Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25495 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25495 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 5513/2023 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, in proprio e quale legale rappresentante e liquidatore di RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta a margine del ricorso, d all’AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domicilia in Bologna, alla INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), con sede in Faetano (Repubblica di San RAGIONE_SOCIALE), alla INDIRIZZO, in persona della presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro tempore AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati NOME AVV_NOTAIO COGNOME ed NOME COGNOME, con cui elettivamente domicilia presso lo studio del primo in Firenze, al INDIRIZZO n. 25.
-controricorrente –
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE.
-intimato – avverso la sentenza, n. cron. 1622/2022, della CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA, pubblicata il giorno 20/07/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
11/09/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 6 giugno 2018, n. 1799, il Tribunale di Bologna rigettò l’opposizione promossa da RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME avverso il decreto ingiuntivo, immediatamente esecutivo, n. 9372/14, con il quale il medesimo tribunale, su ricorso di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di San RAGIONE_SOCIALE s.p.a., aveva intimato, alla prima quale debitrice principale ed ai secondi quali garanti, il pagamento della somma di € 107.527,57, oltre interessi e spese della procedura monitoria.
Il gravame promosso da RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE e da NOME COGNOME contro quella decisione fu respinto dall’adita Corte di appello di Bologna con sentenza del 7/20 luglio 2022, n. 1622, resa nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di San RAGIONE_SOCIALE s.p.a. e nella contumacia del ( medio tempore dichiarato) RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE.
2.1. Per quanto qui di residuo interesse, quella corte ritenne: a ) infondata la doglianza con cui si era contestato al primo giudice di non avere ammesso la querela di falso per il solo fatto che i documenti non fossero stati disconosciuti dalle appellanti. All’opposto, infatti, il tribunale aveva considerato validamente disconosciute le sottoscrizioni degli opponenti e, quindi, correttamente, non necessaria la querela di falso, secondo i principi esposti da Cass. nn. 4728 del 2007 e 27353 del 2014; b ) generica, e comunque infondata, la censura concernente la validità delle scritture,
essendo state le stesse ritenute autentiche dal tribunale sulla base della sua ampia motivazione, fondata sulla superfluità della c.t.u. atteso l’agevole confronto con le scritture di comparazione in atti e la mancata presentazione della parte chiamata al saggio grafico per ben due volte; c ) parimenti generica, come già opinato anche dal giudice di prime cure, la doglianza riguardante l’invocata illegittimità di interessi, c.m.s., valute e spese, con conseguente inammissibilità della medesima, avendo il tribunale per la stessa ragione disatteso l’istanza di esibizione e di c.t.u.; d ) il fideiussore NOME COGNOME non qualificabile come consumatore, avendo egli agito per scopi che non esulavano dalla sua qualità di legale rappresentante della debitrice principale.
3. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE, in proprio e quale legale rappresentante e liquidatore di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a tre motivi. Ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE di San RAGIONE_SOCIALE s.p.a. (già RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di San RAGIONE_SOCIALE s.p.a.), mentre il RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese in questa sede.
3.1. È stata formulata, da parte del AVV_NOTAIO delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis , comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), a fronte della quale parte ricorrente ha domandato la decisione della causa ai sensi del comma 2 della medesima disposizione. Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ. ed in quella del ricorrente viene prospettata una ‘ questione di legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 380 -bis c.p.c. per violazione degli artt. 3, 24, 25, 111, 117 Cost., nella parte in cui sanziona e punisce il cittadino che ricorre in cassazione, attribuendo ad un giudice monocratico di esprimere un parere in violazione dell’art. 25 Cost., che vuole che la Cass azione sia un organo giurisdizionale Collegiale, con la minaccia che se il ricorrente richiede la decisione Collegiale verrà irragionevolmente punito con la lite temeraria, pur avendo formulato un ricorso non temerario ‘ .
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via pregiudiziale, ritiene il Collegio che la descritta eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dalla parte ricorrente nella propria memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. si riveli manifestamente infondata nel suo complesso.
1.1. In proposito, infatti, giova rimarcare che, come si legge in Cass., SU, n. 19293 del 2024, « vale ribadire, con Cass., Sez.Un., n. 9611 del 2024, che il nuovo art. 380 -bis è stato qualificato in termini di strumento processuale di agevolazione della definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi, ex post , prive di giustificazione, e quindi idonee a concretare, secondo una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un’ipotesi di abuso del diritto di difesa, giacché non attenersi alla delibazione (altrimenti definita valutazione) del presidente o del consigliere delegato, che trovi, poi, conferma nella decisione finale, lascia presumere una responsabilità aggravata. La stessa sentenza n. 9611 cit., argomentando in ordine alla negazione della funzione decisoria della proposta di definizione e alla negazione della natura impugnatoria della decisione del Collegio, e della sua finalità di riesame e controllo rispetto alla proposta, ha valorizzato la natura non decisoria della proposta e cesellato la funzione giurisdizionale assolta dal Collegio mediante l’ordinanza: deve avere ad oggetto la decisione sul ricorso, e non la legittimità della proposta di definizione anticipata, come ulteriormente confermato dal generico rinvio operato dal terzo comma dell’art. 380 -bis al procedimento in camera di consiglio, ove si accorda alle parti soltanto la facoltà di depositare sintetiche memorie illustrative inerenti alle censure già proposte; che, poi, il legislatore della novella non abbia previsto l’apertura di un apposito cont raddittorio sulla proposta di definizione del giudizio, consentendo o richiedendo alle parti di prendere posizione su di essa, è in linea con la constatazione che la medesima proposta non entra innovativamente nell’oggetto del processo di cassazione, né può essere posta, dal Collegio, a fondamento della decisione (Cass.,Sez. Un., n. 9611 cit.) ».
1.1.1. È chiaro, dunque, che i tre obbiettivi cui mostra di mirare l’art. 380bis cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, -maggiore
rendimento dell’attività giurisdizionale ; maggiore celerità della decisione; migliore qualità dell’accertamento su cui la stessa deve poggiare giustificano pienamente l’adozione di meccanismi (quale, nella specie, quello dell’applicazione dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ, allorquando il Collegio decida la causa, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., in conformità alla proposta ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ.) evidentemente finalizzati ad evitare che il raggiungimento di quegli obbiettivi rimanga pregiudicato da condotte processuali rivelatesi con essi non coerenti.
1.1.2. Assolutamente significative, in tal senso, risultano, del resto, le puntuali osservazioni di Cass., SU, n. 10955 del 2024, che, al fine di giustificare la ivi ritenuta applicabilità della norma di cui al novellato art. 380bis cod. proc. civ. (che nella parte finale richiama l’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ.) anche nei giudizi (come quello in esame) introdotti con ricorso già notificato alla data del l’ 1 gennaio 2023 e per i quali, alla data del 28 febbraio 2023, non era stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio, ha affermato che il citato art. 380bis cod. proc. civ. « mira ad apprestare uno strumento di agevolazione della definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi ex post prive di giustificazione, e quindi idonee a concretare ipotesi di abuso del diritto di difesa. Sottrarre al corredo di incentivi e di fattori di dissuasione contenuto nella norma in esame -che sono finalizzati a rimarcare, come chiarito nella relazione illustrativa al d.lgs. 149/2022, che la giustizia non è una risorsa illimitata di cui si possa disporre con piena libertà, sicché si giustifica che colui che abbia contribuito a dissiparla, nonostante una prima delibazione negativa, sostenga un costo aggiuntivo -verrebbe a limitare fortemente la portata applicativa della norma, che vedrebbe dispiegarsi compiutamente i suoi effetti solo a distanza di tempo, in contrasto con il chiaro intento del legislatore di offrire nell’immediato uno strumento di agevole e rapida definizione dei ricorsi che si palesino inammissibili, improcedibili ovvero manifestamente infondati ».
1.1.3. Cass., SU, n. 36069 del 2023, peraltro, ha precisato che « va esclusa una interpretazione della norma che conduca ad automatismi non in
linea con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, dovendo l’applicazione in concreto delle predette sanzioni rimanere affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso di specie ».
1.2. Nemmeno sussiste, poi, nella proposta di cui al novellato art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ., alcuna precostituzione della decisione, profilo, questo, già smentito dalla giurisprudenza formatasi nella vigenza della precedente disciplina del procedimento per la decisione in camera di consiglio sull’inammissibilità o sulla manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso, che aveva ripetutamente escluso che ricorresse l’obbligo di astensione, di cui all’art. 51, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., in capo al giudice relatore autore, dapprima, della relazione e, poi, della proposta ai sensi del primo comma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ratione temporis vigente, non rivelando detta relazione o proposta carattere decisorio, né configurandosi quale anticipazione di giudizio da parte del relatore, giacché non ne risultava in alcun modo menomato il verdetto finale spettante al Collegio ( cfr . Cass., SU., n. 9611 del 2024, ribadita, in parte qua , dalla successiva Cass., SU, n. 19293 del 2024).
1.2.1. L’essenza collegiale della giurisdizione di legittimità non è incisa, dunque, dal novellato strumento processuale, sicché la funzione decisoria non conosce alcun vulnus , per essere sempre espressione del Collegio.
1.3. È inipotizzabile, infine, qualsivoglia pregiudizio al principio del giusto processo, nell’accezione di garanzia della partecipazione dialettica delle parti, quale momento fondamentale per la formazione del convincimento del giudice, posto che, a tacer d’altro, la garanzia del contraddittorio, necessaria in quanto costituente il nucleo indefettibile del diritto di difesa, costituzionalmente tutelato dagli artt. 24 e 111 Cost. è assicurata, comunque, dalla trattazione scritta della causa, con facoltà delle parti di presentare memorie per illustrare le rispettive ragioni, già compiutamente declinate con i motivi dell’impugnazione .
Fermo quanto precede e passando all’esame dei formulati motivi di ricorso, il primo di essi, rubricato « Violazione degli artt. 214, 215, 216, 221 e ss. c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. », contesta la sentenza
impugnata sia nella parte in cui ritenuto inammissibile la proposta querela di falso, sia laddove ha considerato utilizzabile il documento disconosciuto, a prescindere dal giudizio di verificazione e dalla richiesta c.t.u. grafologica, per il semplice fatt o che l’COGNOME non si era presentato a rendere il saggio grafico. Si assume, sostanzialmente, che la menzionata querela doveva considerarsi ammissibile e che il giudice di merito non avrebbe potuto ritenere egli stesso l’autenticità delle sottoscrizioni del documento predetto omettendo di procedere con l’indispensabile giudizio di verificazione che era stato iniziato in primo grado con la nomina di un c.t.u. grafologo ed illogicamente revocato per soggettivo ed immotivato volere del Giudice.
2.1. Questa doglianza si rivela complessivamente inammissibile per plurime ragioni.
2.2. Innanzitutto, essa non si confronta in alcun modo con le rationes decidendi proprie della corte distrettuale, sicché difetta di specificità, atteso che, come del tutto condivisibilmente chiarito da Cass. n. 21563 del 2022 ( cfr . pag. 8 e ss. della motivazione) e da Cass. n. 35782 del 2023 ( cfr . pag. 41 e ss. della motivazione) « l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, non solo “di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione” , ma anche “di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01), confrontandosi sempre con l’effettivo “decisum” che sorregge la sentenza impugnata. Difatti, il motivo di impugnazione “è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo
idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo”, sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione, “tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4), cod. proc. civ.” (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564- 01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonché, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01) ».
2 .2.1. In altri termini, l’odierna doglianza dell’COGNOME, in proprio e nella indicata qualità, si rivela priva di una specifica censura giuridica e logica alla motivazione della sentenza impugnata, nelle parti qui di interesse, perché, piuttosto che esplicitare, in maniera puntuale, le ragioni per cui essa sarebbe errata (confrontandosi concretamente, dunque, con le sue argomentazioni in diritto e confutandole), sostanzialmente si limita a richiamare le stesse argomentazioni e le medesime deduzioni articolate negli atti difesivi dei gradi di merito già scrutinate e ritenute infondate dalla corte di appello. Sotto questo punto di vista, quindi, il presente motivo appare una mera ripetizione delle difese che, ove questa Corte giungesse all’esame funzionale d ello stesso, dovrebbero ritenersi già (peraltro correttamente) respinte.
2.3. Con riguardo, poi, alla querela di falso non ammessa, la censura si rivela inammissibile ex art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ., intendendo contrastare, senza offrire significativi argomenti, il principio, ampiamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui gli strumenti del disconoscimento -nella specie validamente esperito -e della querela di falso sono alternativi ( cfr., ex aliis , Cass. n. 15823 del 2020; Cass. nn. 4728 e 1789 del 2007).
2.4. Circa, invece, la ritenuta validità delle scritture, la doglianza non coglie, né censura, l’autonoma ratio decidendi relativa alla genericità dell’appello al riguardo, sicché deve trovare applicazione il principio secondo cui, ove la corrispondente motivazione della sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata sul punto, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in alcun caso l’annullamento, in parte qua , della sentenza ( cfr ., tra le tante, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 5102 e. 4067 del 2024; Cass. nn. 26801 e. 4355 del 2023; Cass. n. 4738 del 2022; Cass. nn. 22697 e 3194 del 2021; Cass., SU, n. 10012 del 2021; Cass. n. 15075 del 2018; Cass. nn. 18641 e 15350 del 2017).
2.4.1. Essa, inoltre, contrasta col principio, ripetutamente ribadito dalla qui condivisa giurisprudenza di legittimità, secondo cui, allorché sia proposta istanza di verificazione della scrittura privata, il giudice non è tenuto a disporre necessariamente una consulenza tecnica grafica per accertare l’autenticità della scrittura medesima, qualora possa desumere la veridicità del documento attraverso la sua comparazione con altre scritture incontestabilmente provenienti dalla stessa parte e ritualmente acquisite al processo ( cfr., e multis , Cass. n. 25508 del 2021; Cass. n. 12695 del 2008).
3. Il secondo motivo di ricorso, recante « Violazione degli artt. 61, 112, 191, 194, 115, 116, 132, comma 2, n. 4, 345, 356, c.p.c. e art. 111, comma 6, Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. », contesta alla corte territoriale la mancata ammissione della c.t.u. che avrebbe dovuto esaminare gli estratti conto prodotti anche dalla banca e dai quali risultava la denunciata illegittimità della condotta di quest’ultima riguardante l’anatocismo, gli interessi, la c.m.s., le valute e le spese applicate.
3.1. Pure questa doglianza è complessivamente inammissibile per plurime ragioni.
3.2. Innanzitutto, perché prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando ), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per Cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure ( cfr., e plurimis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878, 27505 e 4528 del 2023; Cass. nn. 35832 e 6866 del 2022; Cass. n. 33348 del 2018; Cass. nn. 19761, 19040, 13336 e 6690 del 2016; Cass. n. 5964 del 2015; Cass. nn. 26018 e 22404 del 2014). In altri termini, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360, comma 1, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione ( cfr . Cass. n. 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878 e 27505 del 2023; Cass. nn. 11222 e 2954 del 2018; Cass. nn. 27458, 23265, 16657, 15651, 8335, 8333, 4934 e 3554 del 2017; Cass. nn. 21016 e 19133 del 2016; Cass. n. 3248 del 2012; Cass. n. 19443 del 2011).
3.2.1. È sicuramente vero, peraltro, che, « In tema di ricorso per cassazione, l’inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c., può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati » ( cfr ., in
termini, Cass. n. 39169 del 2021. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche Cass., SU, n. 9100 del 2015; Cass. n. 7009 del 2017; Cass. n. 26790 del 2018). Tanto, però, non si rinviene nel motivo di ricorso in esame, il quale, per come concretamente argomentato, non consente di individuare, con chiarezza, le doglianze riconducibili agli invocati vizi, rispettivamente, ex art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., in modo tale da consentirne un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare quella teoricamente proponibili, al fine di ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse.
3 .3. Quanto, poi, all’invocato vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., rileva il Collegio che, avuto riguardo alla regola di cui all’art. 348 -ter, ultimo comma, cod. proc. civ., abrogato dal d.lgs. n. 149 del 2022 ma qui applicabile ratio ne temporis (giusta l’art. 35 del menzionato d.lgs. e posto che il giudizio di appello venne instaurato dagli odierni ricorrenti con citazione notificata il 6 luglio 2018, come emerge dalla pagina 12 del controricorso e tenuto conto che l’iscrizione a ruo lo di quel gravame era sicuramente avvenuta nel 2018, come agevolmente desumibile dal n.r.g. 2514/18 indicato nell’epigrafe della sentenza impugnata. Cfr. Cass. n. 11439 del 2018), la quale esclude la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dell’art. 360, comma 1, dello stesso codice, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (cd. ‘ doppia conforme ‘), questa Corte ha da tempo chiarito che il presupposto di applicabilit à della norma risiede nella cd. ‘ doppia conforme ‘ in facto (Cass. n. 7724 del 2002 ha precisato, inoltre, che « Ricorre l’ipotesi di ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 -ter , commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già
assunta dal primo giudice »), sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( cfr . Cass. n. 5436 del 2024; Cass. nn. 35782, 26934 e 5947 del 2023; Cass. n. 20994 del 2019; Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 26860 del 2014): onere rimasto, invece, assolutamente inadempiuto stando alle argomentazioni concretamente rinvenibili nella doglianza de qua .
3.4. Per il resto, infine, la censura nuovamente non coglie la ratio decidendi che ha ritenuto generico il corrispondente motivo di appello dell’COGNOME, in proprio e nella indicata qualità, né tiene conto del fatto che l’ammissione, o non, di una c.t.u. è decisione discrezionale del giudice del merito, ove motivata ( cfr., e multis , Cass. n. 20264 del 2022; Cass. nn. 21904, 11267 e 134 del 2020; Cass. nn. 33230, 21563 e 20899 del 2019) e, pertanto, la motivazione del diniego può addirittura essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato dal giudice ( cfr . Cass. nn. 22622 e 326 del 2020; Cass. n. 6155 del 2009; Cass. n. 15219 del 2007).
Il terzo motivo di ricorso, infine, rubricato « Violazione degli artt. 1418 e 1421 c.c., 1 e 2, lettera b), e 6 della direttiva 93/13, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. », si duole della mancata qualificazione di NOME COGNOME come consumatore.
4.1. Anche questa doglianza si rivela inammissibile.
4.2. La stessa, invero, da un lato, ancora una volta non si confronta minimamente con la ratio decidendi , sul punto, della decisione impugnata (l’COGNOME non era qualificabile come consumatore, avendo egli agito per scopi che non esulavano dalla sua qualità di legale rappresentante della debitrice principale); dall’altro, sotto l’egida di una violazione di legge, è volta ad ottenere una rivisitazione di un accertamento, di natura chiaramente fattuale, operato dalla corte distrettuale, così dimenticando, tuttavia, che il giudizio legittimità non può essere trasformato in un nuovo, non consentito,
ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429 e 10712 del 2024).
5 . In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di NOME COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante e liquidatore di RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE, deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente.
5.1. Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ.
5.1.1. Vale rammentare, in proposito, che: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c. (pure novellato dal menzionato d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente ( cfr . Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. n. 16191 del 2024), che il Collegio, in ossequio al già ricordato principio sancito da Cass., SU, n. 36069 del 2023, ritiene qui concretamente configurabile.
5.1.2. Pertanto, la parte ricorrente va condannata, nei confronti di quella controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di
€ 7.000 ,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
5.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte di NOME COGNOME, in proprio e nella indicata qualità, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante e liquidatore di RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE.
Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della costituitasi controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna parte ricorrente al pagamento della somma di € 7.000,00 in favore della costituitasi controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di NOME COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante e liquidatore di RAGIONE_SOCIALE, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile