Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21086 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21086 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6723/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliata per legge;
-ricorrente-
contro
KING SAS DI WU YUYOU
-intimata- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO di ROMA n. 5071/2021 depositata il 28/07/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/06/2024 dal Consigliere COGNOME NOME;
FATTI DI CAUSA
1. La società RAGIONE_SOCIALE ricorreva al Tribunale di Roma nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE Wu COGNOME (di seguito, per brevità, rispettivamente la società RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE), chiedendo: a) la risoluzione del contratto di affitto di azienda, in data 21 gennaio 2010 con la società convenuta ed avente ad oggetto l’attività di somministrazione di alimenti e bevande per grave inadempimento dell’affittuaria, o, in subordine, la cessazione del contratto alla data del 4 agosto 2011 per scadenza del termine di durata; b) l’accertamento dell’occupazione abusiva fino al 28 ottobre 2011 (data dell’avvenuta riconsegna), e, per l’effetto, la condanna della resistente al pagamento delle indennità di occupazione di cui all’art. 1591 c.c.; c) la condanna al risarcimento dei danni alla struttura e agli arredi dell’azienda, nonché all’avviamento e all’immagine aziendale.
Si costituiva in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE, la quale chiedeva il rigetto delle domande attoree, perché infondate in fatto e in diritto, e, in via riconvenzionale, chiedeva: a) la risoluzione del contratto di affitto d’azienda e del connesso contratto preliminare avente ad oggetto la cessione dell’azienda a far data dal 21 ottobre 2010 o, in subordine, a far data dal 4 agosto 2011, per grave inadempimento della controparte; b) la condanna alla restituzione del deposito cauzionale pari a € 50.000,00, nonché al risarcimento del danno ricollegabile alla risoluzione dei contratti.
Istruita la causa, il Tribunale, con sentenza n. 4539/2017,
dichiarava risolto il contralto di affitto d’azienda alla scadenza naturale del 4 agosto 2011;
compensava parzialmente le somme riconosciute in favore della società ricorrente – a titolo di indennità di occupazione e di rimborso delle somme corrisposte in luogo della resistente per il pagamento di utenze e servizi – con le somme riconosciute in favore della resistente, a titolo di rimborso del deposito cauzionale, condannando la RAGIONE_SOCIALE
a restituire alla resistente, il residuo importo di € 11.891,42, a titolo di deposito cauzionale;
rigettava le ulteriori domande proposte dalle parti;
condannava la resistente al pagamento dell’80% delle spese di lite, compensando l’ulteriore 20%.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva impugnazione la società RAGIONE_SOCIALE, la quale – dopo aver censurato il rigetto della domanda, da essa proposta e diretta ad ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, per violazione di legge, carente motivazione ed omessa valutazione di circostanze di fatto dedotte e provate – chiedeva, in riforma della sentenza di primo grado, l’accoglimento delle domande proposte in primo grado.
RAGIONE_SOCIALE, oltre a contestare l’appello principale, proponeva appello incidentale, chiedendo, in riforma parziale della sentenza, di condannare parte avversa al risarcimento dei danni materiali e immateriali, previa riapertura dell’istruzione della causa, con l’escussione dci testimoni indicati in primo grado, nonché condannare parte avversa, a titolo di rimborso per la tassa per l’occupazione pubblica, al pagamento della somma di € 3962,54, come documentalmente provata, in luogo della minor somma, pari a € 3 507,77, accordata dal Tribunale.
La Corte territoriale con sentenza n. 5071/2021:
in parziale riforma della sentenza del giudice di primo grado, condannava la società RAGIONE_SOCIALE alla restituzione, in favore della società RAGIONE_SOCIALE, della somma di euro 31.804,45, oltre interessi dalla domanda al saldo;
rigettava per il resto l’appello principale e l’appello incidentale;
compensava tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la società RAGIONE_SOCIALE in relazione al deposito cauzionale, riconosciuto nella minor misura di € 30.000.
Parte intimata non ha svolto difese.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha svolto difese ed il Difensore di parte ricorrente non ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.La società RAGIONE_SOCIALE affida il ricorso a sei motivi.
1.1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1 comma, n. 5., c.p.c. omessa pronuncia sulla domanda di accertamento della tardiva instaurazione del procedimento di appello e conseguente dichiarazione di sua inammissibilità per omesso esame delle circostanze di fatto addotte (comparsa di costituzione contenente appello incidentale, p. 11) dall’allora parte appellata a sostegno dell’eccezione di tardività.
1.2. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, I comma, n. 3, c.p.c. omessa pronuncia sulla domanda di accertamento della tardiva instaurazione del procedimento di appello e conseguente dichiarazione di sua inammissibilità in violazione e/o falsa applicazione dell’art. 327 c.p.c. Si duole che la corte territoriale, rinunciando a verificare la tempestività del ricorso proposto in appello dalla RAGIONE_SOCIALE (che risulta iscritto al ruolo degli affari civili della Corte di Appello di Roma il 4 ottobre 2017) non soltanto ha omesso la pronuncia su una domanda dell’allora parte appellata (mancando all’obbligo cui è chiamato ai sensi dell’art. 112 c.p.c.) ma anche ha mandato esente dalla sanzione dell’inammissibilità l’iniziativa della RAGIONE_SOCIALE in violazione dell’art. 327 c.p.c., che non consente la proposizione dell’impugnazione decorso il termine semestrale (nella specie decorso lunedì 3 ottobre 2017).
1.3. Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, I comma, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione
degli articoli 2561, 2562, 1615, 1587, 1590, 1218, 1177, 1223 e 2712 c.c. 115 c.p.c. nella parte in cui la corte territoriale non ha riconosciuto il danno materiale arrecato ai beni aziendali.
1.4. Con il quarto motivo la società ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, I comma, n. 5, c.p.c. giusti gli articoli 2712 c.c. 112, 115 e 116 c.p.c. nella parte in cui la corte territoriale ha omesso l’esame del materiale fotografico prodotto in primo grado, attestante danno materiale arrecato ai beni aziendali.
1.5. Con il quinto motivo la società ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, I comma, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio relativo all’esistenza e consistenza del danno all’immagine ed all’avviamento. Si duole che la corte territoriale non ha dato ingresso ai mezzi istruttori, articolati negli atti di giudizio e finalizzati a dar conto, per mezzo di prova testimoniale, degli atteggiamenti e delle iniziative intraprese dal Sig. COGNOME (legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE) e dalla Sig.ra NOME (moglie del Sig. NOME e socia accomandante della RAGIONE_SOCIALE).
1.6. Con il sesto motivo la società ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, I comma, n. 3 violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. in relazione alla valutazione delle prove concernenti l’esistenza e consistenza del danno all’immagine ed all’avviamento.
Il ricorso è inammissibile.
2.1. Il primo motivo è inammissibile, in quanto parte ricorrente deduce, come omesso esame di un fatto ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., l’omesso esame di un’eccezione rilevabile d’ufficio (quale per l’appunto è l’eccezione di tardività dell’appello principale), là dove avrebbe dovuto dedurre direttamente la questione della tardività dell’appello (non potendo limitarsi a prospettare l’omessa pronuncia su una questione inerente un vizio di violazione di norma processuale).
2.2. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto, come or ora rilevato, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 321/2016): <>.
Peraltro, il Collegio rileva che, quand’anche si volesse e si potesse esaminare la questione della pretesa tardività dell’appello per mancato rispetto del temine lungo al lordo della sospensione feriale dei termini per l’anno 2017, detta questione sarebbe priva di fondamento, atteso che gli stessi precedenti, che il motivo evoca, non affermano affatto che al termine lungo (nella specie di sei mesi decorsi dalla data di pubblicazione delle sentenza) debba aggiungersi un mese (quello di agosto inerente alla sospensione feriale, da calcolarsi in trenta giorni), ma affermano soltanto la durata della sospensione per 31 giorni. D’altronde la stessa parte ricorrente, avendo notificato il ricorso il 28 febbraio 2022 rispetto ad una sentenza pubblicata il 28 luglio 2017, scadendo il semestre del termine lungo il 28 gennaio 2022, ha (correttamente) considerato la sospensione feriale dell’anno 2021 di 31 giorni (e non di 30), perché altrimenti avrebbe dovuto notificare il giorno 27 febbraio.
2.3. Inammissibile è il terzo motivo, che non contiene nell’illustrazione in via diretta l’argomentazione della violazione o falsa applicazione della congerie di norme che indica nell’intestazione, ma la postula solo all’esito di una sollecitazione ad una rivalutazione della quaestio facti al di là del controllo consentito a questa Corte (vigente il n. 5 attuale dell’art. 360, per come ricostruito dalle note sentenze nn.
8053 e 8054/2014). Inoltre, la violazione dell’art. 115 c.p.c. non è dedotta secondo i criteri indicati da Cass. n. 11892 del 2016, ribaditi costantemente e condivisi anche dalle Sezioni Unite (si veda, non massimata sul punto, S.U. n. 16598 del 2016 e, massimata, Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020).
2.4. Analoga valutazione merita il quarto motivo. Quanto all’art. 116 c.p.c. vale il richiamo agli stessi precedenti di questa Corte.
2.5. Il quinto motivo è inammissibile, in quanto parte ricorrente imputa alla corte territoriale di non avere provveduto sulle istanze probatorie, che trascrive, ma, atteso che nell’esposizione del fatto riferisce che non erano state ammesse dal primo giudice, si astiene inammissibilmente dal dire se in sede di p.c. di primo grado erano state riproposte e – in questo caso – se, come e dove con l’appello incidentale erano state o riproposte ex art. 346 c.p.c. (se la riproposizione era possibile) o fatte oggetto di censura con appello incidentale – se del caso condizionato – quanto all’eventuale decisione espressa del primo giudice di ribadire di non ammetterle. In tal modo parte ricorrente non dimostra che la corte capitolina dovesse occuparsene.
2.6. Infine, il sesto motivo è inammissibile per la sua dipendenza dalla sorte del precedente, che sottende la erronea modalità di deduzione della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
L’inammissibilità di tutti i motivi rende il ricorso inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso non consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, in difetto di difese da parte della società intimata, ma consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2024, nella camera di consiglio