Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14554 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14554 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30505/2022 R.G. proposto da :
NOME COGNOME domiciliato ex lege presso l’indirizzo indicato nella pec dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege presso l’indirizzo indicato nella pec dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 3017/2022 depositata il 29/09/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 21 luglio 2016 NOME COGNOME proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di Milano aveva disposto il pagamento in favore di Wind Tre dell’importo di euro 18.835,35 a titolo di corrispettivo per la merce fornita all’opponente, oltre che per il pagamento di canoni di locazione. In data 25 gennaio 2012, le parti avevano stipulato un contratto di franchising per la rivendita di telefoni cellulari e materiale affine, nonché un contratto di locazione per l’uso dei locali nei quali svolgere tale attività. L’opponente contestava la sussistenza della prova del credito ingiunto, lamentava comportamenti scorretti degli agenti di zona della opposta, che lo avrebbero indotto a risolvere il contratto precedentemente stipulato con TIM, con la promessa di un contributo in denaro.
Con sentenza del 18 febbraio 2021 il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione, revocava il decreto, perché la società aveva riconosciuto in corso di causa di non avere stornato l’importo di euro 600 e rigettava le richieste istruttorie dell’opponente.
Avverso tale sentenza proponeva appello NOME COGNOME e si costituiva l’appellata chiedendo la conferma della decisione impugnata.
Con sentenza del 29 settembre 2022 la Corte d’appello di Milano, in parziale accoglimento della impugnazione, condannava l’appellante al pagamento della somma di euro 15.274,09 oltre interessi ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2002, compensava parzialmente le spese dei due gradi di merito, ponendo la restante parte a carico dell’appellante.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandosi a due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’articolo 380 bis -1 c.p.c.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce la violazione dell’articolo 83 c.p.c. e dell’articolo 1 della legge n. 53 del 1994 e del comma 9 bis dell’articolo 16 bis della legge 18 ottobre 2012, n. 179 e del comma tre dell’articolo 4 e dell’articolo 6 del DPCM del 13 no vembre 2014, con riferimento all’articolo 360, n. 3 c.p.c.
La corte territoriale avrebbe errato nel ritenere semplicemente nulla e non inesistente la notifica eseguita in proprio dall’avvocato domiciliatario e da ciò sarebbe derivata la caducazione del decreto ingiuntivo. Contrariamente a quanto argomentato dalla Corte territoriale, non vi sarebbe spazio per alcuna sanatoria per il raggiungimento dello scopo, fattispecie applicabile solo ai casi di nullità.
Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.
La corte di merito ha adottato una doppia motivazione, con argomentazioni del tutto autonome e ciascuna idonea a supportare la decisione. In primo luogo, ha ritenuto corretta l’impostazione del Tribunale richiamando l’orientamento di legittimità secondo cui la notificazione eseguita dall’avvocato domiciliatario abilitato alla sola ricezione degli atti è nulla e non inesistente.
Con autonoma motivazione, ha ritenuto -comunquel’eccezione irrilevante perché anche per l’ipotesi di inesistenza della notifica del decreto ingiuntivo nella fase di opposizione a decreto ingiuntivo la società opposta ha richiesto la condanna di controparte al pagamento della somma oggetto del decreto ingiuntivo, decurtata degli importi erroneamente non conteggiati. E il Tribunale ha revocato il decreto e disposto la condanna del debitore al pagamento della somma nella misura ridotta e tale statuizione ha costituito il titolo esecutivo del credito.
Tale seconda argomentazione è stata censurata in maniera oltremodo generica, non cogliendo la ratio decidendi che non è quella
della sanatoria dell’atto affetto da inesistenza della notifica, ma è quella dell’instaurazione di un autonomo giudizio a cognizione piena nel quale le parti hanno nuovamente formulato le rispettive domande e il Tribunale ha revocato (per motivi diversi dalla notifica, ma la circostanza è irrilevante) il decreto ingiuntivo disponendo la condanna del COGNOME al pagamento delle somme richieste dalla compagnia Wind Tre.
Con il secondo motivo si deduce la omessa valutazione di un fatto rilevante per il giudizio e risultante dagli atti di causa ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c. In particolare, la Corte d’appello non avrebbe valutato che la fattura 1210127835 recava un saldo di euro 422,00.
Sulla base di tale importo, letto in combinato disposto con il nastrino contabile e con le note di accredito presenti, il credito complessivo vantato dalla controricorrente avrebbe dovuto ridursi, al più, ad euro 9321.
Il motivo è inammissibile.
Esso risulta formulato in violazione del requisito a pena d’inammissibilità prescritto all’ art. 366, n. 6 c.p.c., perché il ricorrente non riporta debitamente nel ricorso -per la parte strettamente d’interesse – gli atti e i documenti del giudizio di merito sui quali fonda la mossa censura.
“Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:
(a) riportarne il contenuto;
(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;
(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione
(in tal senso, ex multis, Sez. 6-3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).
Nel caso di specie parte ricorrente ha soltanto individuato l’allegato, senza trascrivere il contenuto o riassumerlo in maniera esaustiva e senza dare alcuna indicazione sulla fase nella quale quel documento sarebbe stato tempestivamente prodotto.
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte