Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 32013 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 32013 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31302/2021 R.G. proposto da:
NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliata per legge;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante pro tempore in atti indicato, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliata per legge;
-controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 1034/2021 depositata il 21/09/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/11/2024 dal Consigliere COGNOME NOME;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, in qualità di debitore principale, e NOME COGNOME, in qualità di fideiussore, proponevano opposizione avverso il decreto n. 11728/2007 con cui il Tribunale di Torino aveva ingiunto allo COGNOME di corrispondere ad RAGIONE_SOCIALE Banca spa la somma di €. 42.860,64 e alla COGNOME la minor somma ad €. 33.569,70 (importo massimo dalla medesima garantito).
Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 411/2011, in parziale accoglimento dell’opposizione, revocava il decreto, ma condannava lo COGNOME a corrispondere ad RAGIONE_SOCIALE l’importo di €. 41.075,73 (limitato, quanto alla COGNOME, ad €. 33.569,70) e condannava gli opponenti alla rifusione delle spese processuali.
Avverso tale sentenza proponeva appello il solo debitore principale COGNOME.
La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 1070/2014 (divenuta definitiva a seguito della sentenza n. 1036/2017 di questa Corte), in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava le pretese avanzate da RAGIONE_SOCIALE nei confronti dello COGNOME e condannava l’istituto di credito alla rifusione delle spese processuali del doppio grado.
NOME COGNOME proponeva opposizione all’esecuzione e chiedeva l’estromissione di RAGIONE_SOCIALE dal processo esecutivo per assenza di un valido titolo esecutivo.
Il giudice dell’opposizione all’esecuzione pronunciava sentenza n. 175/2020 del 23 dicembre 2019, pubblicata il 14 gennaio 2020, con cui rigettava l’opposizione e condannava la COGNOME alla rifusione delle spese processuali.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello la COGNOME, chiedendone la totale riforma sulla base di tre motivi di impugnazione.
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE spa, quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE spa, chiedendo la reiezione dell’opposizione e la conferma del provvedimento impugnato.
La Corte d’appello di Torino, con sentenza n.1034/2021, rigettava l’appello proposto dalla COGNOME, dichiarando compensate tra le parti le spese processuali relative al grado.
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la COGNOME.
Al ricorso ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e, per essa, quale mandataria, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE)
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.
Il Difensore della ricorrente ha depositato nota difensiva, nella quale, in relazione al terzo motivo di ricorso, ha richiamato due sentenze delle Sezioni Unite (precisamente, la n. 41994/2021 e la n. 9479/2023), intervenute nelle more.
La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di sessanta giorni dalla decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.La COGNOME articola in ricorso tre motivi.
1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale, richiamando i principi affermati da questa Corte (che con sentenze nn. n°18578/2004 e n°15376/2016, avrebbero rimeditato il principio in precedenza affermato con sentenza n. 1706/1985), ha affermato che <> ponendo a base di tale convinzione la ‘ giurisprudenza della Suprema Corte ‘
1.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia: <>, nella parte in cui la corte territoriale, nel disaminare e decidere sul secondo motivo di appello, ha affermato: <>.
1.3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale, esaminando il suo motivo di appello concernente la nullità della fideiussione (poiché redatta su Modello ABI), disattendendo i principi di tutela dei consumatori, ha affermato (p 7): <>.
Di tali censure sono superflue l’illustrazione analitica e la stessa disamina, poiché il ricorso è inammissibile.
A prescindere dal rilievo che il duplicato informatico della sentenza impugnata è stato prodotto privo di stampigliatura dei dati esterni (numero cronologico e data), l’esposizione del fatto, contenuta nel ricorso (le cui lacune non possono essere colmate, per consolidata giurisprudenza di legittimità, da alcun atto successivo), si palesa gravemente insufficiente.
Al riguardo, occorre ribadire che il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, primo comma n. 3, cod. proc. civ., essendo
considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenutoforma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Sez. un. n. 11653 del 2006).
La prescrizione di detto requisito risponde ad una esigenza (non di mero formalismo, ma) di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Sez. Un. n. 2602 del 2003).
Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’articolo 366 comma primo n. 3 cod. proc. civ., è necessario che il ricorso per cassazione contenga l’indicazione, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, ma sommario, delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.
Tale indirizzo deve ritenersi a più forte ragione applicabile con riguardo alla nuova formulazione dell’art. 366, comma 1, n. 3 c.p.c. (non applicabile ratione temporis al ricorso odierno, ma evidente espressione del consolidamento del preesistente principio generale), che ha previsto in maniera ancor più stringente il requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione costituito dalla <>, evidenziando che l’esposizione deve essere non solo
chiara, ma anche limitata ai fatti essenziali per la comprensione dei motivi di ricorso, quindi non integrale.
Nella specie, il ricorso, nell’esposizione del fatto, non rispetta tali contenuti, in quanto la ricorrente:
non indica il titolo in base al quale il Tribunale di Torino ha emesso il decreto ingiuntivo n. 11728/2007 e nulla riferisce sull’intervenuta fideiussione;
non indica adeguatamente né il giudicato che deduce essersi formato rispetto al debitore principale e neppure il titolo esecutivo che è stato azionato nei suoi confronti quale fideiussore;
non indica il contenuto del ricorso introduttivo del procedimento esecutivo n. RGE 596/2009 e neppure quello del ricorso introduttivo del procedimento esecutivo n. RGE 2582/2011;
-non descrive le vicende successive dei suddetti due procedimenti (salvo il riferimento al fatto che entrambi i procedimenti furono chiamati alla stessa prima udienza di riassunzione ed al fatto che il giudice dell’esecuzione concesse termine fino al 15 giugno 2018 per l’introduzione del giudizio di merito) e non indica i soggetti interessati a dette procedure (se vi fossero altri condebitori o altri concreditori);
riferisce che, in sede di prima udienza di riassunzione, aveva proposto opposizione all’esecuzione, chiedendo l’estromissione di RAGIONE_SOCIALE dal processo esecutivo per assenza di un valido titolo esecutivo, senza spiegarne le ragioni;
riferisce di aver introdotto il giudizio di merito a mezzo EMAIL in data 14 giugno 2018 e che la convenuta RAGIONE_SOCIALE si era costituita chiedendo il rigetto delle domande da lei formulate, ma non indica né quali fossero le sue domande, né su quali argomentazioni poggiassero, né il contenuto delle difese svolte da RAGIONE_SOCIALE e neppure se il giudizio di merito si sia svolto esclusivamente nei confronti di RAGIONE_SOCIALE;
non indica quali sono state le conclusioni da lei e dall’istituto precisate nel giudizio di primo grado;
riporta il dispositivo della sentenza n. 175/2020 del giudice di primo grado, ma non ne riporta le argomentazioni;
afferma che il giudice di primo grado con detta sentenza ha statuito sull’azione di opposizione all’esecuzione immobiliare, senza aver in precedenza nulla precisato di detta procedura (come d’altronde dell’altra richiamata ad essa riunita);
riferisce di aver impugnato tale sentenza, ma non indica né il contenuto dell’atto di appello; né le difese svolte dalla controparte; né le conclusioni finali da entrambe le parti precisate; né se anche il giudizio di appello si è svolto esclusivamente tra lei e RAGIONE_SOCIALE;
in sede di illustrazione del primo motivo, osserva (p. 8) che nel caso di specie vengono in rilievo due sentenze, entrambe passate in giudicato, che vertono entrambe proprio sulla esistenza del credito di RAGIONE_SOCIALE, e dunque del debito dello COGNOME e di essa fideiussore COGNOME, ma che hanno contenuto contrapposto (e cioé la sentenza del Tribunale di Torino n° 411/2011 e la sentenza della Corte d’appello di Torino n°1074/2014), senza tuttavia avere in precedenza precisato in maniera adeguata le vicende ad esito delle quali si sarebbero formati detti due giudicati, nei confronti di quali parti e in quali esatti termini;
in sede di illustrazione del secondo motivo, osserva (p. 13) che il giudicato intervenuto nel rapporto banca-debitore principale avrebbe fatto venir meno tutti i presupposti (preesistenza di un vincolo di solidarietà tra garante e debitore; adempimento effettuato dal garante nell’interesse del debitore; efficacia liberatoria per il debitore del pagamento eseguito dal garante) su cui il regresso si sarebbe fondato, senza tuttavia adeguatamente indicare dove e in che termini abbia trattato le relative questioni;
– in sede di illustrazione del terzo motivo, osserva (p. 14) che la corte territoriale, nella sentenza impugnata, si è pronunciata in maniera poco circostanziata in merito al motivo di appello concernente la nullità della fideiussione poiché redatta su Modello ABI, dichiarato notoriamente nullo per violazione della normativa anticoncorrenziale, senza aver in precedenza indicato: a) né in quali termini la questione della validità della fideiussione fosse stata posta in sede di appello e quali fossero state le difese svolte in quel giudizio dalle parti; b) né quando fu stipulato il contratto fideiussorio, per cui non è dato sapere se può essere applicabile o meno la nullità (parziale) come recentemente riconosciuta dalle S.U. con sentenza n. 41994/2021 in relazione allo specifico modello ABI del 2002. D’altronde, come pure già precisato da questa Corte (Cass. n. 24044/2019), la parte che eccepisce la nullità non può limitarsi a rappresentare, in modo apodittico, che le clausole affette da invalidità sono presenti nel contratto di fideiussione sottoscritto, ma deve fornire prova della violazione, nonché della rilevanza e decisività delle clausole che si assumono nulle, in applicazione generale dell’art. 1419 cod. civ.; e detta prova, nel caso di specie, non risulta essere stata fornita dall’odierno ricorrente.
Per le ragioni che precedono, il ricorso va, per ciò stesso, dichiarato inammissibile: e le rilevate carenze, investendone gli stessi presupposti, precludono l’esame delle questioni agitate nella memoria.
Inammissibile è anche il controricorso, non avendo l’istituto di credito ritualmente prodotto né la procura speciale e neppure la procura alla mandataria, RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE)
All’inammissibilità del ricorso non consegue la condanna alle spese a motivo della dichiarata inammissibilità del controricorso, ma consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
dichiara inammissibile il controricorso;
-ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della ricorrente al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2024, nella camera di