Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26484 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26484 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11857/2021 R.G. proposto da:
NOME, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO (p.e.c.: EMAIL)
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO (p.e.c.: ), elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Bologna n. 2546/2020, pubblicata in data 30 settembre 2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9
maggio 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME propone, con un unico complesso motivo, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), ricorso per la cassazione della sentenza d’appello pronunciata dalla Corte d’appello di Bologna n. 2546/2020 che ha rigettato il gravame proposto dalla ricorrente avverso la sentenza di primo grado.
Riferisce, nella premessa in fatto, che il Tribunale di Rimini, con sentenza n. 625 del 1° giugno 2017, ha rigettato l’opposizione, dalla stessa proposta, avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da RAGIONE_SOCIALE, con cui si intimava il pagamento della somma di euro 96.753,42, oltre interessi , e che il giudice d’appello ha rigettato l’impugnazione, disattendendo, per quel che ancora rileva in questa sede, l’eccezione di inesistenza della procura alle liti rilasciata dalla originaria opposta in formato cartaceo nel procedimento monitorio e dichiarato inammissibile, perché tardivamente introdotta, l’eccezione di difformità tra la copia notificata del decreto ingiuntivo e l’atto telematico presente nel fascicolo informatico.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
La ricorrente ha depositato memoria. Quella depositata dalla controricorrente non può considerarsi tale, difettandone i requisiti di legge.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente, con un unico complesso motivo, denunzia: ‹‹ 1)
Violazione e/o fa lsa applicazione dell’art. 83 c.p.c. e dell’art. 10 d.P.R. n. 123/2001; 2) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 125 c.p.c. e dell’art. 20 e segg. del d.lgs. n. 82/2005; 3) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99, 115 e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost.; 4) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. (art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. ››.
Procedendo ad una illustrazione unitaria delle suddette censure e premettendo che il giudice d’appello ha operato una esposizione incompleta e difforme delle doglianze da essa fatte valere nel giudizio di merito, lamenta, con specifico riferimento alla statuizione di rigetto dell’eccezione di inesistenza o di nullità della procura all e liti, che il giudice non ha fatto buon governo delle norme di cui agli artt. 83 cod. proc. civ. e 19 d.P.R. n. 123/2001, in quanto:
a) la sottoscrizione apposta in calce alla procura alle liti, rilasciata in formato cartaceo su foglio separato, dal legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE agli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, seppure autenticata dal primo difensore, mancava ‹‹ di specifica autenticazione con firma digitale del difensore ai sensi dell’art. 83 cod. proc. civ., con conseguente sua radicale inesistenza o nullità, rilevabile anche d’ufficio, a nulla rilevando che il ricorso ingiuntivo, in ragione del deposito per via telematica, fosse stato digitalmente firmato dal codifensore AVV_NOTAIO, dovendosi ritenere tale firma digitale attinente esclusivamente al deposito del ricorso per ingiunzione di pagamento e degli allegati ›› ; ‹‹ il ricorso per ingiunzione, quale atto ‘nativo’ , bisognevole di sua autonoma sottoscrizione digitale, era anch’esso privo di autonoma sottoscrizione digitale, con conseguente sua inesistenza o nullità parimenti radicale, rilevabile d’ufficio›› ;
‹‹la firma digitale dell’AVV_NOTAIO, addotta come
riferita alla copia informatica della procura alle liti rilasciata su supporto cartaceo, apposta a margine del ricorso e depositata con foglio separato, in effetti era relativa al deposito telematico del ricorso per ingiunzione e degli allegati, perché sia l’allegata (al ricorso) ‘ prima pagina del ricorso contenente a margine la procura alle liti cartacea ‘ , sia il ricorso per ingiunzione, sia la documentazione allegata, recano tutti la firma digitale dell’AVV_NOTAIO con un unico numero seriale, riferibile esclusivamente al loro deposito, in quanto temporalmente coincidenti con l’invio della busta di deposito telematico ›› ;
dalla documentazione allegata si evinceva ‹‹l’inesistenza di autonome sottoscrizioni con firma digitale da parte del difensore sia del ricorso per ingiunzione, sia della procura alle liti, in violazione della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e trasmessi per via telematica›› .
Contesta, pure, al giudice d’appello di avere reso una motivazione meramente apparente laddove aveva ritenuto infondata l’eccezione di difetto di sottoscrizione digitale della procura alle liti, non avendo spiegato le ragioni che lo avevano condotto a tale conclusione; apodittica e, comunque, integrante dichiarazione di assorbimento che si traduce in omessa pronunzia, a detta della ricorrente, è la motivazione della decisione impugnata anche nella parte in cui ha considerato sanata ogni eventuale nullità o irregolarità dal deposito della scansione della procura alle liti in formato cartaceo con relativa attestazione di conformità del difensore effettuata dalla opposta con la prima memoria ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ.
Si duole, infine, che il giudice d’appello non si sia avveduto che la copia del ricorso e del decreto ingiuntivo, ad essa notificata, fosse difforme dai corrispondenti atti telematici presenti nel fascicolo
monitorio informatico e che abbia omesso di pronunciarsi sulla relativa eccezione, limitandosi a dichiararla inammissibile perché tardivamente proposta, sebbene già con la memoria autorizzata del 13 gennaio 2015, depositata in primo grado, fosse stata tempestivamente dedotta.
