Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4998 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4998 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 7302-2020 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME ;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE;
– intimata –
Avverso la sentenza n. 2721/2019 d ella Corte d’appello di Milano , depositata il 10/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 14/09/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
LOCAZIONE USO DIVERSO
Inammissibilità del ricorso
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 14/09/2023
Adunanza camerale
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 2721/19, del 10 luglio 2019, della Corte di Appello di Milano, che -nel respingerne il gravame avverso la sentenza n. 10513/18, del 30 ottobre 2018, del Tribunale di Milano -ha confermato l’accoglimento solo parziale dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dagli stessi, oltre che dalla società RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, della quale essi sono soci illimitatamente responsabili, avverso il provvedimento monitorio conseguito dalla società RAGIONE_SOCIALE p er l’importo di € 175.545,00 (ridotti dal primo giudice a € 160.250.06), oltre interessi dalla domanda e spese della procedura, in relazione al rapporto di locazione immobiliare intercorso tra le due società.
Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti che la società RAGIONE_SOCIALE ebbe ad adire l’autorità giudiziaria per far valere un credito per canoni di locazione, non corrisposti dalla società RAGIONE_SOCIALE dal mese di agosto 2009 a quello di marzo 2013 (ossia, fino all’ adozione di ordinanza di convalida di sfratto per morosità, emessa dallo stesso Tribunale milanese), più un credito relativo al mancato pagamento dell’indennità di occupazione oltre che di una penale, prevista dall’art. 8 del contratto di locazione, in relazione all’arco d i tempo compreso tra la ridetta ordinanza di convalida e il rilascio dell’immobile, avvenuto il 1° marzo 2016. In particolare, l’allora ricorrente in INDIRIZZO, riteneva che, pur detratti i pagamenti effettuati in costanza di rapporto dalla conduttrice (e dalla locatrice imputati al capitale), la società RAGIONE_SOCIALE e i soci illimitatamente responsabili, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, fossero rimasti debitori dell’importo di € 175.545,00, oltre interessi ex art. 5 del d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231.
Proponevano opposizione, come detto, la società RAGIONE_SOCIALE e gli odierni ricorrenti, sostenendo l’errato calcolo del ‘ quantum debeatur ‘, innanzitutto perché la locatrice non avrebbe tenuto conto di una serie di pagamenti effettuati dalla COGNOME e dal COGNOME. Veniva dedotta, inoltre, l’inapplicabilità della penale, contrattualmente prevista -a dire degli opponenti -solo per l’ipotesi di mancata restituzione dell’immobile, e non quale effetto della pronuncia di convalida di sfratto per morosità. Gli opponenti, subordinatamente, deducevano che la penale avrebbe dovuto essere ridotta ex art. 1384 cod. civ. (tenuto conto del concorso di colpa della locatrice, la quale aveva provveduto a far eseguire solo in data 1° marzo 2016 l’ordinanza di convalida dello sfratto , sebbene essa fissasse la data di esecuzione per l’11 aprile 2013) , e inoltre che essa era stata erroneamente calcolata, perché andava applicata nella misura del 50% del corrispettivo mensile in corso al momento della cessazione del contratto, e quindi su ll’importo di € 3.000,00 (e non di € 3.630,00), dovendo scorporarsi l’IVA.
Il primo giudice accoglieva solo parzialmente l’opposizione, riconoscendo che parte opponente aveva effettuato -oltre a quelli già conteggiati dalla creditrice nel proprio ricorso monitorio -ulteriori pagamenti, nonché dichiarando che l’incremento del 50% del corrispettivo mensile, previsto dall’art. 8 del contratto a titolo di penale, dovesse calcolarsi previo scorporo dell’IVA. L’adito Tribunale, quindi, rideterminava in € 160.250.06, oltre interessi, la somma complessiva da corrispondersi in favore della società RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
Siffatta decisione veniva confermata dal giudice di appello, che respingeva il gravame dei già attori in opposizione.
Avverso la sentenza della Corte ambrosiana hanno proposto ricorso per cassazione la COGNOME e il COGNOME, sulla base -come detto -di cinque motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 342, 343 e 434 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost., nonché nullità della sentenza per violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 112 cod. proc. civ.
I ricorrenti si dolgono del fatto che il giudice di appello abbia dichiarato inammissibile -per difetto di specificità -il primo motivo del loro atto di gravame, con il quale essi sollecitavano una revisione dei capi della sentenza di primo grado, relativi ai dedotti pagamenti effettuati in conto canoni di locazione.
Negano i ricorrenti che il loro motivo di appello fosse generico, mirando esso a dimostrare, ‘mediante le produzioni documentali versate nel procedimento di primo grado’ , l a ‘ integrale avvenuta copertura del debito da locazione’.
A loro dire, dunque, l’erronea declaratoria di inammissibilità del motivo ha comportato che ‘la decisione della Corte territoriale di non scrutinare gli atti estintivi addotti’ da essi COGNOME e COGNOME si è convertita ‘sostanzialmente in un vizio di omessa pronuncia’.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3), 4) e 5), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1197, 2697 e 2727 cod. civ., oltre che degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e, in generale, del principio di non contestazione, oltre a nullità della sentenza, per violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 112 cod. proc. civ., nonché per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Lamentano che la Corte territoriale, avendo ritenuto inammissibile il primo motivo di appello, ‘non si è peritata di verificare se fosse fondata l’eccezione, sollevata dai ricorrenti, di pagamento dei canoni mediante l’allegazione della consegna al locatore di n. 9 assegni bancari (per complessivi € 40.000,00 circa)’.
Al riguardo, essi sottolineano come il Tribunale avesse stabilito, in primo grado, che ‘tali assegni non sono mai stati incassati dall’opposta’, affermazione menzionata dalla Corte milanese per concludere -a pag. 7 -circa ‘l’avvenuto passaggio in giudicato del relativo decisum alla luce della mancata impugnazione da parte dell’obbligato principale RAGIONE_SOCIALE‘.
Tale affermazione, a dire dei ricorrenti, ‘oblitera il costante orientamento di legittimità in punto di prova di pagamenti, oltre a violare in modo stridente le norme di diritto enunciate nell’epigrafe del motivo’ qui in esame. Infatti, in caso di pagamento effettuato mediante assegni di conto corrente, ‘l’effetto liberatorio si verifica con la riscossione della somma portata dal titolo, in quanto la consegna del titolo deve considerarsi effettuata, salvo diversa volontà delle parti, « pro solvendo » ‘; tuttavia, ‘ poiché l ‘ assegno, in quanto titolo pagabile a vista, si perfeziona, quale mezzo di pagamento, quando passa dalla disponibilità del traente a quella del prenditore, ai fini della prova del pagamento, quale fatto estintivo dell’obbligazione, è sufficiente che il debitore dimostri l’avvenuta emissione e la consegna del titolo, incombendo invece al creditore la prova del mancato incasso, la quale, pur costituendo una prova negativa, non si risolve in una « probatio diabolica », in quanto, avuto riguardo alla legge di circolazione del titolo, il possesso dello stesso da parte del creditore che lo ha ricevuto implica il mancato pagamento’.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3), 4) e 5), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 1193, 2697, 2934, 2940 e 2948 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e, in generale, del principio di non contestazione, oltre a nullità della sentenza per violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 112 cod. proc. civ., nonché per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Si censura la sentenza impugnata per aver respinto il secondo motivo di appello, con il quale era stato lamentato il malgoverno delle norme in materia di imputazione di pagamento, rispetto a quattro bonifici bancari (effettuati dalla locataria, per l’impor to complessivo di € 16.870,00, il 31 agosto, il 12 settembre, il 30 settembre e il 20 novembre del 2009), avendo anche la Corte milanese ritenuto gli stessi da imputare ad un pregresso contratto di locazione del 1° settembre 2005, corrente tra le stesse parti, e ‘novato’ con quello per cui è causa, stipulato il 1° agosto 2009. Siffatta circostanza, tuttavia, non allegata nel ricorso monitorio (nel quale, al contrario, la deduzione riguardava una morosità relativa -tra l’altro proprio ai primi cinque mesi del contratto, ovvero quelli da agosto a dicembre 2009), sarebbe stata introdotta solo nel giudizio di opposizione, incardinato nell’anno 2016, allorché i relativi crediti nascenti dal contratto del 2005 risultavano, però, ormai prescritti, dovendo applicarsi la prescrizione quinquennale ex art. 2948 cod. civ.
Inoltre, la Corte ambrosiana -violando la disciplina sia sull’imputazione di pagamento , che sulla ripartizione dell’onere della prova -avrebbe posto a carico del debitore la dimostrazione di aver pagato tutti i canoni relativi al pregresso rapporto contrattuale, mentre è il creditore che, ‘di fronte alla comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva, ossia puntualmente eseguito con riferimento a un determinato credito’,
ha l’onere di controdedurre ‘che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso da quello indicato dal debitore’. Nella specie, oltretutto, la parte debitrice, ancorché non vi fosse onerata, avrebbe ‘offerto comunque la prova della riferibilità del pagamento al contratto di locazione del 2009, allegando non meno di cinque circostanze oggettive’ . Tra di esse, in particolare, la rispondenza dell’importo complessivo corrisposto (e delle singole somme erogate con i quattro bonifici) all’ammontare delle prime cinque mensilità del canone della locazione del 1° agosto 2009, oltre che l’effettuazione dei pagamenti proprio in corrispondenza di ciascuna mensilità.
3.4. Il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3), 4) e 5), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 1591, 2697, 2043, 1223 e 1226 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., oltre a nullità della sentenza per violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 112 cod. proc. civ., nonché per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
In questo caso, i ricorrenti si dolgono della reiezione del motivo di gravame con il quale assumevano che l’importo dovuto in forza della penale contrattualmente stabilita dovesse essere pari a € 157.500,00, somma alla quale essi pervenivano moltiplicando, per 35 mensilità (periodo lungo il quale si era protratto, dopo l’adozione dell’ordinanza di convalida di sfratto, il mancato rilascio dell’immobile) , l’importo di € 4.500,00, corrispondente al canone di locazione al netto dell’IVA ovvero, € 3.000,00 maggiorato del 50%, come, appunto, da penale.
La Corte territoriale, nel confutare tale motivo, ha addebitato alla parte allora appellante di confondere quanto dovuto per l’occupazione senza titolo del bene (somma equitativamente
determinata dal primo giudice con riferimento all’ammontare del canone di locazione, comprensivo d’IVA), ‘con quanto dovuto a titolo di penale contrattuale, in relazione al quale’, invece, il Tribunale di Milano, proprio ‘accogliendo il motivo di opposizione’, aveva ‘ridotto la base del calcolo, scorporando l’IVA’, trattandosi ‘di debito di valore’.
I ricorrenti censurano tale affermazione, congiuntamente ad altra operata dalla Corte ambrosiana, secondo cui il danno da mancato reimpiego del bene locato, dopo il suo rilascio da parte del conduttore in mora, deve ritenersi ‘ in re ipsa ‘. Rilievo, quest’ultimo, contestato , in primo luogo, perché la sentenza impugnata ha fatto riferimento ad un arresto di questo giudice di legittimità -Cass. Sez. 6-3, ord. 28 agosto 2018, n. 21239 -del tutto inconferente, perché relativo ad un’ipotesi affatto diversa da quella che qui occupa (concernendo tale arresto il danno subito dall’acquirente della ‘ res locata ‘ che non ottenga la consegna della stessa, così non vedendo remunerato il proprio investimento). In secondo luogo, si evidenzia come sia da escludersi, sulla scorta nuovamente della giurisprudenza di questa Corte, l’esistenza di ‘un automatismo tra ritardata restituzione e profilarsi del maggior danno di cui all’art. 1591 cod. civ.’, danno che il locatore, invece, ‘ha lo specifico onere di allegare e dimostrare’, e dunque non liquidabile dal giudice, in difetto di tale allegazione e dimostrazione, neppure in via equitativa, come la sentenza impugnata ritiene abbia fatto il giudice di prime cure.
Senza, infine, neppure tacere della circostanza -concludono sul punto i ricorrenti -che gli errori in cui è incorsa la Corte milanese ne hanno comportato un altro ‘molto grave e insidioso, idoneo a incidere sull’ordine pubblico economico’, giacché mentre ‘il canone di locazione è soggetto a d anticipo in via di rivalsa dell’IVA, che il locatore riscuote dal conduttore per conto
dell’Erario, al quale deve versarla’, al contrario , ‘l’indennità di occupazione senza titolo non è soggetta ad IVA, ma sconta un’imposta di registro supplementare del 2%’.
3.5. Il quinto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4) cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell’art. 1384 cod. civ., oltre a nullità della sentenza per violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 112 cod. proc. civ.
I ricorrenti assumono che la sentenza impugnata ha violato l’art. 1384 cod. civ., non avendo riconosciuto i presupposti per la riduzione della penale pattuita.
Deducono, in particolare, di aver evidenziato che -in forza di quanto statuito dal primo giudice -è stato riconosciuto al locatore, a titolo di penale, un importo pari addirittura al 170% del canone di locazione, tanto da determinare in capo al medesimo un interesse al perdurare dell’inadempienza, a riprova della cui sussistenza essi avevano allegato come il locatore ‘avesse indugiato a mettere in esecuzione l’ordinanza di sfratto’.
La Corte milanese, tuttavia, avrebbe ‘totalmente obliterato la portata del rilievo della manifesta eccessività della penale, limitandosi ad osservare che la circostanza di fatto della ritardata esecuzione (allegata dai ricorrenti solo al fine di irrobustire argomentativamente la tesi formale) non risultasse provata’, così mancando di pronunciare su tutta l’eccezione proposta.
È rimasta solo intimata la società RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Non consta, invece, la presentazione di conclusioni scritte da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile, in ciascuno dei cinque motivi in cui si articola.
7 .1. L’inammissibilità del primo motivo discende dalla sua formulazione non conforme al disposto dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ.
7.1.1. I ricorrenti, come illustrato, si dolgono del fatto che il primo dei motivi del gravame, da essi esperito avverso la sentenza resa dal giudice di prime cure, sia stato ritenuto carente del requisito della specificità. In particolare, essi contestano tale statuizione, giacché il motivo allora proposto risultava basato sulle ‘produzioni documentali versate nel procedimento di primo grado’, idonee a loro dire -a dimostrare ‘l’integrale avvenuta copertura del debito da locazione’.
Il presente motivo, tuttavia, viola l’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ.
Occorre, invero, muovere dalla premessa che ‘ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l ‘ onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità’ (da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 6 settembre 2021, n. 24048, Rv. 662388-01; in senso conforme Cass. Sez. 5, ord. 29 settembre 2017, n.
22880, Rv. 645637-01; Cass. Sez. 6-3, sent. 28 novembre 2014, n. 25308, Rv. 633637-01; Cass. Sez. 3, sent. 10 gennaio 2012, n. 82, Rv. 621100-01; Cass. Sez. 1, sent. 20 settembre 2006, n. 20405, Rv. 594136-01).
Difatti, ‘la deduzione della questione dell’inammissibilità dell’appello, a norma dell’art. 342 cod. proc. civ.’, seppur ‘integrante « error in procedendo », che legittima l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all’art. 366, c omma 1, n. 4) e n. 6), cod. proc. civ., che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d ‘ interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza’ (Cass. Sez. Lav., ord. 4 febbraio 2022, n. 3612, Rv. 663837-01).
Nel caso di specie, tuttavia, i ricorrenti non chiariscono quale fosse la specifica censura rivolta alla motivazione della sentenza gravata con l’appello. L’assunto da essi oggi proposto risulta, dunque, inosservante dell’onere di cui al citato art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., risolvendosi in un ‘ inammissibile delega, conferita a questa Corte, a ricercare, essa stessa, in quale modo il loro motivo di appello avrebbe potuto ritenersi conforme al l’art. 342 cod. proc. civ.
In secondo luogo, gli odierni ricorrenti neppure riassumono il contenuto del le ‘produzioni documentali versate nel procedimento di primo grado’ (né le localizzano, indicando ove esse risultino presenti, nel fascicolo di parte), attestanti la specificità del motivo di gravame con il quale assumevano di aver integralmente soddisfatto le pretese creditorie della già locatrice.
7.2. Il secondo motivo risulta, del pari, inammissibile, per più ragioni.
7.2.1. Innanzitutto, perché le argomentazioni ivi svolte si risolvono in una non consentita sollecitazione a rivalutare la ‘ quaestio facti ‘ oggetto del giudizio, peraltro senza osservare, neanche in questo caso, l’art. 366 , comma 1, n. 6) cod. proc. civ.
Nello sviluppo del motivo, infatti, non vi è alcuna traccia di indicazione del fatto del quale sarebbe stato omesso l’esame , così come, parimenti, non risulta spiegato in cosa consista la censura di violazione della corrispondenza fra chiesto e pronunciato.
Con riferimento, inoltre, al denunciato vizio ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., deve pure rilevarsi che -avendo gli odierni ricorrenti proposto gravame contro una sentenza resa, in prime cure, in data 30 ottobre 2018 -l’atto di appello risulta, per definizione, proposto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all’11 settembre 2012.
Orbene, siffatta circostanza determina l’applicazione ‘ ratione temporis ‘ dell’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ. (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 18 settembre 2014, n. 26860, Rv. 633817-01; in senso conforme, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 9 dicembre 2015, n. 24909, Rv. 638185-01, nonché Cass. Sez. 6-5, ord. 11 maggio 2018, n. 11439, Rv. 648075-01), norma che preclude, in un caso -qual è quello presente -di cd. ‘doppia conforme di merito’, la
proposizione di motivi di ricorso per cassazione formulati ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., salvo che la parte ricorrente non soddisfi l’onere , ciò che nella specie non risulta però avvenuto, ‘di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse’ (Cass. Sez. 1, sent. 22 dicembre 2016, n. 26774, Rv. 643244-03; Cass. Sez. Lav., sent. 6 agosto 2019, n. 20994, Rv. 654646-01; Cass. Sez. 3, ord. 28 febbraio 2023, n. 5947, Rv. 667202-01).
Con riferimento, invece, alle censure di violazione di legge, deve rilevarsi come i ricorrenti, nello svolgerle, non si occupino affatto della motivazione enunciata dalla Corte ambrosiana -al secondo capoverso di pag. 8 della sentenza impugnata -sul secondo motivo di appello, in allora da essi proposto.
Si legge, infatti, in sentenza che dei pagamenti effettuati con gli assegni bancari la parte conduttrice ‘non ha effettuato alcuna specifica imputazione’, sicché, ‘essendovi dei debiti pregressi a carico degli stessi soggetti per un precedente contratto, il locatore ha correttamente imputato tali pagamenti, per un totale di complessivi euro 16.807,00 ad estinzione dei debiti scaduti’, non avendo gli allora appellanti ‘argomentato di avere già saldato le posizioni debitorie relative al primo contratto concluso nel 2005 e comprovate dal locatore’.
Tale motivazione non viene considerata, nello svolgimento del secondo motivo del presente ricorso, né espressamente, né indirettamente. Ne consegue, pertanto, che le censure di violazione di legge proposte con il presente motivo non colgono (né quindi censurano ) la ‘ ratio decidendi ‘ della sentenza impugnata donde l’inammissibilità , anche sotto questo profilo, del presente motivo (Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-3, ord. 3 luglio 2020, n. 13735, Rv. 658411-01).
7.3. Inammissibile è pure il terzo motivo di ricorso.
7.3.1. Innanzitutto, perché anch’esso viola l’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., in quanto non fornisce l’indicazione specifica di tutte le risultanze processuali evocate.
Inammissibili, poi, sono le censure di violazione dell’art. 2697 (e, di riflesso, dell’art. 1193) cod. civ., atteso che la Corte ambrosiana ha ritenuto raggiunta la prova -sulla base di una scheda contabile prodotta dall’appellata che i pagamenti per € 16.870,00 fossero stati imputati dalla locatrice ad un debito pregresso, quello relativo al contratto concluso nel 2005, sicché, nella specie, la contestazione avrebbe dovuto investire, semmai, la motivazione relativa alla ‘prova acquisita’, e non il riparto dell’onere della prov a.
Infatti, la ‘violazione del precetto di cui all’ art. 2697 cod. civ., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni’ (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 649038-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-01), restando, invece, inteso che ‘laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti’, essa ‘può essere fatta valere ai sensi del numero 5 del medesimo art. 360’ (Cass. Sez. 3, sent. 17 giugno 2013, n. 15107, Rv. 62690701), ovviamente ‘entro i limiti ristretti del «nuovo»’ suo testo (Cass. Sez. 3, ord. n. 13395 del 2018, cit .), ovvero denunciando l’esistenza di una motivazione intrinsecamente contraddittoria o manifestamente illogica.
Né soccorre, al riguardo, la denuncia di violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., giacché la prima di tali norme sancisce il principio secondo cui il giudice decide ‘ iuxta alligata et probata partium ‘, sicché la sua violazione ‘può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli’ (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640192-01). Inammissibile, del pari, è la censura di violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, essendo la stessa ravvisabile solo quando ‘il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria so ggetta ad un diverso regime’ (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01, nello stesso, più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonché Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 65884002), mentre ‘ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione’ (Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-02), ovvero evidenziando la presenza, nella motivazione, di profili di ‘irriducibile contraddittorietà’ (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01) o di inconciliabilità logica (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), tali da rendere le sue
‘argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento’ (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01).
Quanto, invece, alla censura -per vero, più ‘suggestiva’ secondo cui l’imputazione dei cinque pagamenti (compiuti dal mese di agosto a quello di dicembre del 2009) a crediti relativi ad un contratto concluso nel 2005, essendo avvenuta nel corso di un gi udizio radicato nel 2016, sarebbe stata preclusa dall’intervenuta prescrizione quinquennale degli stessi ex art. 2948 cod. civ., essa non si confronta con l’effettivo contenuto della sentenza impugnata, donde la sua inammissibilità. Nella pronuncia in esame , infatti, si legge che ‘al momento di ciascuno di questi pagamenti’ (e, dunque, nell’anno 2009, prima che maturasse il termine quinquennale di prescrizione), ‘il conduttore non ha effettuato alcuna specifica imputazione’, sicché, ‘essendovi dei debiti pregressi a carico degli stessi soggetti per un precedente contratto’, ovvero quello del 2005, ‘il locatore ha correttamente imputato’ in allora, senza che il testo della sentenza autorizzi una lettura diversa -‘tali pagamenti, per un totale di complessiv i € 16.807,00, ad estinzione di debiti scaduti’.
7.4. Anche il quarto motivo di ricorso è viziato da inammissibilità.
7.4.1. Esso, infatti, assume espressamente come oggetto di critica la motivazione enunciata dalla Corte territoriale a proposito del terzo motivo di appello, censurandola però -oltretutto in modo oscuro, tanto da rivelarsi incomprensibile (e per ciò solo, quindi, inammissibile; cfr. Cass. Sez. Lav., sent. 15 dicembre 1979, n. 6530, Rv. 403284-01; in senso analogo, già in passato,
Cass. Sez. 3, sent. 6 agosto 1974, n. 2363, Rv. 370753-01, nonché, in tempi più recenti, Cass. Sez. 3, sent. 4 febbraio 2000, n. 1238, Rv. 533471-01 e, da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 10 dicembre 2021, n. 39260, non massimata) -attraverso una doglianza che evoca l’inesattezza del principio di diritto richiamato dal giudice di appello, invece, a proposito del quinto e sesto motivo di gravame. Sicché la critica svolta nel terzo capoverso di pag. 19 del ricorso risulta non pertinente rispetto alla motivazione assunta, espressamente, come oggetto di critica da parte dello stesso motivo, il che lo rende per ciò solo inammissibile. Il tutto non senza rilevare anche l’affastellamento , nella intestazione del motivo, di violazione distinte, che poi non trovano affatto una chiara e percepibile spiegazione nell’illustrazione (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 6 maggio 2015, n. 9100, Rv. 635452-01; in senso analogo, si veda anche Cass. Sez. 3, ord. 17 marzo 2017, n. 7009, Rv. 643681-01).
7.5. Infine, pure il quinto e ultimo motivo è inammissibile.
7.5.1. In questo caso si fatica a comprendere quale parte della motivazione della sentenza i ricorrenti vogliano criticare, disinteressandosi di quella enunciata nella pag. 9 con la proposizione che inizia con le parole ‘dalla documentazione ( … ) .’
Inoltre, i ricorrenti svolgono pure considerazioni che sollecitano un ‘inammissibile rivalutazione della ‘ quaestio facti ‘ , evocando ‘tutte le ‘ -non meglio precisate -‘ risultanze del processo’ , senza, peraltro, il rispetto dell’art. 366 , comma 1, n. 6) cod. proc. civ., soprattutto in relazione a quanto si afferma alle pagg. 26-27 del ricorso.
In ogni caso, deve rilevarsi che nella sentenza impugnata si afferma che gli allora appellanti avevano basato la loro richiesta di riduzione della penale ‘esclusivamente’ (e non
‘esemplificativamente’, come oggi si assume in ricorso) sulla circostanza -ritenuta, peraltro, non provata dalla sentenza impugnata -che la conduttrice avrebbe indugiato nel mettere in esecuzione l’ordinanza di sfratto.
Orbene, è vero che il giudice può esercitare anche d’ufficio il potere ex art. 1384 cod. civ., ‘ma l’ esercizio di tale potere è subordinato all’assolvimento degli oneri di allegazione e prova, incombenti sulla parte, circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell’eccessività della penale’ (Cass. Sez. 2, ord. 19 dicembre 2019, n. 34021, Rv. 656324-01), onere che, nella specie, la Corte ambrosiana ha ritenuto non essere stato assolto
Nulla va disposto quanto alle spese del presente giudizio di legittimità, essendo rimasta la società RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE solo intimata.
A carico dei ricorrenti, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della