Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6979 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6979 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
ORDINANZA
Sul ricorso R.G.N. 19687/2019
promosso da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME Giulio COGNOME e NOME COGNOME in virtù rispettivamente di procura speciale a margine del ricorso e di procura speciale per scrittura privata autenticata del 01/10/2024 in atti;
– ricorrente in via principale –
contro
Comune di Melito di Napoli , in persona del Sindaco pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in atti;
– controricorrente e ricorrente in via incidentale –
nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME
e NOME COGNOME in virtù rispettivamente di procura speciale a margine del ricorso e di procura speciale per scrittura privata autenticata del 01/10/2024 in atti;
– controricorrente in via incidentale –
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 1897/2019, pubblicata il 04/04/2019, notificata il 18/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso;
letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato la RAGIONE_SOCIALE (di seguito, RAGIONE_SOCIALE), proprietaria di un’area dell’estensione di circa mq 28.000 sita nel territorio del Comune di Melito di Napoli, fabbricabile in base al PRG vigente, adottato con delibera commissariale del 04/05/1985 ed approvato con decreto della Provincia n. 12/1987, premesso: che, con delibera n. 35 del 27/06/ 2000, il Consiglio Comunale di Melito aveva approvato uno schema di convenzione finalizzato a disciplinare, ai sensi di cui all’art. 28, comma 5, n. 2, l. n. 1150 del 1942, la realizzazione, a cura e spese di tutti i proprietari di aree fabbricabili, delle opere di urbanizzazione primaria a scomputo dei relativi oneri, oltre che la cessione gratuita delle aree destinate alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria, convenzione propedeutica al rilascio dei permessi a costruire dei singoli lotti; che a seguito di istanza della PROGETTO RAGIONE_SOCIALE con cui si dichiarava disponibile a sottoscrivere una convenzione nei termini suindicati, acquisito il parere favorevole della Commissione Edilizia comunale in data 26/01/2001, la Giunta Comunale di Melito aveva autorizzato la convenzione propedeutica al rilascio dei permessi a costruire i lotti edificatosi sul ter-
reno acquistato dalla stessa società; che in data 2/5/2001 veniva stipulata la convenzione e la società si impegnava a realizzare, contemporaneamente alla costruzione del primo degli edifici per i quali il Comune avrebbe dovuto rilasciare le concessioni edilizie, a sua cura e spese ed a scomputo dei futuri oneri concessori, gli oneri di urbanizzazione, reti stradali, fognarie ed elettriche ecc., da cedere successivamente al Comune; che dopo detta convenzione erano state rilasciate dal Comune n. 19 concessioni edilizie (da novembre a dicembre 2011) per la costruzione di n. 18 edifici su un lotto di intervento, seguite dal rilascio da parte dello stesso Comune di n. 18 permessi “in variante” (tra la fine del 2001 e luglio 2002); che, portate quasi a compimento le opere, il legale rappresentante della società istante era stato sottoposto a procedimento penale, tra l’altro, per il reato di “lottizzazione abusiva” che si concludeva con sentenza di assoluzione, intervenuta il 07/10/2008, perché il fatto non sussiste e perché il fatto non costituisce reato; che prima della pronuncia assolutoria, con delibera commissariale n. 190 del 6/12/ 2007, il Comune aveva annullato in autotutela la precedente delibera di Giunta n. 39/2001 con cui era stata approvata la convenzione predetta, con l’applicazione del meccanismo incentivante ex art. 5 delle NTA (Norme Tecniche di Attuazione); che con successive ordinanze del 17/4/2008 il Comune annullava tutte le concessioni edilizie e le relative varianti, disponendo, ai sensi dell’art. 30, comma 7, d.P.R. n. 380 del 2001, l’acquisizione al patrimonio comunale degli immobili assegnati e dei suoli abusivamente lottizzati; che la società aveva quindi adito il TAR Campania per l’annullamento degli atti suindicati censurando la violazione dell’art. 21 nonies l. n. 241 del 1990 e dell’art. 14 l. n. 15 del 2005, ed eccesso di potere sotto vari profili (tra cui la mancata indicazione delle ragioni di pubblico interesse che legittimavano l’annullamento, anche in considerazione del lungo lasso temporale, sette anni, trascorso dal rilascio dei titoli edilizi), ricorso che era stato respinto dal TAR
con sentenza n. 4934/2009, passata in giudicato; che, a distanza di circa sei anni il Comune, con delibera n. 190/2007, aveva annullato la delibera di Giunta Municipale n. 39/2001 in base alla quale erano stati rilasciati i permessi a costruire, deducendo che nel frattempo la RAGIONE_SOCIALE aveva fatto legittimo affidamento sulla legittimità degli atti rilasciati in suo favore portando ad esecuzione il progetto, sicché l’adozione in ritardo di detti annullamenti aveva ingenerato nella società l’affidamento sulla legittimità e correttezza dell’intervento di edilizia convenzionata consentito, poi effettivamente realizzato, causando l’intervenuto annullamento in autotutela del complessivo impianto provvedimentale e negoziale, un grave danno, avendo il Comune violato il dovere di comportarsi secondo buona fede ed in particolare l’affidamento riposto dal privato nella legittimità del provvedimento amministrativo ai sensi dell’art. 2043 c.c.
La società chiedeva, quindi, la condanna del Comune di Melito al pagamento a titolo risarcitorio della somma di € 134.493.452,66 o della maggiore o minore somma, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali per costi di costruzione, spese notarili, di consulenza e di acquisto del suolo, per oneri finanziari, per ratei di mutuo corrisposti e a corrispondersi, per opere di urbanizzazione realizzate, oneri di concessione e ablazione, furti subiti, spese di custodia del complesso, polizze fideiussorie e polizze mutuo, oltre rivalutazione ed interessi, in subordine, a titolo di indebito arricchimento, la minore somma di € 23.713.304,96, il tutto con vittoria di spese e competenze.
Si costituiva in giudizio il Comune eccependo: 1) la prescrizione della domanda risarcitoria ex artt. 2947, comma 1, c.c. e 2946 c.c. ovvero del diritto alla restituzione degli oneri di urbanizzazione e di concessione asseritamente versati e quello al pagamento delle opere di urbanizzazione presuntivamente realizzate; 2) il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per essere competente il giudice
amministrativo; 3) l’assenza di responsabilità dell’Amministrazione per affidamento incolpevole e la contraddittorietà di un’eventuale affermazione di responsabilità a tale titolo con il giudicato esterno, costituito dalla sentenza del TAR Campania; nel merito contestava la domanda chiedendone il rigetto con vittoria di spese.
Espletata CTU, il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda condannando il Comune al pagamento in favore della società della somma di € 19.872.733,08 oltre interessi legali nonché al pagamento delle spese processuali da essa sostenute.
Il Comune proponeva appello contro detta sentenza, chiedendo: dichiararsi il difetto di giurisdizione del GO; rigettare la domanda attrice in ragione dell’intervenuto giudicato amministrativo; accertare e dichiarare maturata la prescrizione, e rigettare la domanda di parte attrice in primo grado; accertare e dichiarare non responsabile il Comune di Melito di Napoli a titolo di responsabilità extracontrattuale o contrattuale e comunque non sussistente il danno risarcibile, con rigetto della domanda di parte attrice in primo grado e dichiarare non dovute le somme alle quali il Comune è stato condannato con la sentenza appellata; riformare la sentenza appellata in punto di regolamentazione delle spese processuali ivi comprese le spese di CTU.
A seguito di concessione della sospensione della provvisoria esecutività della sentenza impugnata, si è costituita in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, dapprima soltanto ai fini cautelari e poi contestando la fondatezza dell’appello del quale ha chiesto il rigetto con vittoria di spese.
La Corte d’appello, con la sentenza n. 1897/2019, accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE che condannava al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.
Tale sentenza è stata impugnata per cassazione dalla RAGIONE_SOCIALE che ha formulato quattro motivi di ricorso.
Il Comune di Melito di Napoli ha resistito con controricorso formulando contestuale ricorso incidentale, affidato a quattro motivi.
Il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha depositato le proprie conclusioni scritte, chiedendo pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso principale è dedotto quanto segue: «Violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., oltre che degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, co. 1 n° 4 c.p.c. Divieto di nova. Error in procedendo . Questioni sollevate per la prima volta solo in grado di appello. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, co. 1 n° 5 c.p.c.»
La ricorrente ha affermato che il Comune, nel primo grado di giudizio, sul merito della domanda risarcitoria si era difeso invocando: a) il giudicato amministrativo (eccezione rigettata in primo e in secondo grado); b) l’assenza di un incolpevole affidamento della società, stante l’agevole conoscibilità dell’illegittimità dei provvedimenti annullati in sede di autotutela; c) la condotta della società che, per perseguire i propri interessi, aveva indotto la PA in errore nell’emissione di detti provvedimenti.
Nel proporre appello, invece, lo stesso Comune si era difeso, formulando, con il quarto e il quinto motivo di gravame, eccezioni e contestazioni in fatto del tutto nuove. In particolare, con il quarto motivo di appello, il Comune aveva rappresentato l’insussistenza del nesso di causalità tra l’adozione dei provvedimenti illegittimi e il danno lamentato, avendo la PROGETTO CASA interrotto tale nesso, per avere edificato in difformità dalle concessioni ottenute, e poi annullate, (non più edifici a destinazione artigianale-commerciale e industriale, ma edifici a destinazione residenziale), perché in insanabile contrasto con la disciplina urbanistica di zona del P.R.G. Con
il quinto motivo di appello, poi, lo stesso Comune aveva aggiunto quanto segue: la società ben sapeva che in quella zona non avrebbe potuto ottenere le concessioni edilizie per realizzare quanto eseguito; che tale circostanza era confermata dalla repentina presentazione delle domande di condono, per ottenere il mutamento di destinazione d’uso da industriale-artigianale a residenziale; la società, per ottenere la concessione edilizia, aveva presentato atti poco chiari, che solo a lavori eseguiti emergevano come preordinati alla realizzazione delle opere effettivamente poste in essere; l’impresa aveva compiuto un’attività finalizzata a celare al Comune i reali intenti edificatori; il lasso di tempo intercorso tra il rilascio dei titoli abilitativi e il loro annullamento non era notevole, perché esercitato nei limiti consentiti dall’ordinamento (art. 39 d.P.R. n. 380 del 2001).
Accogliendo il quarto e il quinto motivo di appello, secondo la ricorrente, la Corte di merito ha fondato la decisione sulle nuove eccezioni e/o contestazioni in fatto, incorrendo nella violazione dello art. 345 c.p.c., rilevabile anche d’ufficio, anche con riferimento allo art. 112 c.p.c., dovendo intendersi il divieto dei nova in appello riferito non soltanto alle eccezioni in senso stretto ma anche alle contestazioni in fatto nuove.
Con il secondo motivo di ricorso principale è dedotto quanto segue: «Violazione o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e dell’art. 97 Cost. con riferimento al principio di buona fede sia per la società appellata che per la P.A. appellante in relazione all’art. 360, 1° co. n° 3 c.p.c.; violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. con riferimento all’affidamento incolpevole del privato nei rapporti con la P.A.; violazione o falsa applicazione degli artt. 1 e 21 novies l. 241/1990, rispettivamente integrato e introdotto dalla l. 15/2005 in relazione all’art. 360, 1° co. n° 3 c.p.c.; violazione o falsa applicazione degli art. 2 Cost e 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. con riferimento all’art. 360,1° co. n° 3 c.p.c.; omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento all’art. 360, 1° co. n° 5 c.p.c.»
Secondo la ricorrente principale, la Corte d’appello ha fatto cattivo uso della nozione di buona fede e di affidamento incolpevole nei rapporti tra privato e PA e ha riportato tutta la sua ricostruzione in fatto della vicenda, in contrasto con quella operata dal giudice di appello.
Con il terzo motivo di ricorso principale è dedotto quanto segue: «Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, co. 1 n° 5 c.p.c. – Contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.»
Ad opinione della ricorrente la sentenza impugnata reca un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, poiché, da una parte, ha escluso la valenza di giudicato alla pronuncia del giudice amministrativo, che ha definitivamente respinto le impugnazioni contro gli atti di annullamento adottati in sede di autotutela, ritenendo che si trattasse di accertamenti diversi da quelli oggetto del presente giudizio, ma, poi, nell’accogliere il quarto e il quinto motivo di ricorso, ha reiteratamente richiamato le valutazioni operate dal giudice amministrativo.
Con il quarto motivo di ricorso principale è dedotto quanto segue: «Violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento all’art. 360 co. 1 n° 4 c.p.c. Error in procedendo con riferimento alla diversa qualificazione della domanda – Omissione parziale di pronuncia su una diversa causa petendi della domanda Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento all’art. 360, co. 1, n° 5 c.p.c.»
La ricorrente principale ha evidenziato che nelle conclusioni rassegnate in primo grado aveva invocato la responsabilità del comune ex art. 2043 c.c., ovvero, in subordine, anche a titolo di responsabilità contrattuale e, seppure con un petitum inferiore, ex art. 2041
c.c., aggiungendo che le stesse conclusioni le aveva rassegnate in appello, ma la Corte di merito, rigettando la domanda sotto il profilo della responsabilità ex art. 2043 c.c., «nulla ha scrutinato la Corte di merito con riferimento al risarcimento del danno sotto il diverso profilo della responsabilità contrattuale o, in via subordinata, dell’arricchimento senza giusta causa» .
Con il primo motivo di ricorso incidentale è dedotto quanto segue: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 360, co. 1, n. 1 c.p.c., in relazione al difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario.»
Secondo il ricorrente incidentale il giudice di appello ha erroneamente escluso che la cognizione della causa spettasse al giudice amministrativo, rilevando che la società aveva chiesto anche il ristoro degli oneri di urbanizzazione e dei costi di costruzione, che i danni lamentati erano relativi alla esecuzione di interventi edilizi previsti nella convenzione urbanistica e che la lesione dell’affidamento incolpevole nei confronti della PA si in una lesione degli interessi pretensivi.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale è dedotto quanto segue: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 360, co. 1, n. 4 e n. 5, c.p.c., in relazione al quarto motivo di appello. Violazione delle norme in materia di risarcimento del danno. Inesistenza del diritto al risarcimento del danno per mancanza di nesso causale.»
Ad opinione del Comune, la Corte d’appello, nell’accogliere il quarto e il quinto motivo di ricorso ha adottato una sentenza viziata da carenza di motivazione, perché ha valorizzato l’attività edilizia abusivamente posta, per escludere un affidamento incolpevole, mentre avrebbe dovuto tenere conto che tale condotta aveva interrotto il nesso causale tra l’adozione dei provvedimenti viziati, e annullati in sede di autotutela, e i lamentati danni. La società aveva chiesto, infatti, il ristoro dei costi sostenuti per realizzare un quartiere residenziale abusivo, e non l’intervento oggetto della convenzione e delle concessioni annullate, tant’è che le opere e le aree
sono state poi acquisite gratuitamente al patrimonio comunale in ragione del loro carattere abusivo.
Con il terzo motivo di ricorso incidentale è dedotto quanto segue: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 2909 c.c. Intervenuto giudicato su un punto fondamentale della controversia.»
Il ricorrente incidentale ha dedotto l’erroneità della decisione della Corte d’appello nella parte in cui ha escluso la valenza di giudicato alla sentenza del giudice amministrativo, escludendo l’identità di giudizi, mentre, invece, non è necessaria la identità delle domande, essendo sufficiente che l’accertamento già compiuto riguardi la stessa situazione giuridica ovvero la questione di fatto e di diritto relativa ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, come era avvenuto nel caso di specie, ove il giudice amministrativo aveva escluso l’esistenza di un affidamento incolpevole della società in ordine alla legittimità delle concessioni edilizie annullate, quale limite all’esercizio dell’autotutela.
Con il quarto motivo di ricorso incidentale è dedotto quanto segue: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 2947 c.c. Intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento.»
Il ricorrente incidentale ha dedotto l’erroneità della decisione della Corte d’appello nella parte in cui ha escluso la prescrizione del diritto al risarcimento, senza tenere conto che il danno di cui è stato chiesto il risarcimento si è prodotto con la caducazione degli effetti della convenzione urbanistica e l’annullamento dele concessioni edilizie, con contestuale acquisizione gratuita dei suoli e delle opere, mediante la delibera commissariale n. 190 del 06/12/2007, seguita dai provvedimenti dirigenziali di annullamento delle singole concessioni edilizie, adottati nell’aprile 2008, senza che la nota dell’avv. COGNOME del 26/04/2011 avesse effetto interruttivo, essendo firmata dal solo avvocato della società, senza procura.
Il primo motivo di ricorso principale è inammissibile sotto entrambi i profili di censura.
3.1. Com’è noto, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. consente l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» .
La norma si riferisce al mancato esame di un fatto decisivo, che è stato offerto al contraddittorio delle parti, da intendersi come un vero e proprio fatto storico, come un accadimento naturalistico.
Costituisce, pertanto, un fatto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una questione o un punto controverso, ma un vero e proprio evento, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 6/09/2019; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 3/10/2018; v. anche Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 13024 del 26/04/2022).
Può trattarsi di un fatto principale ex art. 2697 c.c. (un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche di un fatto secondario (un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché sia controverso e decisivo (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016), nel senso che il mancato esame, evincibile dal tenore della motivazione, vizia la decisione perché influenza l’esito del giudizio.
Non integrano, dunque, fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. le mere argomentazioni o le deduzioni difensive (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 6/09/ 2019; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14802 del 14/06/2017), né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, o le mere ipotesi alternative, e neppure le singole risultanze istruttorie, qualora il fatto storico rilevante sia, comunque, stato preso in
considerazione (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/ 2018).
Per gli stessi motivi, non costituisce omesso esame, nei termini appena indicati, la mancata valutazione di domande o eccezioni, ovvero dei motivi di appello (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 29952 del 13/10/2022).
Nel caso di specie, la ricorrente principale non ha indicato quale sia stato il fatto specifico, inteso nel senso sopra indicato, che, pur essendo stato oggetto della materia del contendere, e decisivo, non sia stato considerato dal giudice, sicché la censura si rivela del tutto inammissibile per genericità.
3.2. Per quanto riguarda la dedotta violazione del divieto di nova in appello, la RAGIONE_SOCIALE ha prospettato la novità di alcune eccezioni e circostanze di fatto posti a fondamento del quarto e quinto motivo di gravame.
Com’è noto il disposto dell’art. 345, comma 2, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis , prevede che nel giudizio di appello «non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio» .
La ricorrente principale ha dedotto che tale norma non riguarda solo le domande ed eccezioni in senso stretto, ma anche le contestazioni in fatto nuove (e cioè non esplicitate in primo grado).
Tale affermazione si rinviene anche nella giurisprudenza di legittimità, la quale ha precisato che l’ammissione di nuove contestazioni o allegazioni in fatto nel giudizio di secondo grado trasformerebbe il giudizio d’appello da mera revisio prioris instantiae in iudicium novum , modello quest’ultimo estraneo al vigente ordinamento processuale (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 9211 del 22/03/2022; Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 2529 del 01/02/2018).