Il ricorso si espone ad un preliminare e assorbente rilievo di inammissibilità perché carente del requisito di contenuto-forma prescritto dall’art. 366, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Nella parte introduttiva dell’atto la ricorrente si è invero limitata ad esporre che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo da essa proposto dinanzi al Tribunale si è concluso con la conferma del decreto ingiuntivo e che, parimenti, il giudizio d’appello, pure da essa introdotto, ha avuto esito a sé sfavorevole.
Dalle sintetiche indicazioni si evince solo che con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado era stata chiesta, in via principale, la revoca del decreto ingiuntivo e, in via riconvenzionale, che fosse portata in detrazione la ‹‹ somma emergente a credito di RAGIONE_SOCIALE dall’importo di cui è condanna nel decreto ingiuntivo opposto ››.
Assolutamente nulla, sia pure in via sommaria, invece è detto circa la vicenda sostanziale, le ragioni per cui in primo grado l’opposizione è stata rigettata, i motivi proposti a fondamento dell’appello e le difese in appello svolte da controparte.
Risulta, pertanto, evidente che non è rispettata la prescrizione imposta dal n. 3 dell’art. 366 cod. proc. civ., che esige che nel ricorso si dia conto delle vicende processuali, con indicazione sufficientemente chiara delle rispettive posizioni processuali delle parti, al fine di consentire la individuazione del thema decidendum, nonché degli argomenti dei giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi dalla esposizione dei singoli motivi, perché tanto
equivarrebbe a devolvere alla Corte un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che è invece riservata al ricorrente.
Del resto, i singoli motivi sono stati articolati in modo tale che essi si caratterizzano per una inestricabile commistione di elementi di fatto, richiami a documenti e tesi di diritto sottoposte al giudice di merito, sicché, per come formulati, violano il requisito di specificità e completezza, perché postulano un inevitabile intervento integrativo di questa Corte.
La stessa parte ricorrente, in premessa, addebita alla Corte d’appello di avere operato ‹‹ una esposizione incompleta e difforme delle doglianze ›› da essa formulate e di avere omesso ‹‹ la completa disamina delle eccezioni e dei rilievi dalla medesima avanzati, omettendo di conseguenza la decisione su di essi ›› , ma non avendo la stessa proceduto ad una preliminare esposizione dei fatti di causa, risulta pregiudicata l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, poiché non è consentito a questa Corte di valutare se le questioni di cui si sollecita l’esame in sede di legittimità siano state già sottoposte all’esame del giudice di merito e, in caso positivo, in quali termini , e ciò anche a fronte della eccezione d’inammissibilità per novità delle censure pure opposta dalla controricorrente.
La prescrizione imposta dal richiamato art. 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. risponde , d’altro canto, non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., sez. U, 20/02/2003, n. 2602).
La legittimità di tale requisito di accesso al giudizio di legittimità non può essere messa in dubbio in relazione al diritto di difesa delle parti, o a quello al giusto processo, tutelati dagli artt. 24 e 111 Cost., ovvero dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali.
Con la pronuncia della Corte Edu 28/10/2021, Succi c. Italia è stata esclusa la violazione della detta norma convenzionale in un caso in cui veniva in considerazione proprio il requisito dell’art. 366 , primo comma, n. 3, cod. proc. civ. (ritenuto in quel caso non rispettato dalla RAGIONE_SOCIALE per l’utilizzo della tecnica redazionale del c.d. assemblaggio), osservando in particolare che: ‹‹ l’interpretazione data all’esposizione sommaria dei fatti è compatibile con l’applicazione del principio dell’autosufficienza del ricorso che esige che la Corte di cassazione, ad una lettura globale del ricorso, sia in grado di comprendere l’oggetto della controversia nonché il contenuto delle censure che dovrebbero giustificare l’annullamento della decisione impugnata e sia in grado di pronunciarsi; la giurisprudenza della Corte di cassazione prevede procedure chiare e definite (si vedano i paragrafi 17 e 30) per la redazione dell’esposizione dei fatti rilevanti; la procedura davanti alla Corte di cassazione prevede l’assistenza obbligatoria di un avvocato che deve essere iscritto in un albo speciale, sulla base di determinate qualifiche, per garantire la qualità del ricorso e il rispetto di tutte le condizioni formali e sostanziali richieste; l’avvocato dei ricorrenti era quindi in grado di sapere quali fossero i suoi obblighi al riguardo, sulla base del testo dell’art. 366 e con l’aiuto dell’interpretazione della Corte di cassazione, definita «sufficientemente chiara e coerente».
Deve, quindi, ribadirsi la piena legittimità del requisito in parola e sottolinearsi che per soddisfarlo è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, ma anzi chiaro e sintetico, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione
avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata (v. Cass., sez. U. n. 2602 del 2003; Cass. 08/08/2023, n. 24149; Cass., 03/11/2021, n. 31318; Cass., 19/10/2021, n. 28929; Cass. 08/08/2023, n. 24149; Cass., sez. 3, 12/01/2024, n. 1352).
Neppure possono giovare alla ricorrente le argomentazioni prospettate, a supporto del ricorso, nella memoria illustrativa, non potendo le lacune del ricorso essere colmate o superate con atti successivi e, tanto meno, con le memorie.
Il ricorso è, quindi, inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto che la memoria depositata dalla controricorrente non contiene alcuna illustrazione delle difese svolte.
Sussiste altresì la responsabilità aggravata della ricorrente ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge, nonché al pagamento della ulteriore somma di euro 5.000,00, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione