Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1425 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1425 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26630/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv . COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME EMAIL e COGNOME EMAIL, giusta procura speciale allegata al ricorso.
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ricorrente – contro
CONSIGLIO DELL’ ORDINE DEGLI PSICOLOGI DELLA TOSCANA, domiciliato ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME
(EMAIL, giusta procura speciale in calce al controricorso.
–
contro
ricorrente – avverso la sentenza della C orte d’Appello di Firenze n. 1807/2022 depositata il 23/08/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/10/2023
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che
COGNOME NOME conveniva avanti al Tribunale di Firenze il Consiglio dell’Ordine degli Psicologi della Toscana per chiederne la condanna, in forza di due delibere consiliari, al rimborso delle spese processuali da lui sostenute in relazione ad un lungo procedimento penale nel quale era stato coinvolto quale segretario del seggio elettorale per il rinnovo dei componenti dell’ordine e dalle cui imputazioni era stato assolto.
Si costituiva resistendo il Consiglio dell’Ordine.
1.2. Con sentenza del 5 settembre 2019 il Tribunale di Firenze accoglieva la domanda e condannava l’Ordine al pagamento delle spese processuali sostenute dall’attore.
Avverso tale sentenza il Consiglio dell’Ordine interponeva appello, in cui si costituiva resistendo COGNOME NOME
Con sentenza n. 1807/2022 pubblicata il 23/08/2022 e notificata il 28/08/2022, la Corte d’Appello di Firenze accoglieva il gravame e, in totale riforma della sentenza di primo grado, respingeva la domanda di condanna avanzata da COGNOME NOME contro il Consiglio dell’Ordine degli psicologi della Toscana.
Avverso tale decisione COGNOME NOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Resiste con controricorso il Consiglio dell’Ordine degli psicologi della Toscana.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1, cod. proc. civ.
Il PM non ha depositato conclusioni
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che
Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 1720 cod. civ. e dell’art. 1362 cod. civ.
Lamenta che la sentenza impugnata è incorsa in errore di diritto, in quanto non ha correttamente interpretato ed applicato l’art. 1333 cod. civ. ed ha anche contravvenuto ai principi in materia di interpretazione dei contratti, pervenendo alla conclusione, tautologica, per cui ad un ente pubblico sarebbe preclusa, mediante l’assunzione di delibere in tal senso, la conclusione di un contratto con obbligazioni del solo proponente avente ad oggetto l’accollo interno del debito di un terzo.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; ovvero, in subordine, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., non avendo il giudice d’appello pronunciato su tutta la domanda dell’appellato, attore in primo grado.
Lamenta che tanto la sentenza di prime cure, quanto quella di appello, hanno omesso di pronunciarsi sul legittimo affidamento circa il rimborso delle spese processuali sostenute, ingenerato nel COGNOME NOME dalle delibere in tal senso assunte dal Consiglio dell’Ordine del 1997 -1999, alle quali il Consiglio ha dato piana esecuzione con riguardo agli altri co-indagati, mentre riguardo ad esso COGNOME è pervenuto a rimuoverle in sede di autotutela, peraltro in maniera inefficace, come rilevato da entrambi i giudici di merito, a ben quindici anni di distanza, nell’aprile 2012.
3. Il primo motivo è inammissibile.
Sebbene nella intestazione del motivo venga evocata la <>, in nessuna parte della sua illustrazione viene censurata la seconda ratio decidendi della sentenza impugnata, fondata sulla, pur denegata in via principale, qualificazione della fattispecie in termini di accollo, e secondo la quale (v. p. 13 della motivazione): <>.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, se la sentenza sia sorretta, come nella specie, da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficienti a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per
difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza ( ex plurimis Cass., 10/11/2022, n. 30200; Cass., n. 18119 del 2020, Cas., Ord. n. 9752 del 2017; nello stesso senso anche Cass., 15399/2018, secondo cui il giudice di merito che, dopo avere aderito ad una prima ratio decidendi , esamini ed accolga anche una seconda ratio , al fine di sostenere la propria decisione, non si spoglia della potestas iudicandi , atteso che l’art. 276 cod. proc. civ. distingue le questioni pregiudiziali di rito dal merito, ma non stabilisce, all’interno di quest’ultimo, un preciso ordine di esame delle questioni; in tale ipotesi, pertanto, la sentenza risulta sorretta da due diverse rationes decidendi , distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, sicché l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile la censura relativa alle altre).
3.1. Quand’anche poi ci si interrogasse sulla presenza del comune presupposto delle due rationes decidendi , e cioè sulle conseguenze e le necessarie implicazioni derivanti dall’esegesi causale delle delibere assunte dall’Ordine degli Psicologi, in ragione della natura di tale ente, si dovrebbe prendere atto che il motivo assume come oggetto di critica la motivazione della sentenza impugnata, evocandone due brevi passi della motivazione, riprodotti a pag. 7 all’inizio dell’illustrazione, i quali -in disparte che il primo è indicato come riportato a pag. 11, mentre è a pag. 10 della sentenza -sono intervallati da una motivazione che si dipana per la seconda metà della pagina 10 e per la prima della pagina 11. E, peraltro, il passo di cui a pag. 11 è pure riportato omettendo la disposizione normativa che ne costituisce l’intermezzo. Ed ancora, viene ignorata l’argomentazione che si sviluppa dopo il passo motivazionale
incompleto di pag. 11, fino alle prime due righe della pag. 13.
Ebbene, nella descritta situazione, il motivo risulta inammissibile alla stregua del principio di diritto di cui a Cass., 11/01/2005, n. 359, secondo cui il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (v. tra le successive numerosissime conformi, Cass., 31/08/2015, n. 17330; Cass., Sez. Un. 20/03/2017, n. 7074, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto).
L’assenza di confronto con la motivazione, peraltro, riguarda anche le ultime due proposizioni della pag. 13, che, pur enunciate a proposito dell’ipotesi di qualificazione come accollo, sono riferibili anche alla tesi esposta in ordine alla qualificazione ai sensi dell’art. 1720 cod. civ.
3.2. Infine, mette conto di rilevare che a p. 10 del ricorso si lamenta, sebbene eccentricamente rispetto alla censura, in
quanto non viene evocato l’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., l’omessa considerazione, in funzione di comportamento successivo alle delibere, di tre circostanze delle quali non si indica se, dove e quando fossero state dedotte in via argomentativa nel giudizio di merito. Tanto si rileva, fermo restando che la mancata critica alla motivazione sulle implicazioni della natura dell’ente, comunque renderebbe prive di rilievo dette circostanze.
3.3. Tanto non esime, peraltro, dal rilevare che anche le argomentazioni sull’esegesi letterale delle delibere si risolvono -inammissibilmente- in una mera prospettazione di un diverso apprezzamento di fatto, piuttosto che nella denuncia di violazione e, alternativamente, di falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ.
Il secondo motivo è inammissibile.
Anzitutto in quanto proposto ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., atteso che non concerne un ‘fatto’ ai sensi della ricostruzione che le Sezioni Unite hanno dato dell’espressione ivi contenuta, tale non essendo l’affidamento (v. Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054, che hanno avuto modo di affermare che il controllo previsto dall’art. 360, nuovo n. 5, cod. proc. civ., concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extra testuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia), per cui la parte ricorrente dovrà, quindi, indicare -nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, e art. 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. -il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extra testuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra
le parti, la decisività del fatto stesso.
4.1. Il motivo è poi altrettanto inammissibile in quanto proposto ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., giacché deduce che la corte territoriale ha del tutto ignorato il tema del legittimo affidamento <>, ma invero ciò che viene riportato della comparsa di costituzione di appello, se anche si intendesse come ripropositivo di una qualificazione della domanda basata sull’invocazione dell’affidamento come diretta giustificazione della pretesa creditoria, risulta, per la sua genericità, del tutto inidoneo ad evidenziare in iure tale giustificazione come fatto costitutivo della pretesa creditoria, non solo al lume delle motivazioni svolte dalla sentenza impugnata, ma anche prescindendo da esse.
4.2. Tanto si rileva non senza doversi aggiungere che il motivo omette di precisare se in sede di precisazione delle conclusioni la pretesa riproposizione della prospettazione venne mantenuta: in mancanza, a giusta ragione la corte territoriale non se ne è occupata.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza