Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24654 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24654 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 17531/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa giusta procura in calce al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso il suo studio;
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di mandato rilasciato su foglio separato, dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notifiche relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 2764/2024, depositata il 19/4/2024.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/7/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con atto di citazione notificato il 25/3/2023 la RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la RFI RAGIONE_SOCIALE deducendo che, al fine di poter realizzare i lavori oggetto del contratto d’appalto stipulato con la RAGIONE_SOCIALE Alta RAGIONE_SOCIALE, aveva stipulato, quale mandante dell’ATI, contratti di affitto di taluni terreni.
Tuttavia, non aveva provveduto a liberare il cantiere, tanto che la società committente aveva detratto dal compenso concordato la somma di euro 1.119.971,57, «per il mancato ripiegamento e messa in pristino delle aree da inserire nel SAL finale dell’appalto».
Poiché la committente non aveva provveduto al ripiegamento del cantiere, in sostituzione dell’obbligazione a carico dell’attrice, quest’ultima chiedeva che fosse accertato in capo a RFI l’obbligo «a suo integrale carico, di ripiegamento del cantiere e ripristino delle aree site nel Comune di Bologna, INDIRIZZO nonché il terreno» sito nel medesimo Comune.
L’attrice chiedeva che le venisse riconosciuta la somma di euro 156.273,25 a titolo di corrispettivo (canoni e indennizzi) versato ai proprietari dei fondi sino al 22/2/2020.
Il Tribunale rigettava la domanda.
Con un unico motivo di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE deduceva l’erronea e falsa applicazione dell’art. 60.3 delle condizioni generali di contratto delle società del Gruppo Ferrovie dello Stato. Tale disposizione non era applicabile, anche perché attinente alla risolu-
zione che, però, non vi era mai stata, essendo state terminate le opere.
In sostanza, la società appellante reputava che la fattispecie dovesse essere incasellata nell’ambito delle varianti in diminuzione, il cui costo era a carico della committente, ai sensi dell’art. 37. Non vi era stata infatti alcuna risoluzione del contratto.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 2764/2024, del 19/4/2024, rigettava l’appello.
In particolare, la Corte territoriale chiariva che vi era stato l’inadempimento della società attrice al proprio obbligo di ripiegamento e rimessa in pristino delle aree da inserire nel SAL finale dei lavori appaltati per il corrispettivo di euro 1.119.971,57; tale somma era stata poi definitivamente detratta in sede di contabilità dalla committente, in quanto la relativa prestazione non era stata eseguita.
In conseguenza di tale inadempimento, la committente aveva rivolto specifica e reiterata diffida ad adempiere.
In particolare, RFI, con comunicazione del 9/9/2016, aveva intimato alla RAGIONE_SOCIALE di «provvedere con la massima urgenza al ripiegamento dei cantieri ed alla messa in pristino delle relative aree», precisando che, in caso contrario, RFI sarebbe stata costretta a sostituirsi alle imprese nello svolgimento delle attività in questione; in caso di inottemperanza da parte di SINTEX, RFI avrebbe proceduto a decurtare nel SAL finale il corrispettivo delle attività non eseguite dall’appaltatore per un importo di euro 1.189.971,57.
Ad avviso dell’appellante, alla stregua di tale diffida, «RFI si sarebbe obbligata ad adempiere in sua vece, previa detrazione della somma sopra indicata».
La Corte territoriale, invece, non riteneva corretta tale interpretazione.
Dalla lettura dell’art. 60.3 delle condizioni generali di contratto non si rinveniva alcun obbligo ex lege in capo al committente di sostituirsi all’appaltatore, «essendo piuttosto prevista una sua facoltà in caso di inadempimento».
Alcuna obbligazione era poi insorta per la committente per il solo fatto che con l’atto di diffida RFI aveva comunicato all’attrice la propria volontà di esercitare i propri poteri sostitutivi nella rimozione dei cantieri.
Si trattava, infatti, «dell’esercizio di una eventuale facoltà, fermo restando che ben avrebbe potuto l’appaltatrice comunque tranquillamente provvedere autonomamente una volta verificata la contestata lungaggine da parte di RFI nell’esecuzione di tali operazioni il cui obbligo, con le ovvie ricadute anche in termini di danni derivanti da ritardo, ricadeva contrattualmente su di essa».
Non era utile il richiamo all’art. 37 delle condizioni generali di contratto, che faceva invece riferimento alla diversa fattispecie delle varianti intervenuta in corso di appalto.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito con controricorso la RFI.
Il Consigliere coordinatore ha formulato proposta di decisione accelerata ex art. 380bis c.p.c.
Il difensore della società ha chiesto la decisione.
Entrambe le parti hanno depositato memoria scritta.
La Procura Generale, nella persona del dott. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso e, in subordine, il rigetto dello stesso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) in relazione agli articoli 1362 c.c. e seguenti relativi all’erronea interpretazione dell’art. 60.3 e 37 delle condizioni generali di contratto per gli appalti di opere, lavori e forniture in opera delle società del gruppo ferrovie dello Stato».
Per la ricorrente avrebbe errato la Corte territoriale nel rigettare il motivo d’appello dedotto, sulla base dell’assunto che non vi fosse alcun obbligo ex lege in capo alla committente di sostituirsi all’appaltatore RAGIONE_SOCIALE nell’esecuzione delle attività di disimpianto del cantiere.
In realtà, non poteva trovare applicazione l’art. 60.3 delle condizioni generali di contratto, che regola «gli effetti della disciplina della risoluzione».
Il comma 3 di tale disposizione stabilisce che il ripiegamento dei cantieri è a carico dell’appaltatore.
Il comma 4 però prevede che, qualora l’appaltatore non vi provveda, le operazioni di ripiegamento siano eseguite a cura del committente e con onere a carico dell’appaltatore.
Tuttavia, la ricorrente evidenzia che la committente non ha mai provveduto a risolvere il contratto in danno dell’ATI.
Per tale ragione l’art. 60.3 non era applicabile alla fattispecie in esame.
La committente si è limitata a detrarre dal conto finale la somma ritenuta dalla stessa congrua per poter procedere autonomamente all’attività di disimpianto del cantiere.
La Corte d’appello avrebbe dovuto invece applicare l’art. 37 delle condizioni generali di contratto, dedicato all’aumento o diminuzione dei lavori appaltati in ragione di varianti ordinate dalla committenza.
In realtà, una volta stralciata l’opera e detratta dalla contabilità finale la somma di euro 1.118.971,57, relativa proprio alle attività di espianto del cantiere, l’appaltatore non avrebbe avuto né titolo, né compenso per poter eseguire tali adempimenti.
Del pari erronea era l’affermazione della Corte d’appello per cui non sussisteva un’obbligazione della committenza in tal senso, ma solo l’esercizio di una facoltà, mentre l’impresa appaltatrice avrebbe potuto comunque provvedere autonomamente al disimpianto del cantiere.
Tale affermazione sarebbe contraddetta dalla lettera di RFI del 9/9/2016, nella quale si leggeva che «il mancato adempimento costringerà RFI a sostituirsi alle imprese nello svolgimento delle attività in questione».
Per la ricorrente, di fatto, RFI ha operato una variante in diminuzione dell’appalto, in misura inferiore a un quinto dell’importo del contratto.
RFI avrebbe deciso dunque di avocare a sé la lavorazione relativa all’eliminazione dell’impianto.
Del resto, è pacifico che RFI abbia provveduto successivamente ad eseguire tale lavorazione a seguito dell’esperimento di specifica nuova gara di appalto, con la quale ha affidato a un nuovo soggetto l’esecuzione dell’opera in questione.
RFI, però, si è attivata con un ritardo di sei anni.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «nullità della sentenza ex art. 360, primo comma, n. 4, in relazione all’art. 132, primo comma, n. 4, c.p.c. e 111 della Costituzione per illogicità manifesta della motivazione tale da integrare la sua sostanziale assenza».
L’affermazione della Corte d’appello è nel senso che la committente non ha nessun obbligo contrattuale di sostituirsi all’appaltatore
nell’esecuzione del disimpianto del cantiere, essendo prevista solo una facoltà, in caso di inadempimento dell’appaltatore.
Tale motivazione sarebbe disancorata da ogni principio di diritto.
Non avrebbe spiegato la Corte territoriale le modalità con cui avrebbe potuto agire autonomamente la RAGIONE_SOCIALE, a seguito di uno stralcio in contabilità della voce relativa agli oneri di sicurezza.
Non avrebbe chiarito la Corte d’appello per quale ragione la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto, senza aver subito alcuna risoluzione in danno, farsi carico dei maggiori oneri e danni da occupazione dei terreni.
Neppure sarebbe spiegata la ragione per cui RFI si è assunta l’obbligo di disimpianto del cantiere, senza alcun limite temporale.
Il ricorso è improcedibile.
3.1. La ricorrente e la controricorrente hanno dichiarato che il provvedimento impugnato è stato notificato in data 11/6/2024, ma non è stata depositata la relativa relazione di notificazione, come prescritto dalla legge, né dalla ricorrente, che vi era tenuta, né dalla controricorrente.
L’allegato A menzionato dalla ricorrente non contiene la pec di notifica, come indicato, ma semplicemente la sentenza estratta dai registri informatici. Analoga produzione è stata effettuata dalla controricorrente.
Pertanto, il ricorso è improcedibile per il mancato deposito, contestualmente al ricorso, nella cancelleria della Corte, di copia autentica della decisione impugnata notificata con la relazione di notificazione ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., neppure prodotta dal controricorrente nel termine di cui all’art. 370, comma 3, c.p.c., ovvero acquisita – nei casi in cui la legge dispone che la cancelleria provveda alla comunicazione o alla notificazione del provvedimento impugnato
mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio (Cass.,
Sez. U, n. 21349 del 6/7/2022, nonché Cass., Sez. U, n.10648 del 2/5/2017).
In tal senso, del resto, deve tenersi conto anche della pronuncia di questa Corte, a Sezioni Unite, per la quale qualora il ricorrente alleghi che la sentenza è stata comunicata in una certa data, l’obbligo del deposito, da parte dello stesso ricorrente, unitamente alla copia autentica della sentenza impugnata, del biglietto di cancelleria da cui desumere la tempestività della proposizione dell’istanza di regolamento di competenza ex art. 47 c.p.c., può essere soddisfatto o mediante il deposito del predetto documento contestualmente a quello del ricorso per cassazione, oppure attraverso le modalità previste dal secondo comma dell’art. 372 c.p.c., purché nel termine fissato dal primo comma dello stesso art. 369 c.p.c.; deve invece escludersi ogni rilievo dell’eventuale non contestazione in ordine alla tempestività del ricorso da parte del controricorrente ovvero del reperimento dei predetti documenti nel fascicolo d’ufficio o della controparte da cui risulti tale tempestività (Cas., Sez. U, n. 25513 del 2016; che richiama Cass., Sez. U, n. 9004 del 2009; Cass., Sez. U, n. 9005 del 2009).
La citata giurisprudenza esclude inoltre qualsiasi rilievo alla mera dichiarazione conforme della controparte, stante il carattere pubblicistico del controllo preliminare che compete alla Corte. Il ricorso non supera neppure la c.d. «prova di resistenza», perché la notificazione del 1/8/2024 non è avvenuta nei sessanta giorni dalla data della pubblicazione della sentenza (19/4/2024), prima della quale la notificazione della sentenza non avrebbe potuto essere eseguita (Cass., Sez. 6, n. 15832 del 7/6/2021; Cass., Sez. 6-3, n. 11386 del 30/4/ 2019; Cass., Sez. 6-3, n. 17066 del 10/7/2013; nonché punto 4.2. della citata Cass., Sez. U, n. 21349/2022).
Ed infatti, la sentenza della Corte d’appello è stata pubblicata il 19/4/2024, quindi il computo del termine breve, anche tenendo conto della data di pubblicazione della sentenza, non è stato rispettato, essendo stato notificato il ricorso per cassazione il 23/7/2024, quando il termine breve era ormai spirato il 19/6/2024 (tenendo conto della pubblicazione della sentenza).
Si è ritenuto che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), nel richiamare, per i casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. codifica, attraverso una valutazione legale tipica, un’ipotesi di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass., Sez. U, 27/9/2023, n. 27433; Cass., Sez. U, 13/10/2023, n. 28540; Cass., n. 11346/2024); tuttavia, la disposizione citata non prevede l’applicazione automatica delle sanzioni ivi previste, che resta affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto, in base a un’interpretazione costituzionalmente compatibile del nuovo istituto (Cass., Sez. U, 27/12/2023, n. 36069).
Nella specie, non si rinvengono ragioni (stante la correttezza della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare il rigetto del ricorso) per discostarsi dalla suddetta previsione legale.
Tra l’altro, in ordine a quanto riportato nella memoria dalla società ricorrente, la CEDU, con la sentenza del 23/5/2024, COGNOME e altri c. Italia, si è espressa proprio sul tema della improcedibilità pronunciata dalla Corte di cassazione civile per motivi di diritto, in relazione all’art. 369 c.p.c., per la mancanza di alcuni requisiti del deposito del ricorso.
Per la CEDU non v’è stata violazione dell’art. 6 par. 1 della Convenzione, poiché il mancato deposito della relazione di notificazione dell’impugnata sentenza entro il termine di legge costituisce legittimo motivo di inammissibilità.
Ed infatti, l’accettazione del deposito tardivo avrebbe vanificato il rapido svolgimento del procedimento.
In relazione agli altri due ricorsi, la stessa sentenza rileva la violazione dell’art. 6 par. 1, poiché «la cassazione si trovava in una fase di transizione dal processo cartaceo a quello telematico».
Nella specie, invece, il ricorso per cassazione è stato notificato il 23/7/2024, quando vi era stata la completa transizione al processo telematico.
Deve osservarsi, dunque, che n ell’ottica di tale giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la sanzione d’improcedibilità prevista dall’art. 369 c.p.c. non pone problemi di per sé, sia perché incide non sulla possibilità di ricorso altrimenti concessa dalla legge, ma sulla prosecuzione del procedimento per l’inattività della parte in un tempo ragionevole; sia perché attua una altrettanto equilibrata sintesi tra esigenze di certezza e di buona amministrazione nel contesto di un rimedio, quale il ricorso per cassazione, il cui rilievo nell’ordinamento è tale da giustificare regole d’accesso più rigorose.
Lo scopo di detta norma, insomma, è senz’altro legittimo.
La ricorrente soccombente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, della somma di euro 6.000,00, valutata equitativamente, nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di euro 2.500,00.
P.Q.M.
Dichiara improcedibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente della somma di euro 6.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e Cpa.
Condanna la ricorrente al pagamento della ulteriore somma di euro 6.000,00, nonché al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di euro 2.500,00.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 luglio 2025