Questa stessa Corte ha anche affermato, con orientamento oramai consolidato, che il divieto in esame si limita alle nuove eccezioni in senso stretto, riservate alla parte e non alle eccezioni in senso
lato, rilevabili d’ufficio, sempre che riguardino fatti principali o secondari emergenti dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo e anche se non siano state oggetto di espressa e tempestiva attività assertiva (così da ultimo Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 34053 del 5/12/2023; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 23471 del 2/09/2024; v. anche Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 15653 del 05/06/2024; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 4867 del 23/ 02/2024; v. anche Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9200 del 2/04/2021).
Nel caso di specie è evidente che il Comune, nel formulare il quarto e il quinto motivo di appello, non abbia introdotto eccezioni in senso stretto, inammissibili se formulate per la prima volta in sede di gravame, operando piuttosto delle argomentazioni a supporto della ritenuta insussistenza dei presupposti per configurare la invocata responsabilità.
Al fine di dimostrare la novità di tali argomenti, parte ricorrente ha riportato il testo dell’atto di costituzione della controparte nel giudizio di primo grado, ma non ha fatto riferimento alle ulteriori rituali difese di quest’ultima, né alle allegazioni e produzioni comunque acquisite al processo, non avendo neppure allegato, in effetti, che gli argomenti utilizzati dal Comune, nel proporre appello, non fossero comunque desumibili da fonti ritualmente acquisiti al processo.
La censura si rivela, dunque, inammissibile, per difetto di specificità, non avendo la parte neppure dedotto elementi rilevanti ai fini della verifica della sua fondatezza.
Il secondo motivo di ricorso principale è inammissibile con riferimento a tutti i profili di censura.
4.1. Deve subito dichiararsi inammissibile il motivo, nella parte in cui è dedotta la violazione degli att. 115 e 116 c.p.c.
Come più volte evidenziato da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una ritenuta
erronea valutazione del materiale istruttorio, compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (v. da ultimo Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6774 del 01/03/2022).
4.2. Inoltre, con riferimento agli altri profili di censura, deve rilevarsi che la parte ha dedotto la violazione e la falsa applicazione di numerose norme di diritto, ma, poi, nell’illustrare il motivo ha rappresentato la non condivisione della valutazione in fatto delle risultanze istruttorie, così come operata dalla Corte d’appello, cui ha contrapposto la propria versione, chiedendo al giudice di legittimità un inammissibile riesame del giudizio di fatto.
Anche il dedotto vizio e art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. non si riferisce all’omesso esame di un fatto, inteso nel senso sopra indicato, acquisito al processo, ma alla mancata valutazione delle risultanze istruttorie nel senso inteso dalla parte, ancora una volta in base ad un sindacato di merito inammissibile in questa sede.
Come ribadito di recente dalle Sezioni Unite, deve, dunque, ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 4/03/ 2021).
Il terzo motivo di ricorso principale è inammissibile.
5.1. Come sopra evidenziato, non è più consentita l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. «per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso
e decisivo per il giudizio» , ma soltanto «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» .
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la richiamata modifica normativa ha avuto l’effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In particolare, la riformulazione appena richiamata deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 prel., come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 7/04/2014).
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248 del 30/ 06/2020).
A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., determina la nullità
della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass., Sez. L, Sentenza n. 27112 del 25/10/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Questa Corte ha, in particolare, affermato che il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020).
Ricorre, dunque, il vizio in questione, quando la decisione, benché graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 6758 del 1/03/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13248 del 30/06/2020).
Tale evenienza si verifica non solo nel caso in cui la motivazione sia meramente assertiva, ma anche qualora sussista un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, perché non è comunque percepibile l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non è possibile effettuare alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 12096 del 17/05/2018; Cass., Sez. 6L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018).
Alle stesse conseguenze è assoggettata una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, poiché anche in questo caso non è possibile comprendere il ragionamento seguito dal giu-
dice e, conseguentemente, effettuare un controllo sulla correttezza dello stesso (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 3/03/2022).
Ovviamente il controllo della motivazione del giudice di merito, nei limiti sopra indicati, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16526 del 5/08/2016).
5.2. Nel caso di specie la ricorrente principale non ha prospettato l’incomprensibilità del ragionamento decisorio, che ha dimostrato di aver compreso con chiarezza, ma la ritenuta non condivisibilità della soluzione adottata dal giudice di merito, che ha escluso il giudicato e poi ha fondato la decisione su gran parte degli argomenti utilizzati dal giudice amministrativo.
Il quarto motivo di ricorso principale è inammissibile.
6.1. In primo luogo, emerge dalla formulazione del motivo la mancanza di un qualsiasi riferimento a fatti decisivi – intesi, come sopra evidenziato, quali fatti storici, eventi naturalistici – poiché la doglianza attiene al ritenuto mancato esame del diverso titolo della responsabilità invocato nei confronti del Comune, non solo ex art. 2043 c.c., ma anche contrattuale ovvero ex art. 2041 c.c.
6.2. Ai fini della statuizione sulla dedotta violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., occorre tenere presente la distinzione tra la prospettazione ad opera della parte che agisce della possibile diversa qualificazione della domanda formulata dalla formulazione di diverse domande, poiché la diversa qualificazione della domanda si fonda sugli stessi fatti costitutivi diversamente valutati, mentre la prospettazione di diverse domande implica una diversità dei fatti costitutivi.
In tale ottica, la qualificazione della domanda costituisce attività propria del giudice, ove la scelta tra diverse prospettate soluzioni
implica il rigetto delle altre, mentre la proposizione di diverse domande impone una pronuncia esplicita o implicita su ciascuna di esse.
Nel caso di specie, la ricorrente principale ha dedotto che la Corte d’appello è incorsa nel vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., con riferimento alla possibile qualificazione della domanda, pure enunciata nelle proprie conclusioni anche d’appello, in termini di responsabilità, oltre che extra contrattuale, anche contrattuale o ex art. 2041 c.c.
La stessa parte, nel formulare il motivo di ricorso, ha dedotto di avere richiamato in sede di precisazione delle conclusioni tali diversi titoli di responsabilità, ma non ha specificato di avere dedotto, per i diversi titoli richiamati, fatti costitutivi diversi, sicché la censura è da ritenersi inammissibile per difetto di specificità, non avendo la parte offerto elementi per ritenere esistente un’omessa pronuncia su diverse domande di cui la parte non ha rappresentato, nel formulare il motivo, di avere dedotto fatti costitutivi diversi per l’azione di ingiustificato arricchimento.
L’inammissibilità del ricorso principale determina l’inefficacia del ricorso incidentale contenuto nel controricorso.
Come più volte affermato da questa Corte, infatti, il ricorso incidentale tardivo, proposto al giudice di legittimità oltre i termini di cui all’art. 325, comma 2, ovvero di cui all’art. 327, comma 1, c.p.c., è inefficace quando il ricorso principale per cassazione è inammissibile, senza che, in senso contrario rilevi che lo stesso sia stato proposto nel rispetto del termine di cui all’art. 371, comma 2, c.p.c. (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 17707 del 22/06/2021; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6077 del 26/03/2015).
Nel caso di specie si è verificata proprio tale ipotesi, poiché il controricorso recante il ricorso incidentale risulta notificato il 23/07/ 2019, quando era già scaduto il termine breve per l’impugnazione della sentenza notificata il 18/04/2019.
In conclusione, il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile e il ricorso incidentale deve essere dichiarato inefficace.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza e pertanto la ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese di lite sostenute dal Comune.
Come precisato da questa Corte, infatti, in caso di inefficacia del ricorso incidentale tardivo per effetto della declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi sarebbe stata soccombenza del controricorrente, atteso che la decisione della Corte di cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale e dunque l’applicazione del principio di causalità con riferimento al decisum evidenzia che l’instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 15220 del 12/06/2018).
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso principale; dichiara inefficace il ricorso incidentale;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenuta dal Comune, che liquida in € 30.000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge;
dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione