Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3469 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 3469 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11246/2023 R.G. proposto da
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall ‘ avv. NOME COGNOME con domicilio digitale EMAIL – ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall ‘ avv. NOME COGNOME con domicilio digitale EMAIL
– controricorrente-
e contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall ‘ avv. NOME COGNOME con domicilio digitale EMAILpec.ordineavvocatitorino.it
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 566 del 10/3/2023 della Corte d ‘ appello di Bologna; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
lette le memorie delle parti;
RILEVATO CHE:
–NOME COGNOME conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Reggio Emilia, la RAGIONE_SOCIALE per ottenere il risarcimento dei danni dal preteso inadempimento contrattuale della convenuta alla fornitura dei servizi di sicurezza nel centro commerciale INDIRIZZO di Cesena; affermava l ‘ attrice che nella notte del 12/4/2013 ignoti malviventi avevano derubato il suo esercizio commerciale e che la sottrazione della convenuta a suoi specifici obblighi contrattuali (presidio con guardie giurate, telesicurezza, servizio di apertura, chiusura e gestione chiavi, ecc.) aveva cagionato (o contribuito a cagionare) il furto delle merci;
-la RAGIONE_SOCIALE chiamava in causa, a garanzia, RAGIONE_SOCIALE (oggi, RAGIONE_SOCIALE e contestava la pretesa attorea;
-con la sentenza n. 158 del 24/1/2019 il Tribunale di Reggio Emilia accoglieva la domanda della COGNOME e condannava la RAGIONE_SOCIALE a risarcire la somma di euro 54.419,30 e RAGIONE_SOCIALE Lloyd RAGIONE_SOCIALE a manlevare la già menzionata società (salva la franchigia assicurativa di euro 15.000);
-la Corte d ‘ appello di Bologna, adita dalla RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE con la sentenza n. 566 del 10/3/2023, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava le domande di NOME COGNOME e la condannava alla restituzione delle somme già riscosse, dichiarava inammissibile l ‘ appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE e condannava l ‘ appellata alla rifusione dei costi di lite;
–NOME COGNOME impugnava la menzionata sentenza con ricorso per cassazione, basato su tre motivi;
-resistevano con distinti controricorsi la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (già Quegli Assicuratori dei Lloyd ‘ s);
-le parti depositavano memorie (in particolare, la RAGIONE_SOCIALE asseriva di aver indennizzato la RAGIONE_SOCIALE dopo la pronuncia di primo grado e che la somma corrisposta alla Caroli non era stata restituita; tuttavia, non formulava alcuna esplicita domanda in tal senso);
CONSIDERATO CHE:
-il ricorso è inammissibile per violazione dell ‘ art. 366, comma 1, nn. 3 (che prescrive «la chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso»), 4 (che richiede «la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione») e 6 (che impone «la specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il motivo si fonda e l ‘ illustrazione del contenuto rilevante degli stessi»), del codice di rito;
-in proposito si osserva che più della metà del contenuto dell ‘ atto introduttivo è dedicata ad una lunga e contorta esposizione delle vicende processuali frammista a continue ed incidentali valutazioni della parte ricorrente («Circostanza pacifica e non contestata è che il predetto contratto fosse vigente tra le parti al momento del furto …», «risulta dimostrato che fosse obbligo della resistente di sorvegliare e vigilare il Centro Commerciale INDIRIZZO attraverso i servizi di sicurezza di cui al contratto in questione, con ogni strumento a sua disposizione, e che tali strumenti fossero sotto il suo diretto ed insindacabile controllo, per cui spettasse alla stessa di vigilare anche sul loro regolare funzionamento», «La richiamata clausola contrattuale non p uò che essere interpretata nel senso che …», «Anche le testimonianze assunte nel corso del processo confermavano che il controllo dei sistemi di allarme era demandato esclusivamente a RAGIONE_SOCIALE», ecc.), senza tuttavia riportare gli atti processuali propri o delle controparti nelle parti di interesse per la decisione di legittimità e, soprattutto, senza alcuna illustrazione del contenuto della sentenza impugnata;
-in altre parole, l ‘ esposizione del fatto processuale non si riferisce a quanto accertato e valutato dai giudici di merito, bensì alle interpretazioni della ricorrente riguardanti il contratto inter partes (il cui contenuto non è riportato, se non nell ‘ inciso «con propria organizzazione di mezzi capitali e personale») e, soprattutto, le risultanze probatorie;
-come esposto, risulta completamente pretermessa l ‘ illustrazione delle ragioni poste a fondamento della decisione impugnata e tale grave lacuna,
da un lato, inficia la ricostruzione del fatto processuale e, dall ‘ altro, rende oscure e non intelligibili le censure svolte col ricorso;
-peraltro, anche i singoli motivi, singolarmente considerati, sono inammissibili;
-col primo motivo la ricorrente deduce la «nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 c.p.c. per aver travisato le prove acquisite, in relazione all ‘ art 360 c. 1 n. 4 c.p.c.»;
-come statuito da Cass., Sez. U, Sentenza n. 5792 del 5/03/2024, Rv. 670391-01, il dedotto «travisamento del contenuto oggettivo della prova che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell ‘ informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell ‘ impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall ‘ art. 395, n. 4, c.p.c.»; solo se «il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere ai sensi dell ‘ art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale»;
-nel caso di specie, l ‘ atto introduttivo prospetta un ‘ travisamento ‘ sol perché, in un punto della motivazione, la Corte d ‘ appello ha escluso che la RAGIONE_SOCIALE avesse assunto obblighi di manutenzione dell ‘ impianto di allarme del centro commerciale, circostanza che nemmeno la RAGIONE_SOCIALE aveva mai sostenuto, avendo invece affermato che la società aveva il dovere di verificare il corretto funzionamento del predetto impianto;
-la lettura della ricorrente è capziosa e, lungi dall ‘ individuare un ‘ ipotesi di travisamento, distorce le argomentazioni del giudice d ‘ appello, il quale ha considerato le deposizioni ed è giunto alla conclusione che «A fronte di elementi istruttori parzialmente discordi assume rilevanza decisiva il testo del contratto, il cui oggetto include nei servizi prestati da RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE solo il «presidio in sede fissa con guardie particolari giurate», ossia
lo «svolgimento di funzioni di controllo» da parte delle guardie giurate dotato del «supporto indispensabile» del collegamento della struttura alla centrale operativa della convenuta, che «garantisce l ‘ ascolto delle segnalazioni d ‘ allarme 24 ore su 24 ed il pronto intervento della pattuglia nelle fasce orarie prestabilite».»;
-la censura, dunque, si risolve in un ‘ inammissibile istanza di rivalutare il libero convincimento del giudice di merito sulle risultanze delle prove orali e si riferisce ad accertamenti fattuali non censurabili in questa sede;
-col secondo motivo si deduce la «violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, e 1369 c.c.»;
-nella censura sono riportate solo alcune clausole contrattuali che la Corte d ‘ appello avrebbe, in tesi, erroneamente interpretato; tanto basta a rendere inammissibile il motivo, che, per come formulato, impedisce alla Corte di esaminare l ‘ accordo nel suo complesso e, quindi, di valutare la fondatezza delle censure;
-inoltre, «posto che l ‘ accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell ‘ interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata» (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 9461 del 9/04/2021, Rv. 661265-01); nell ‘ atto introduttivo della COGNOME, invece, manca completamente un raffronto tra la motivazione della pronuncia di merito e i canoni ermeneutici citati nella rubrica del motivo;
-infine, «L ‘ interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un ‘ altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l ‘ interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un ‘ altra» (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 11254 del 10/05/2018, Rv. 648602-01);
-col terzo motivo si deduce la «nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per aver considerato come non provati fatti non contestati, in relazione all ‘ art 360 c. 1 n. 4 c.p.c.»;
-anche questa censura è inammissibile per plurime ragioni;
-in primis , «ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui viene dedotta la violazione del principio di non contestazione deve indicare sia la sede processuale in cui sono state dedotte le tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell ‘ atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, sia, specificamente, il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori scritti difensivi, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell ‘ art. 115 c.p.c.» (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 15058 del 29/05/2024, Rv. 671191-01);
-in secondo luogo, la parte ricorrente passa in rassegna i mezzi di prova assunti nei gradi di merito per arrivare a sostenere che una loro differente valutazione -asseritamente conforme agli artt. 115 e 116 c.p.c. (norme che si assumono violate) -avrebbe condotto ad una differente decisione: come statuito da Cass., Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, «In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell ‘ art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori
dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall ‘ art. 116 c.p.c.» (Rv. 65903701) e «In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell ‘ art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo ‘ prudente apprezzamento ‘ , pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.» (Rv. 659037-02);
-infine, come recentemente statuito da Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 16028 del 7/06/2023, Rv. 667816-01, «Il principio di non contestazione di cui all ‘ art. 115 c.p.c., se solleva la parte dall ‘ onere di provare il fatto non specificamente contestato dal convenuto costituito, non esclude tuttavia che il giudice, ove dalle prove comunque acquisite emerga la smentita di quel fatto o una sua diversa ricostruzione, possa pervenire ad un diverso accertamento», sicché -anche a voler ipotizzare un difetto di contestazione da parte degli avversari -la censura non coglie nel segno, perché il libero convincimento della Corte d ‘ appello sull ‘ accertamento dei fatti poteva formarsi anche sulla base di altri elementi acquisiti in istruttoria;
-in conclusione, il ricorso è inammissibile;
-all ‘ inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente a rifondere a ciascuna parte controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate, secondo i parametri normativi, nella misura indicata nel dispositivo;
-va dato atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , D.P.R. n. 115 del 2002, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13;
p. q. m.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alle controparti le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate per ciascuna controricorrente in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese forfettarie al 15% ed accessori di legge;
ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, qualora dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile,