Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2233 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2233 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 30/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19761/2022 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrente-
contro
TESSITORE NOMECOGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di ROMA n. 4520/2022 depositata il 30/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
REVOCAZIONE.
R.G. 19761/2022
COGNOME
Rep.
C.C. 10/12/2024
C.C. 14/4/2022
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME concesse in locazione all’RAGIONE_SOCIALE un immobile sito in Ostia.
In seguito, la RAGIONE_SOCIALE, sostenendo di essere subentrata all’Associazione omonima, convenne in giudizio la COGNOME, davanti al Tribunale di Roma, chiedendo che fosse condannata al pagamento di una somma a titolo di interventi sostenuti sull’immobile locato.
Il Tribunale accolse la domanda e condannò la convenuta al pagamento della somma di euro 3.850, oltre interessi e con il carico delle spese di lite.
La decisione fu confermata dalla Corte d’appello di Roma, con sentenza del 24 maggio 2016, con l’aggravio delle ulteriori spese del grado.
Rilevò la Corte romana, in tale pronuncia, che l’unico motivo di appello proposto dalla COGNOME riguardava il presunto difetto di legittimazione attiva della società attrice, difetto asseritamente derivante dal fatto che il contratto era stato concluso con l’Associazione omonima suindicata. Tale motivo fu però ritenuto infondato, perché dalla documentazione in atti risultava in modo evidente che la locatrice aveva accettato per fatti concludenti il subentro della società nel rapporto locatizio. Oltre a ciò, vi erano numerosi altri elementi dai quali si doveva desumere che il contratto era stato in effetti volturato a favore della società che aveva poi agito in giudizio contro la proprietaria.
NOME COGNOME ha impugnato per revocazione la sentenza di secondo grado e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 30 giugno 2022, ha rigettato l’impugnazione e ha condannato l’attrice al pagamento delle ulteriori spese del giudizio di revocazione.
Ha osservato la Corte territoriale che le due ragioni di revocazione, che avevano invocato l’art. 395, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ., erano entrambe prive di fondamento.
Quanto al preteso errore di fatto, la sentenza ha rilevato che la prospettazione della COGNOME era nel senso che il giudice di appello aveva omesso un’attività doverosa, vale a dire la diretta consultazione del registro informatico dal quale sarebbe emerso in modo inoppugnabile quali fossero le parti del giudizio per convalida di sfratto. Tale rilievo è stato valutato infondato, perché costituiva onere dell’appellante COGNOME produrre la documentazione necessaria a stabilire quali fossero le parti del giudizio suindicato.
In riferimento, poi, alla revocazione per fatto doloso, la Corte d’appello ha stabilito che il motivo di revocazione invocato (art. 395, n. 3, cod. proc. civ.) presuppone che si tratti di documenti trovati dopo la pronuncia della sentenza, mentre nella specie la COGNOME non aveva fornito alcuna prova di essere stata nell’impossibilità di produrre tali documenti in precedenza.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma pronunciata nel giudizio di revocazione propone ricorso NOME COGNOME con atto affidato ad un solo motivo.
Resiste NOME COGNOME con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, che è stato proposto senza indicazione di alcuna specifica norma che sarebbe stata violata, la ricorrente dichiara trattarsi della medesima questione già proposta in primo grado, in appello e nel successivo giudizio di revocazione, e cioè la possibilità di ipotizzare una cessione del contratto di locazione dall’RAGIONE_SOCIALE
Sostiene la COGNOME che non poteva ipotizzarsi, come invece ha fatto la Corte d’appello, un consenso tacito alla cessione del contratto o una cessione per facta concludentia , perché le due società erano entrambe esistenti ed avevano in comune soltanto il
legale rappresentante, cioè il controricorrente NOME COGNOME. L’ordinanza del giudizio di convalida di sfratto era stata emessa nei confronti dell’Associazione RAGIONE_SOCIALE, e non della società omonima, per cui non poteva sussistere alcun dubbio su quale fosse la parte titolare della legittimazione attiva. Tale ordinanza dovrebbe considerarsi come giudicato esterno, per cui la causa promossa dalla società nei confronti della ricorrente non poteva essere considerata, posto che il contratto di locazione era stato stipulato tra altri soggetti.
1.1. Il ricorso è inammissibile.
La Corte osserva, innanzitutto, che esso è redatto con una tecnica tale da non poter essere definito, a rigore, come ricorso per cassazione. La struttura dell’impugnazione proposta, infatti, non prospetta neppure quale sia, effettivamente, la violazione di legge mossa nei confronti della sentenza d’appello, dal momento che la ricorrente insiste nel ribadire tesi già ampiamente valutate dalla Corte d’appello, sia nel giudizio di secondo grado che in quello di revocazione. La censura, cioè, si appunta contro la sentenza emessa nel giudizio di revocazione come se si trattasse dell’impugnazione contro una sentenza di appello, il che dimostra l’evidente inammissibilità del ricorso.
La pronuncia emessa in grado d’appello aveva esaminato sia la questione della titolarità del contratto che quella della sua cessione tacita, per cui la decisione emessa nel successivo giudizio di revocazione si è attenuta al precedente, aggiungendo che il documento asseritamente non valutato avrebbe dovuto essere prodotto dalla parte interessata e che non c’era alcuna prova che fosse emerso un documento nuovo e decisivo che la parte non aveva potuto produrre prima.
Rispetto a tali considerazioni il ricorso, in sostanza, nulla dice e nulla aggiunge.
L’unico punto sul quale occorre soffermarsi riguarda la natura del soggetto che ha presentato controricorso in questa sede, cioè NOME COGNOME
Al riguardo la Corte rileva che la sentenza oggi impugnata, mentre nell’epigrafe ha indicato come resistente nel giudizio di revocazione il Tessitore, nel corpo della motivazione della sentenza ha affermato che aveva resistito all’impugnazione la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE In realtà, controllando la comparsa di risposta del giudizio di revocazione, si vede che in quella sede il Tessitore si era costituito quale legale rappresentante e liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, il che conferma comunque, anche se indirettamente, che egli aveva diritto di costituirsi anche nel giudizio odierno; particolare, questo, che acquisisce rilievo ai fini della liquidazione delle spese.
Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
A tale esito segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono inoltre i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 2.200, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza