Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7305 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 7305 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22825/2021 R.G. proposto da: INPS, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l ‘Avvocatura centrale dell’Istituto e rappresentato e difeso dall’ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 669/2021 depositata il 04/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, accoglieva la domanda proposta da NOME
MANGIAVACCHI per il ricalcolo degli oneri di ricongiunzione a suo carico limitatamente al computo del periodo pensionabile (1448 settimane, in luogo delle 1094 settimane riconosciute dall’INPS); rigettava la pretesa di vedere calcolati, in detrazione dalla somma da versare, gli interessi del 4,5% annuo sull’ammontare dei contributi trasferito.
La Corte territoriale esponeva che:
-il COGNOME dipendente dell’aeronautica militare fino al dicembre 1998, aveva lavorato successivamente presso una compagnia aerea privata, con contestuale iscrizione alla gestione FONDO VOLO dell’INPS;
in data 11 gennaio 1999 aveva chiesto la ricongiunzione presso il FONDO VOLO dell’INPS della contribuzione versata presso l’INPDAP;
-l’INPS aveva calcolato gli oneri di ricongiunzione senza applicare l’interesse composto al 4,5% sulla contribuzione da ricongiungere e considerato il periodo assicurato nella gestione INPDAP in misura inferiore a quello riconosciuto dal MINISTERO DELLA DIFESA;
-il Tribunale aveva respinto la domanda dell’assicurato per intervenuta acquiescenza rispetto al provvedimento di ricongiunzione.
La Corte territoriale non riteneva ravvisabile un comportamento concludente di acquiescenza.
Nel merito, osservava che la domanda non era fondata quanto all’applicazione sulla contribuzione trasferita dell’interesse annuo del 4,50%; richiamava il principio affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo il quale nella specie si applicava la disciplina della costituzione della posizione assicurativa, di cui all’articolo 124 DPR n. 1092/1973, che prevedeva la costituzione della posizione assicurativa nell’assicurazione generale per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti presso l’INPS, senza applicazione di interessi.
Non sussistevano le cause di esclusione da tale regime previste nel successivo articolo 126, in quanto la lettera b) dello stesso articolo si riferiva alla diversa ipotesi della costituzione di un nuovo rapporto di pubblico impiego e non di un impiego privato.
La domanda era invece fondata quanto al computo di un maggiore periodo pensionabile; il decreto del MINISTERO DELLA DIFESA del 17 luglio 2012, inviato all’INPS ai fini della costituzione della posizione assicurativa, aveva maggiorato l’importo utile ai fini della ricongiunzione
di 6 anni, 9 mesi e 2 giorni, ai sensi dell’art. 4 d.lgs. n. 165/1997. Tale maggiorazione era utile ai fini della ricongiunzione, come disposto dall’art. 2, comma 1, l. n. 29/1979; la norma comportava il diritto dell’assicurato a vedersi considerare ai fini della ricongiunzione tutti i periodi di contribuzione versata, ivi compresa quella figurativa oggetto della supervalutazione di cui all’art. 4 d.lgs. n 165/1997.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza l’INPS, articolato in un unico motivo di censura, cui NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., comma 1, n. 3, l’Istituto ha denunciato la violazione e la falsa applicazione dell’articolo unico della L. 2 aprile 1958, n. 322, e dell’articolo 2 della L. n. 29 del 1979.
Avrebbe errato la Corte territoriale nell’escludere l’operatività della speciale disciplina di cui al D.P.R. n. 1092 del 1973 in tema di costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS, applicabile allorché i lavoratori pubblici, come nel caso in esame, cessino dal servizio senza acquisire il diritto a pensione. La normativa richiamata escluderebbe il sorgere ope legis di tale posizione assicurativa nella sola ipotesi della costituzione di un nuovo rapporto di lavoro subordinato pubblico, come confermerebbe la dizione «servizio» di cui all’art. 126, comma 1, lett. b.
Il ricorso è inammissibile, sotto un duplice profilo.
La censura mossa dall’INPS non è conferente alla ratio decidendi della sentenza impugnata.
La Corte territoriale ha dichiaratamente dato seguito al principio, sul quale si è formata una consolidata giurisprudenza di questa Corte (tra le tante: Cass 16 febbraio 2024 n. 4287; Cass. 19 dicembre 2023 n. 35532; Cass. 29 settembre 2023 n. 27623; Cass 7 settembre 2023 n. 26104; Cass. 19 luglio 2023 n. 21214; Cass. 2 marzo 2023 n. 6343; Cass. 24 agosto 2020 n. 17611; Cass. n. 20522 del 2019, depositata il 30 luglio 2019), secondo cui per i dipendenti pubblici si verifica ope legis , ai sensi dell’art. 124 DPR 1024/1973, ratione temporis applicabile, la costituzione della posizione assicurativa presso l’assicurazione generale dell’INPS, con
trasferimento della contribuzione senza interessi, salva la ipotesi di cui al successivo art. 126 lett. b), non ricorrente in causa, della costituzione di un nuovo rapporto di pubblico impiego.
Le censure dell’ente ricorrente sono interamente incentrate sulla questione del computo dell’interesse, rispetto alla quale l’INPS non era parte soccombente mentre non sottopongono a critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto utile alla ricongiunzione il meccanismo di rivalutazione dei contributi di cui all’art. 4 d.lgs. n. 165/1997, disattendo i conteggi dell’Istituto.
Inoltre l ‘ impugnazione è tardiva.
Come eccepito dal controricorrente, la prima notifica del ricorso in cassazione, richiesta il giorno 31 agosto 2021, non è andata a buon fine in quanto il difensore della controparte, esercente la propria attività professionale nel circondario di assegnazione, risultava trasferito.
La consolidata giurisprudenza di questa Corte ha operato una chiara distinzione fra l’ipotesi in cui la parte elegga domicilio presso il suo difensore e questi appartenga al foro del luogo dove presta la sua attività professionale e il caso in cui, invece, la parte nomini un difensore appartenente a un foro diverso da quello del luogo dove è chiamato a svolgere il suo mandato difensivo (e tale difensore a sua volta elegga domicilio nel luogo dove ha sede il giudice, ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 83, art. 83); nel primo caso i successivi mutamenti di domicilio del difensore debbono presumersi noti alle altre parti, le quali possono averne contezza consultando l’albo professionale ( Cass., Sez. U., 24/7/2009 n. 17352 e Cass. SU n. 14594/2016).
Ne deriva che in caso di mancata notifica al difensore, che eserciti la sua attività nel circondario del Tribunale dove si svolge la controversia, per effetto del trasferimento dello studio, non si applica la possibilità di conservare gli effetti collegati alla richiesta di notifica originaria -tramite la riattivazione del processo notificatorio, senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c. -posto che l’applicazione di tale possibilità postula la non imputabilità al notificante del mancato perfezionamento della notifica.
Nella fattispecie di causa, non potendo la parte giovarsi della conservazione degli effetti della prima notifica, vale quale data di notifica
quella della (seconda) richiesta di notifica presso l’effettivo domicilio del difensore, avvenuta il 23 settembre 2021 (con notifica perfezionatasi in data 28 settembre 2021), allorché il termine semestrale per proporre il ricorso in cassazione era già decorso.
In conclusione, per tutte le ragioni esposte, il ricorso è inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Non ricorrono i presupposti per la applicazione dell’articolo 96 cod. proc.civ., come richiesta dalla parte controricorrente, non essendo ravvisabile una delle condotte tipizzate dalla giurisprudenza di questa Corte, fondate su una condotta abusiva imputabile al soggetto soccombente ( Cass. sez. I, 25/12/2024, n.34429).
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso.
Condanna l’INPS al pagamento delle spese, che liquida in € 200 per spese ed € 5.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale del 31 gennaio 2025