Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27608 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 27608 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16835-2020 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, COGNOME NOME, NOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE;
– intimate –
avverso la sentenza n. 2141/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 30/12/2019 R.G.N. 479/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2024 dal AVV_NOTAIO.
Oggetto
R.G.N. 16835/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 10/09/2024
CC
La Corte d’appello di Milano, con la sentenza in atti, ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del tribunale di Milano che aveva rigettato il ricorso con il quale l’appellante conveniva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE e chiedeva l’accertamento della nullità dei contratti di lavoro stipulati con le cooperative ritenute interposte, la costituzione del rapporto di lavoro direttamente alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE, con inquadramento nel livello D2 e D1 del CCNL Grafici, e la condanna delle resistenti al pagamento delle differenze retributive, oltre all’indennizzo per logorio psicofisico conseguente al lavoro domenicale nelle misure indicate in ricorso.
A fondamento della pronuncia la Corte d’appello ha sostenuto che andasse confermata la sentenza di primo grado che aveva ritenuto sussistente la preclusione derivante dalla sottoscrizione di un verbale di conciliazione giudiziale in data 19/7/2018, in relazione al precedente giudizio proposto dall’appellante presso il tribunale di Milano diretto ad impugnare il licenziamento verbale asseritamente comminato nei suoi confronti dalla RAGIONE_SOCIALE, giudizio che si concludeva con un verbale di conciliazione nel quale COGNOME rinunciava agli atti e alle azioni in via definitiva ed irrevocabile nei confronti di tutte le società evocate in giudizio accettando la corresponsione da parte di RAGIONE_SOCIALE della somma netta di euro 1750,00.
Prima della sottoscrizione della conciliazione predetta, il COGNOME instaurava il presente giudizio diretto non ad impugnare il licenziamento bensì a far dichiarare la nullità dei contratti stipulati con le società interposte, con conseguente instaurazione del rapporto di lavoro con la RAGIONE_SOCIALE.
A giudizio dalla Corte d’appello, che confermava quello di primo grado, la conciliazione intervenuta nel corso del giudizio
diretto ad impugnare il licenziamento includeva anche le domande azionate nella presente controversia in quanto, come emergeva dalla lettura delle conclusioni riportate nei ricorsi che avevano instaurato i due giudizi, ad entrambe le cause erano comuni la domanda di accertamento della nullità dei contratti sottoscritti con le società interposte, nonché la domanda diretta alla costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE
Tali accertamenti costituivano il presupposto logico per le domande azionate nei due diversi giudizi rispettivamente diretti a dichiarare l’illegittimità del licenziamento e la condanna della RAGIONE_SOCIALE al pagamento di differenze retributive, posto che nel verbale di conciliazione il signor COGNOME NOME rinunciava agli atti ed alle azioni in via definitiva e irrevocabile e si prevedeva che con la corretta esecuzione dell’accordo conciliativo le parti riconoscevano di aver defi nito ogni loro rapporto con riferimento al petitum e alla causa petendi.
La rinuncia fatta nel giudizio pregresso, riferendosi tanto agli atti quanto all’azione, ricomprendeva infatti l’accertamento comune ad entrambi i giudizi concernenti la nullità dei contratti in quanto configuranti un’interposizione fittizia di manodopera e l’instaurazione del rapporto di lavoro alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE
Secondo la Corte d’appello, inoltre, la circostanza per cui il verbale di conciliazione era stato sottoscritto prima della notifica del ricorso da cui trae origine il presente giudizio, non appariva comunque idonea a confutare gli assunti predetti. Il ricorrente nel momento in cui aveva sottoscritto il verbale di conciliazione era senz’altro consapevole di aver depositato altro ricorso fondato sul medesimo rapporto giuridico dedotto.
Andava disattesa, infine, la questione relativa alla nullità del verbale di conciliazione in quanto afferente a diritti indisponibili, posto che costituisce consolidato principio più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità la tesi secondo cui la conciliazione giudiziale non è assimilabile a un negozio di diritto privato come la transazione e può avere ad oggetto anche diritti indisponibili del lavoratore al contrario della transazione.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME senza specificazione di motivi. Le società la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE sono rimaste intimate e non hanno svolto attività difensiva. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Il ricorso proposto da COGNOME NOME deve essere dichiarato inammissibile perché non contiene la deduzione di specifici motivi di censura articolati secondo il catalogo dei vizi previsti dall’art. 360 c.p.c.
2.- Nella parte motiva del ricorso si sostiene che non sarebbe stata chiara la rinuncia del ricorrente nel verbale di conciliazione di cui alla preclusione rilevata dai giudici; che la transazione relativa ad un contratto illecito sarebbe comunque nulla ex art. 1972 c.c. e che la Corte ha totalmente travisato i motivi di appello e le questioni di diritto ivi sollevate. Si afferma, inoltre, che dall’esame del verbale di conciliazione non si evince in alcun modo che il ricorrente volesse rinunciare anche ai diritti rivendicati nella presente causa trattandosi di diritti diversi, anche perché manca un rapporto di proporzionalità e perché è stato scritto in maniera espressa nel verbale di conciliazione giudiziale che la somma di euro 1750,00 veniva pagata esclusivamente per i titoli rivendicati in quel giudizio, e quindi nella sola causa di impugnativa del licenziamento.
Si rileva ancora che nella sentenza la Corte di appello ha affermato che l’appellante avrebbe rivendicato che non avrebbe potuto impugnare il verbale di conciliazione nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado perché il ricorso di cui al secondo giudizio era stato già depositato al momento della sottoscrizione del verbale di conciliazione. E che la Corte d’appello ha dichiarato il primo motivo di appello infondato senza fornire adeguata motivazione. Infine si sostiene che la Corte d’appello ha omesso di pronunciarsi sul primo motivo d’appello così come formulato, ha arbitrariamente attribuito al verbale di conciliazione un contenuto estensivo ed ha totalmente frainteso il motivo di gravame relativo alla nullità del verbale di conciliazione, avendo ad oggetto diritti indisponibili.
3.- Si tratta di una serie di censure di carattere generale e di natura meramente contrappositiva rispetto alle ragioni individuate dalla Corte. Esse sono inoltre critiche di fatto e di diritto, in iudicando ed in procedendo, connotate da promiscuità e dedotte senza il rispetto del principio di specificità secondo cui il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione. (Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).
Infatti secondo la consolidata giurisprudenza in tema di ricorso per cassazione, il principio di specificità di cui all’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c. richiede per ogni motivo l’indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto nonché l’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente
indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronunzia.
(tra le tante, v. ordinanza n. 17224 del 18/08/2020).
4.- Come più volte precisato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, “il ricorso per cassazione richiede, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la rubrica del motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 cod. proc. civ. – è proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza” (Cass. n. 18421/2009).
5. E’ stato inoltre ripetutamente affermato che “i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non prenda concreta posizione, articolando specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa. Invero, il ricorrente ha l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il devolutum della sentenza impugnata, con la conseguenza che il requisito in esame non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione (principale o incidentale) sia basato sul mero richiamo dei motivi di appello, una tale modalità di formulazione del motivo rendendo impossibile individuare la critica mossa ad una parte ben identificabile del giudizio espresso nella sentenza impugnata, rivelandosi del tutto carente nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione” (Cass.
10420/2005; conformi Cass. n. 13592/2006 e n. 15882/2007).
6.- Nel caso di specie si impugna, inoltre, il merito della interpretazione dell’atto di conciliazione senza alcuna deduzione di violazione di criteri interpretativi (legali o negoziali), ed inoltre non risulta nemmeno trascritta per intero (né allegata, indicata o prodotta) la stessa conciliazione sulla cui interpretazione verte lo stesso ricorso.
7.- Sulla scorta delle ragioni fin qui espresse, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese non avendo le parti intimate compiuto attività difensiva.
8- Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 10.9.2024