Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28069 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 28069 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/10/2025
Oggetto: credito ai consumatori
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15070/2024 R.G. proposto da COGNOME, rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO
– controricorrente, ricorrente in via incidentale – avverso la sentenza del Tribunale di Sassari n. 278/2024, depositata il 5 marzo 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 settembre 2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
COGNOME propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Sassari, depositata il 5 marzo 2024, che, in parziale accoglimento del l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, ha condannato quest’ultima al pagamento in favore della odierna ricorrente della (minor) somma di euro 1.219,80, oltre interessi legali;
-la Corte di appello ha riferito che con l’atto introduttivo del giudizio l ‘attrice aveva chiesto la condanna della banca alla restituzione delle somme versate a titolo di commissioni previste in un contratto di finanziamento, in quanto le relative clausole erano prive di giustificazione causale e comunque vessatorie o viziate da dolo incidentale;
ha dato atto che il giudice di prime cure aveva accolto la domanda, condannando la banca alla restituzione della somma di euro 2.270,00, pari alle commissioni versate, in quanto prive di causa, corrisposte in violazione dell’art. 125, commi 5 e 6, t.u.b. e previste da clausole ritenute vessatorie ai sensi degli artt. 33 e 34 cod. cons.;
ha, quindi, parzialmente accolto il gravame della banca, escludendo dall’importo restit utorio quanto versate a titolo di commissione di intermediazione, poiché oggetto di specifica pattuizione e, in ogni caso, corrisposte alla società di intermediazione (la RAGIONE_SOCIALE), la quale, dunque, era unica legittimata passiva;
il ricorso è affidato a cinque motivi;
resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE, la quale propone ricorso incidentale, affidato a un motivo, e ricorso incidentale condizionato;
avverso tale ricorso la ricorrente principale non spiega alcuna difesa; –
-a seguito di proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 bis cod. proc. civ., la ricorrente chiede la decisione della causa;
le parti depositano memorie;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo la ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 125 t.u.b., per aver la Corte di appello ritenuto dovute le commissioni di intermediazione benché il contratto
tra consumatore e intermediario non fosse stato stipulato in epoca antecedente rispetto al contratto di prestito;
con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 33, secondo comma, lett. n), cod. cons., nella parte in cui è stato escluso l’effetto sorpresa per il consumatore derivante dalla previsione di commissioni di intermediazioni avuto riguardo alla rilevata contestualità del contratto di intermediazione e del contratto di prestito;
con il terzo motivo si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ., per aver la sentenza impugnata ritenuto che la banca mutuante non fosse legittimata passiva dell’azione di ripetizione dell’importo versato a titolo di commissioni di intermediazione, benché accipiens formale e sostanziale e direttamente responsabile dell’operato del suo collaboratore mandatario;
-con l’ultimo motivo formula analoga censura in relazione al diverso paradigma rappresentato dagli artt. 2033 cod. civ. e 6 e 7 Dir. 93/13 CEE, deducendo, in particolare, la violazione del principio di effettività della tutela del consumatore;
la proposta di definizione del giudizio ha ritenuto che il ricorso principale fosse inammissibile;
ha, in particolare, osservato che «il ricorso non spiega neppure approssimativamente in che cosa esattamente consisterebbe detta commissione di intermediazione e quale sarebbe il testo della clausola, evidentemente indispensabile ai fini dello scrutinio di tutte le censure spiegate.
Ed invero, l’articolo 366 c.p.c. stabilisce che: «Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità:… 6) la specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il motivo si fonda e l’illustrazione del contenuto rilevante degli stessi».
Ora, nel caso in esame, vertendosi in ipotesi di controversia
concernente la asserita nullità di una clausola contrattuale, l’osservanza del precetto stabilito dalla norma, e cioè «l’illustrazione del contenuto rilevante», evidentemente richiedeva la trascrizione della clausola contrattuale incriminata: dal ricorso viceversa non si sa affatto che cosa la clausola dica e, per la verità, dal ricorso non risulta neppure dove detta clausola, in quale articolo, nell’ambito dei contratti (e del tutto oscuro, stando alla lettura del ricorso, come essi siano stati congegnati, ma certo è che, almeno secondo quanto dice il ricorrente, vi erano due distinti contratti, uno di finanziamento e uno di intermediazione), fosse collocata.
Dopodiché l’osservanza della norma richiede la «localizzazione» del documento posto a sostegno del ricorso, e cioè un adempimento elementare, quale l’indicazione del luogo (analogico digitale) in cui il documento è reperibile negli atti del giudizio di merito: e neppure questo si sa, giacché in calce al ricorso è indicata la produzione del contratto nel cosiddetto «fascicoletto» allegato al ricorso, ma non altro»;
il Collegio condivide tali considerazioni;
può aggiungersi, in replica alle osservazioni contenute nell’istanza di decisione del ricorso, che le doglianze espresse nei primi due motivi poggiano sull’assunto che il contratto di intermediazione è stato stipulato lo stesso giorno del contratto di prestito, per cui difetterebbe il requisito dell’anteriorità del primo rispetto al secondo richiesto dall’art. 125 novies t.u.b. e rilevante ai fini dell’accertamento della vessatorietà della relativa clausola ex art. 33, secondo comma, lett. n., cod. cons;
di tale circostanza fattuale, tuttavia, non vi è riscontro nella sentenza impugnata, per cui la doglianza non rispetta il requisito per la formulazione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge consistente nell’assunzione dell’accertamento di fatto come operato dal giudice del merito quale termine obbligato, indefettibile e non
modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione (cfr. Cass. 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);
si condivide, altresì, la proposta di definizione nella parte in cui ha ritenuto che «La formulazione della proposta di definizione anticipata non è preclusa dalla proposizione del ricorso incidentale (e tantomeno di quello incidentale condizionato) dal momento che la sentenza è stata notificata, e la notificazione fa decorre il termine «breve», ai sensi dell’articolo 325 c.p.c., per entrambe le parti, in data 16 aprile 2024, mentre il ricorso incidentale della banca è datato 18 luglio. Si tratta cioè di un ricorso incidentale tardivo al quale si applica la disciplina dell’articolo 334 c.p.c. »;
per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso principale va dichiarato inammissibile, quello incidentale inefficace e quello incidentale condizionato assorbito;
le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
poiché il giudizio è definito in conformità della proposta, va disposta condanna della parte istante a norma dell’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. Un., 13 ottobre 2023, n. 28540);
il ricorrente principale va, dunque, condannato, nei confronti della controricorrente, al pagamento di una somma che può equitativamente determinarsi in euro 500,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso principale inammissibile, quello incidentale inefficace e quello incidentale condizionato assorbito; condanna il ricorrente principale alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 500,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Condanna il ricorrente principale al pagamento della somma di euro 500,00 in favore della parte controricorrente e dell’ulteriore somma di euro 2.500,00, in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 17 settembre 2025.
Il Presidente