Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6882 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6882 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22836/2021 R.G. proposto da:
INTERNICOLA NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
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ricorrente – contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – DIPARTIMENTO PER IL RAGIONE_SOCIALE, ex lege domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende ope legis .
–
contro
ricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 905/2021 depositata il 04/06/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/12/2024
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che
Il Cav. NOME COGNOME era un profugo dell’ex territorio italiano di Libia, dove, negli anni ’30, gestiva il casinò municipale di Tripoli; la gestione gli veniva tuttavia sottratta dall’ETAL -Ente Turistico Alberghiero per la Libia.
Cessato il governo fascista, il cav. COGNOME intraprendeva un’azione giudiziaria per sentir condannare l’ETAL al risarcimento dei danni patiti per la imposta interruzione dell’attività.
Le parti addivenivano ad una transazione, con cui l’ETAL, assumendo un impegno qualificato come irrevocabile, riconosceva il diritto del COGNOME ad esercitare l’attività del gioco d’azzardo in Italia ed in Libia, in virtù di titoli ed accordi da stipulare con enti statali, regionali, comunali e privati per un periodo di 20 anni, rinnovabile; con nota scritta il Ministero dell’Africa Italiana dava il proprio placet alla siglata transazione.
Dal febbraio 1963 sino al 7 gennaio 1965 il cav. COGNOME esercitava il suo diritto, aprendo, in forza della predetta transazione, un casinò in Taormina, e versando regolarmente i contributi e le tasse allo Stato italiano.
Tuttavia, nel 1965, il casinò veniva definitivamente chiuso, perché nei confronti del COGNOME, ritenuto privo di autorizzazione ad esercitare il gioco d’azzardo, veniva intrapresa un’azione penale, a seguito della quale il Procuratore della Repubblica di Messina disponeva il sequestro degli arnesi e degli oggetti destinati all’esercizio del casinò, nonché del denaro da esso proveniente, determinando così la chiusura del locale.
Assolto da ogni accusa, nel 1996 il cav. COGNOME
chiedeva ed otteneva dal Comune di Letojanni licenza per poter ivi continuare a condurre la stessa attività derivante dalla transazione firmata con l’ETAL; decedeva, tuttavia, il successivo 8 maggio 1997.
In qualità di sua erede universale, come tale riconosciuta all’esito di una transazione con la figlia, e dunque quale titolare del diritto originariamente acquistato dal de cuius , la moglie del COGNOME, NOME COGNOME adiva il Tribunale di Palermo, chiedendo una pronuncia che affermasse l’esistenza di un danno risarcibile, in conseguenza dell’impossibilità di far valere i diritti nascenti dalla transazione conclusa con l’ETAL, nonché la responsabilità dello Stato italiano -e specificatamente della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per il Turismoper aver cagionato con la propria condotta tale pregiudizio, sia sotto il profilo del danno emergente che del lucro cessante.
Si costituiva, resistendo, la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Con sentenza n. 3648 del 15 giugno 2015 il Tribunale di Palermo rigettava la domanda di NOME COGNOME la quale impugnava la predetta sentenza in appello; si costituiva, resistendo al gravame, l’Avvocatura erariale, anche proponendo appello incidentale.
Con sentenza n. 905 del 2021 la Corte d’Appello di Palermo rigettava il gravame e confermava integralmente la sentenza di primo grado.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni. La ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa interpretazione di norme di diritto e in particolare della Legge n. 137/1952 ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e per aver ritenuta illegittima la transazione stipulata nel 1949’.
Lamenta che i giudici di merito hanno errato nel negare rilievo alla transazione stipulata dal cav. COGNOME con l’ETAL; così argomentando, infatti, hanno trascurato di rilevare che lo Stato può, nella materia del gioco d’azzardo, derogare alla normativa del codice penale.
1.1. Il motivo è inammissibile, per plurime ragioni.
In disparte il pur non marginale rilievo per cui il motivo incorre in manifesta violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. -dato che fa riferimento a circostanze ed atti riguardo ai quali viene omessa l’indicazione specifica nei sensi indicati dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, sia sotto il profilo della riproduzione diretta od indiretta del loro contenuto, in questo secondo caso con la precisazione della parte dell’atto o documento corrispondente all’indiretta riproduzione, sia sotto il profilo della loro localizzazione tanto nel giudizio di merito quanto in questa sede di legittimità (Cass., Sez. Un., n. 8950/20222; Cass., Sez. Un., n. 34469/2019; Cass., 22726/2011) -si deve rilevare che ove, nonostante la mancata evocazione del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., la deduzione di omesso esame dovesse intendersi come deduttiva di quel vizio, tale vizio risulterebbe dedotto solo genericamente ed assertivamente, atteso che il motivo non individua il fatto decisivo che non sarebbe stato esaminato.
In secondo luogo, il vizio risulta dedotto in violazione dell’art.
348ter cod. proc. civ., ora art. 360, comma 4, cod. proc. civ., data la cd. doppia conforme.
In terzo luogo, la lamentata violazione della legge 137/1852, non solo non viene illustrata con una argomentazione chiaramente percepibile come individuatrice della ‘violazione e falsa sua interpretazione’, ma essa, comunque, una volta confrontato ciò che si illustra con la motivazione della sentenza, risulta del tutto carente di qualsivoglia confronto con la ratio decidendi dell’impugnata sentenza, che rileva, anzitutto, che la legge citata fa riferimento alla rimozione di ostacoli amministrativi e burocratici per l’esercizio di attività lecite.
Si aggiunga ancora, e questo valga anche in relazione alla critica per cui la corte di merito non avrebbe considerato che lo Stato può derogare alla normativa del codice penale, che la corte d’appello ha rilevato che per altri casinò, come quello di Saint Vincent, esiste una norma legislativa ad hoc , che è invece assente nel caso in esame; e che in difetto di una norma legislativa non può essere attribuita validità alla transazione stipulata con RAGIONE_SOCIALE.
Infine – giusto il consolidato orientamento di questa Suprema Corte secondo cui quando la sentenza di merito impugnata si fonda, come nel caso in esame, su più rationes decidendi autonome, nel senso che ognuna di esse è sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile che il soccombente le censuri tutte, dato che l’omessa impugnazione di una di essere rende definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, e le restanti censure non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (v. Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017, in motivazione; Cass., 28/06/2023, n. 18403; Cass., 27/07/2017, n. 18641) – il motivo è inammissibile perché omette di censurare la ratio su cui, dunque, la decisione si consolida, e cioè che la transazione
con l’ETAL, invero, non attribuiva al dante causa della odierna ricorrente un diritto soggettivo ‘immediatamente efficace ad esercitare l’attività commerciale di gestione di una casa da gioco’, dato che, invece, con espresso rinvio, condizionava l’esercizio di tale diritto ad accordi da stipulare con altri organi ed enti pubblici e privati, accordi che, evidenzia la corte di merito, non risultano essere stati mai stipulati.
Quest’ultimo rilievo di inammissibilità sarebbe anzi decisivo ed assorbirebbe tutti gli altri.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ‘Omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti ed in particolare sull’inadempimento da parte dello Stato e sull’attività svolta dalla Presidenza del Consiglio per impedire l’attività a cui il cav. COGNOME aveva diritto’.
Lamenta che l’impugnata sentenza non avrebbe preso in considerazione l’attività del Governo italiano, volta ad impedire al COGNOME la riapertura del casinò di Taormina, oltretutto in palese disparità di trattamento con il casinò di Saint Vincent, tuttora aperto.
Deduce, inoltre, che la corte territoriale, per un verso, avrebbe erroneamente ritenuto che con lo scioglimento dell’ETAL e del Ministero per l’Africa Italiana, fosse cessata qualsivoglia ragione di contesa, senza considerare che tra tali enti ed il COGNOME era stata conclusa una transazione, registrata dalla Regione Sicilia aveva registrato; per altro verso avrebbe trascurato che la legge 137/1952 e succ. mod. riconosce inequivocabilmente il diritto dei profughi a continuare in Italia l’attività prima gestita all’estero, ivi compreso dunque l’esercizio dell’attività del gioco d’azzardo.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Al pari del primo motivo, anche il motivo in scrutinio viola in maniera manifesta l’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., in quanto in
quanto fa riferimento a circostanze ed atti riguardo ai quali viene omessa l’indicazione specifica nei sensi indicati dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, sia sotto il profilo della riproduzione diretta od indiretta del loro contenuto, in questo secondo caso con la precisazione della parte dell’atto o documento corrispondente all’indiretta riproduzione, sia sotto il profilo della loro localizzazione tanto nel giudizio di merito quanto in questa sede di legittimità.
Inoltre, la sua stessa intestazione si pone -dato che si fa riferimento non a fatti, ma a valutazioni cioè l’ ‘inadempimento’ e l’ ‘attività’ al di fuori del paradigma del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.
L’illustrazione del motivo, poi, nel menzionare i pretesi ‘comportamenti’ ostativi del Governo alla ripresa dell’attività del gioco di azzardo, non si duole del loro omesso esame, solo formalmente invocato, ma sostanzialmente sollecita un riesame del fatto e della prova, precluso in sede di legittimità.
Infine, il motivo, anche se la sua illustrazione identificasse ‘fatti omessi’ nel senso indicato dalle note S.U. nn. 8053 e 8054 del 2014, sarebbe inammissibile per le stesse ragioni indicate in sede di scrutinio del primo motivo: nuovamente viene infatti dedotto il vizio di omesso esame in presenza di doppia conforme; nuovamente non viene censurata la ratio decidendi su cui si fonda l’impugnata sentenza, e cioè il rilievo della assenza di un diritto soggettivo immediatamente azionabile, in quando condizionato nell’esercizio ad accordi che non risultano mai essere stati stipulati.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione dell’art. 92 c.p.c. in quanto il rigetto delle domande dell’Avvocatura e dell’appello incidentale richiede una valutazione in ordine alle spese di giudizio’.
Lamenta che erroneamente la corte di merito l’ha condannata
alla integrale rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio, senza affatto considerare che la controparte Presidenza del Consiglio dei Ministri si era vista rigettare sia numerose eccezioni formulate in primo grado, sia il proposto appello incidentale.
Nella sostanza, dunque, si lamenta che non si sia disposta una compensazione totale o parziale delle spese.
3.1. Il motivo è inammissibile, giusto il principio di diritto consolidato di cui a Cass., Sez. Un., n. 14989 del 2005: ‘I n tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione’.
È appena il caso di rilevare che dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta che la corte d’appello ha regolato le spese processuali secondo il principio di soccombenza, valutando l’esito complessivo finale della lite nei due gradi di giudizio, in tal modo conformandosi al consolidato orientamento di legittimità.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna al ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del
2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza