaria attestanti le condizioni vissute durante la detenzione. Al contrario, il ricorrente era riuscito a depositare le relazioni per tutti i periodi di detenzione, fatta eccezione per quello trascorso presso la Casa Circondariale di Catanzaro, il cui diniego era stato debitamente documentato.
4.1. Per comprendere la censura è necessario risalire al sommario del ricorso dove si legge: ‘ 2.3) terzo motivo pag. 15, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 116 c.p.c., errata interpretazione della documentazione prodotta telematicamente, con riguardo alla richiesta di relazione inoltrate alla C.C. di Catanzaro, nullità della decisione derivante dalla relativa omissione dell’esame dei documenti prodotti in merito alle richiesta di relazione carceraria inoltrata alla C.C. di Catanzaro, fatto storico, la cui esistenza risulta dagli atti processuali’.
Il motivo è inammissibile per aver il ricorrente, nuovamente ed erroneamente, invocata la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. a sostegno di un asserito errore di fatto, a tanto non bastando la pretesa erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, occorrendo, invece, che siano violati i criteri legali in essa enunciati alla stregua dell’insegnamento di cui a Cass. 11892/2016.
Né, tantomeno, la doglianza svolta è apprezzabile in base all’art. dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. Infatti, la giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai consolidata nell’affermare che l’omesso
esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma (v., tra le tante, Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476).
Il Tribunale di Catanzaro, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, con riferimento alla detenzione presso la Casa Circondariale di Catanzaro a pagina 8 (paragrafo 4.3) ha scritto: ‘ con riferimento ai periodi di detenzione presso la Casa Circondariale di Catanzaro il ricorrente COGNOME ha descritto le condizioni della detenzione nel periodo ricompreso dal 28.05.2011 al 30.04.2012, riferendosi alle dimensioni della cella, alle condizioni di aeroilluminazione, all’assenza di acqua calda, all’inutilizzabilità delle docce nel periodo estivo, all’ambiente malsano (ambienti comuni e celle sporche e umide, pareti ricoperte di muffa, istituto penitenziario invaso da topi e blatte che si trovavano persino nel letto). Con riguardo agli altri periodi si è, invece, limitato a riferire al punto 11) del ricorso «dal 28.05.2012 al 30.06.2012, nuovamente presso il carcere di Catanzaro, in cella con altre tre persone e nelle medesime condizioni già rappresentate» e al punto 13) «dal 15.09.2012 al 30.09.2014, nuovamente a Catanzaro, sempre tre persone in una stanza adibita per una, resa ancora più stretta dall’aggiunta di bilancette, sgabelli e tavolo per tre persone ». In disparte l’estrema genericità dei punti 11 e 13 del ricorso, tali deduzioni sono rimaste meramente asserite, in quanto il ricorrente né ha prodotto la r elazione dell’istituto penitenziario di Catanzaro, né ha dato prova di averla effettivamente richiesta e non ottenuta per causa a sé non imputabile (la documentazione depositata alla data del 29 aprile 2021, si riferisce, infatti a una richiesta inoltrata alla Casa Circondariale di Torino e non anche a quella di Catanzaro). Né a tale vuoto istruttorio parte ricorrente ha posto rimedio articolando delle adeguate richieste di prova orale, essendo quelle
formulate in atti (e, segnatamente, 1 capp. 1,2, 3 della memoria depositata il 4 gennaio 2019) inammissibili perché concernenti circostanze dedotte in maniera oltremodo generica, tali da non consentire né una prova dei periodi di detenzione effettivamente sofferta presso il suddetto istituto penitenziario, né tantomeno delle effettive concrete condizioni di detenzione patite per ciascuno dei periodi indicati ‘.
Il Tribunale, pertanto, ha debitamente esaminato quanto dedotto dal ricorrente ed ha anche preso in esame la questione relativa alla prodotta richiesta di invio della relazione, segnalando che essa riguardava la Casa Circondariale di Torino e non quella di Catanzaro.
Il ricorso, conclusivamente, deve essere dichiarato inammissibile.
Nulla per le spese dato che il Ministero della Giustizia, suo malgrado, è rimasto intimato.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
A i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell ‘ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 18 giugno 2025.
Il Presidente
Dott.ssa NOME COGNOME