Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3846 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3846 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21666/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Napoli INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 710/2022 depositata il 07/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Premesso che:
1.NOME COGNOME ricorre con sei motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe con cui la Corte di Appello di Salerno ha respinto l’appello di esso ricorrente contro la sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore di rigetto dell’opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso su ricorso del tutore di NOME COGNOME, interdetta, per il pagamento delle rate degli anni 2001 -2006 di una rendita vitalizia di cui quest’ultima era beneficiaria in forza di testamento di COGNOME NOME, marito della NOME e padre di esso ricorrente, e delle rate di una rendita vitalizia costituita con contratto in data 30 dicembre 2012 di scioglimento di una associazione in partecipazione.
Con riguardo alla rendita per atto testamentario, la Corte di Appello ha ritenuto indimostrata la tesi del ricorrente per cui le rate relative alle prime annualità sarebbero state pagate e il debito per le rate relative alle annualità 2005 e 2006 sarebbe stato estinto per compensazione con pagamenti effettuati dal medesimo ricorrente di imposte a carico della interdetta e per cure e spese mediche di quest’ultima. In particolare, ha precisato la Corte di Appello, non potevano valere a dimostrare il pagamento delle prime rate le quietanze prodotte in copia del ricorrente in quanto la relativa sottoscrizione era stata disconosciuta e il ricorrente non aveva prodotto gli originali né chiesto la verificazione delle sottoscrizioni. Quanto ai pagamenti portati in compensazione, ha evidenziato la Corte di Appello, che non ve ne era prova. La Corte di Appello ha aggiunto che una ctu disposta in primo grado aveva consentito di accertare che il pagamento delle imposte a carico della COGNOME
era stato effettuato dalla stessa NOME con addebito sul proprio conto corrente bancario e in parte dal tutore della NOME.
Con riguardo alla rendita costituita con atto di scioglimento della associazione in partecipazione, la Corte di Appello ha ritenuto indimostrata la tesi del ricorrente per cui il contratto istitutivo della associazione in partecipazione sarebbe stato simulato al pari del contratto, risalente al 1986, di istituzione della associazione in partecipazione;
NOME e NOME COGNOME, eredi di NOME, resistono con controricorso;
la causa perviene al RAGIONE_SOCIALE a seguito di richiesta di decisione formulata dalla ricorrente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. a seguito di proposta di definizione del giudizio per inammissibilità o comunque manifesta infondatezza del ricorso;
le parti hanno depositato memoria;
non è stata prodotta la relata di notifica della sentenza. Il ricorso, tuttavia, in quanto notificato il 5 settembre 2022, entro il termine breve di impugnazione decorrente dalla data -il 7 giugno 2022 -di pubblicazione della sentenza impugnata, non incorre nella sanzione di improcedibilità di cui all’art. 369 c.p.c.
5.1. In tema devono infatti ribadirsi i seguenti principi:
‘ La dichiarazione contenuta nel ricorso per cassazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata, attesta un “fatto processuale” – la notificazione della sentenza – idoneo a far decorrere il termine “breve” di impugnazione e, quale manifestazione di “autoresponsabilità” della parte, impegna quest’ultima a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere in capo ad essa l’onere di depositare, nel termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., copia della sentenza munita della relata di notifica (ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di
ricezione, in caso di notificazione a mezzo EMAIL), senza che sia possibile recuperare alla relativa omissione mediante la successiva, e ormai tardiva, produzione ai sensi dell’art. 372 c.c.’ (Cass. Sez. U n. 21349 del 06 07 2022);
la mancata osservanza dell’onere di deposito della copia della sentenza munita della relata di notifica ‘comporta l’improcedibilità del ricorso, escluso il caso in cui la notificazione del ricorso risulti effettuata prima della scadenza del termine breve decorrente dalla pubblicazione del provvedimento impugnato e salva l’ipotesi in cui la relazione di notificazione risulti prodotta dal controricorrente o presente nel fascicolo d’ufficio’ (Cass. n. 15832 del 07/06/2021);
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso viene lamentata la ‘violazione degli artt. 2712, 2719 e 2697 c.c. nonché degli artt. 214, 215 e 216 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.’, per avere la Corte di Appello ‘ritenuto sussistente una diretta correlazione tra il disconoscimento ex art. 2719 c.c. ed il disconoscimento ex art. 214 c.c. e ritenuto applicabile al primo le procedure di verificazione previste per il secondo anche in termine di conseguenze’; deduce il ricorrente che la Corte di Appello avrebbe errato nell’attribuire valore di disconoscimento alla frase utilizzata ex adverso allo scopo (‘vanno disconosciute le quietanze che sono comunicate in atti non solo perché risultano in copia sicché se ne contesta ogni valore probatorio ma anche perché espressamene si disconosce la sottoscrizione che peraltro appare essere la riproduzione ricalcata di una copia’);
2. il motivo è inammissibile.
La questione veicolata con il motivo è nuova: in appello -come si legge nello stesso ricorso per cassazione a pagina 3 -l’odierno ricorrente non aveva contestato l’idoneità ad integrare
disconoscimento della frase de qua ed aveva contestato invece solo la legittimazione del tutore ad effettuare il disconoscimento;
con il secondo motivo di ricorso viene lamentata la ‘violazione dell’art. 116 c.p.c. in combinato disposto dell’art. 2719 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n .3 c.p.c’, per avere la Corte di Appello ‘erroneamente applicato e valutato i documenti probatori delle parti sull’errato presupposto della mancata allegazione degli originali delle ricevute di pagamento da parte del ricorrente nonché per avere la Corte di Appello omesso di valutare unitamente agli altri elementi di istruttori acquisiti, l’originale delle ricevute prodotte in giudizio e per avere erroneamente disatteso di prendere in considerazione il deposito degli originali delle ricevute nelle note ex art. 183 c.p.c.’ ;
il motivo è inammissibile per l’assorbente ragione che la deduzione che sta alla base del motivo per cui la Corte di Appello avrebbe dichiarato -in contrasto con la realtà processuale -che gli originali delle ricevute o quietanze non erano stati prodotti integra, in astratto, ragione di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c. e non motivo di cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c.;
con il terzo motivo di ricorso la doglianza già formulata mediante il secondo motivo e la deduzione sottostante vengono riproposte sotto la rubrica di ‘violazione degli artt. 2719 c.c. e 112 e 116 c.p.c. ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di giudizio tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c.’;
il terzo motivo è inammissibile per le ragioni per cui è inammissibile il secondo;
con il quarto motivo di ricorso viene lamentata la ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di giudizio
tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c.’ per avere la Corte di Appello ritenuto indimostrati i pagamenti dedotti dal ricorrente come ragioni di compensazione, laddove invece, in base alle dichiarazioni rese in primo grado dallo stesso COGNOME NOME e dal commercialista della COGNOME, sarebbe emerso -secondo quanto prospetta il ricorrente -che i pagamenti delle imposte de quibus erano stati effettuati mediante fondi prelevati dal conto di COGNOME NOME e COGNOME NOME e, in base alla relazione del consulente tecnico di esso ricorrente, sarebbe altresì emerso che ‘la provvista dei conti’ dai quali era stato prelevato il necessario al pagamento delle imposte ‘proveniva’ da NOME COGNOME. Il ricorrente deduce poi che, al contrario di quanto affermato dalla Corte di Appello, il pagamento di spese mediche ‘risulta provato’;
il motivo è inammissibile in quanto esso, per un verso, incarna il tentativo di superare il doppio accertamento conforme dei giudici di primo e secondo grado, in ragione del quale la decisione di appello non è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., soggiacendo la relativa impugnazione alla preclusione derivante dalla regola della di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (ratione temporis vigente), per altro verso, veicola affermazioni attinenti al merito;
9. con il quinto motivo di ricorso viene lamentata la ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 1417, 2721 e 2722 c.c. nonché degli att. 416 e 157 secondo comma c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c’ per avere la Corte di Appello errato nel ritenere che, ai fini della prova del carattere simulato dell’atto di scioglimento della associazione in partecipazione e di costituzione della rendita, stipulato dalla RAGIONE_SOCIALE con l’odierno ricorrente, questi avrebbe dovuto produrre una controdichiarazione;
10. il motivo è inammissibile.
10.1. Merita premettere che l’affermazione della Corte di Appello per cui, ai fini della prova del carattere assolutamente simulato del negozio costitutivo della rendita vitalizia sarebbe stata necessaria la prova scritta, è corretta in riferimento alla prova per testi e per presunzioni, atteso il disposto dell’art.2722 c.c. e dell’art. 2729 c.c., potendo peraltro la prova essere data anche mediante giuramento e mediante confessione, senza interferenza con il vincolo formale del contratto (in ipotesi simulato) costitutivo della rendita (art. 1350, n. 10, c.c.), trattandosi di prove finalizzate a dimostrare non l’esistenza del contratto formale e quindi a supplire al difetto del necessario atto scritto, ma l’inesistenza del contratto medesimo.
10.2 La inammissibilità del motivo deriva da carenza di specificità, sotto il profilo dell’autosufficienza (art. 366 c.p.c.), posto che il ricorrente non indica i mezzi istruttori (che avrebbe proposto nel merito) la cui ammissione avrebbe consentito di poter raggiungere la prova della simulazione del contratto de quo;
11. con il sesto motivo di ricorso viene lamentata la ‘violazione falsa degli artt. 406, 476, 480, 1399, 2028, 2032 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c.’ per avere la Corte di Appello ‘omesso di valutare la carenza di legittimazione passiva in capo ai resistenti nella loro posizione di chiamati all’eredità in luogo di quella dichiarata di eredi’;
12. il motivo è inammissibile perché, come emerge dallo stesso ricorso per cassazione, gli odierni controricorrenti (v. pagina 3 del ricorso) si erano costituiti quali eredi della originaria attrice NOME COGNOME in primo grado e l’odierno ricorrente non aveva contestato tale qualità. E’ applicabile alla fattispecie il seguente principio: ‘Il mancato adempimento dell’onere di provare la qualità di erede da parte di colui il quale si costituisce in giudizio come successore a titolo universale di una delle parti, qualora nessuna contestazione sul punto sia stata svolta dalla controparte nelle
udienze successive alla costituzione, e neppure in sede di precisazione delle conclusioni, non può essere fatto valere per la prima volta solo nella comparsa conclusionale o nei successivi gradi del giudizio’ (Cass, n. 15031 del 21/07/2016);
13. in conclusione sussistono i presupposti per la declaratoria dell’inammissibilità di ciascuno dei motivi di ricorso e in riferimento all’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., il ricorso va dichiarato in ammissibile (Cass. 7155/2017).
le spese seguono la soccombenza;
15 . poiché la trattazione è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. a seguito di proposta di inammissibilità o comunque infondatezza del ricorso, e poiché la Corte ha deciso in conformità alla proposta, va fatto applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma;
15.1. quanto alla disciplina intertemporale, per effetto del rinvio operato dall’ultimo comma dell’art. 380 -bis cit. nel testo riformato, va richiamato l’indirizzo adottato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 27433/2023, secondo la quale detta normativa -in deroga alla previsione generale contenuta nell’art. 35 comma 1 d.lgs. n. 149 del 2022 -è immediatamente applicabile a seguito dell’adozione di una decisione conforme alla proposta, sebbene per giudizi già pendenti alla data del 28 febbraio 2023; ciò in quanto l’art. 380 -bis cit. (che nella parte finale richiama l’art. 96, terzo e quarto comma, cit.) è destinato a trovare applicazione, come espressamente previsto dall’art. 35, comma 6, del d.lgs. n. 149 del 2022, anche nei giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 e per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio, come quello in esame;
15.2. sulla scorta di quanto esposto, la parte ricorrente va condannata al pagamento di una somma, equitativamente determinata in € 2500,00, in favore della controparte e di una
ulteriore somma, pari ad € 2500,00, in favore della cassa delle ammende;
16. sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in € 6000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti;
condanna la parte ricorrente al pagamento, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., della somma di € 2500,00 in favore della parte controricorrente nonché, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ., di un’ulteriore somma di € 2500,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.