Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12632 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12632 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/05/2025
sul ricorso 35889/2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COMUNE DI NOCERA INFERIORE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente e ricorrente incidentale – avverso l ‘ordinanza della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 1216/2019 depositata il 11/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/04/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con contrapposti ricorsi per cassazione, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ed il Comune di Nocera Inferiore, si dolgono -la prima in via principale sulla base di quattro motivi articolati su più profili, seguiti da memoria, ed il secondo, in via incidentale, sulla base di cinque motivi seguiti anch’essi da memoria -di quanto statuito in pregiudizio delle ragioni di ciascuno dalla Corte di appello di Salerno definendo con la sentenza riportata in esergo il contenzioso tra loro insorto in merito all’esecuzione dell’appalto conferito dal Comune alla Grum per il completamento del locale Palazzetto INDIRIZZO.
In particolare, la Corte di merito ha rigettato le doglianze dell’appellante principale Grum -nella parte in cui questa, per quanto qui ancora rileva, aveva appellato la decisione di primo grado per aver respinto la domanda di risoluzione per inadempimento della stazione appaltante, motivata sul presupposto delle carenze progettuali dell’opera, e per aver disatteso le contestazioni sollevate con riferimento alla pronunciata rescissione del contratto a cui il Comune aveva proceduto a causa, segnatamente, dell’inosservanza dell’intimazione a riprendere i lavori -considerando, quanto al preteso inadempimento della stazione appaltante e alla speculare contestazione in ordine alla legittimità dell’operata rescissione, che nessuna delle lamentate carenze progettuali era risultata effettivamente tale alla luce delle risultanze peritali, giudicate, peraltro, inoppugnabili, atteso che «avverso l’intero elaborato tecnico, di cui si condivide il percorso logico-argomentativo, non sono state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori (Cass. ordin. n. 15147/2018), se non le deduzioni contenute già nei precedenti atti, che dunque non evidenziano quale sarebbe l’errore contenuto nella relazione
medesima»; ed aggiungendo, inoltre, che, poiché l’appaltatore aveva accettato, prima con il contratto del 1989, poi con l’atto aggiuntivo del 1992, che regolamenta l’esecuzione della perizia di variante, la fattibilità del progetto, «ogni elemento addotto non può essere considerato neppure come condizione di maggiore difficoltà, in quanto o era prevedibile o doveva comunque essere sopportato dall’impresa, come nel caso del cedimento della tribuna centrale. Dunque non si configura alcuna violazione dell’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto da parte della stazione appaltante. Al contrario tale violazione è addebitabile all’impresa, che ha preteso istruzioni dettagliate, anche quando le circostanze non le richiedevano, impedendo così che il rapporto si svolgesse secondo una normale concordia, senza la quale diventa impossibile cooperare per la realizzazione di uno scopo comune. Per questi motivi la domanda di risoluzione è infondata, non configurandosi alcun inadempimento da parte della stazione appaltante secondo i diversi profili dedotti e sopra esaminati. Ne consegue che il provvedimento di rescissione è stato efficacemente emanato, in quanto ciò è avvenuto quando il contratto era ancora in corso, e non si erano verificate le condizioni perché fosse dichiarata la sua risoluzione».
Il giudice territoriale ha, viceversa, accolto il gravame in punto alla tempestività delle riserve, procedendo tuttavia solo ad una parziale liquidazione delle stesse, riconoscendo, cioè, come dovuti solo i maggiori corrispettivi reclamati in relazione all’illegittima sospensione dei lavori impostasi per la predisposizione del progetto di variante, a titolo di interessi per ritardata contabilizzazione e ritardato pagamento dell’anticipazione ed in relazione ai materiali lasciati in cantiere e ai costi per l’allontanamento di quelli rimossi, peraltro liquidati in misura minore al richiesto; ma non quelli afferenti alla messa in opera dei pali di fondazione («relativamente
alla riserva dei maggiori oneri per la messa in opera dei pali di fondazione, la stessa non viene riconosciuta per gli stessi motivi per cui si ritiene che il mancato accollo di tale spesa non costituisca inadempimento da parte dell’appaltante»); agli oneri di autofinanziamento («per quanto riguarda la riserva per oneri di autofinanziamento, ossia la necessità di ricorrere a finanziamenti diversi per mancanza di versamento pedissequo degli acconti, il ctu valuta, da un dato fornito dalla stessa impresa, che alla data del 24/06/1992 erano stati compiuti lavori per un importo pari a £. 326.968.868; tale importo era però coperto dall’anticipazione corrisposta di £. 373.925.011, pertanto la relativa richiesta di £. 95.000.000 è priva di fondamento»); ai danni subiti per causa di forza maggiore rappresentata del cedimento del solaio della gradinata lunga ; ai maggiori oneri per discontinuità delle lavorazioni («dalla documentazione agli atti del proc. emerge che le lavorazioni non procedevano con la dovuta sollecitudine per motivi organizzativi interni all’impresa, tanto è vero che nel periodo a cui fa riferimento la riserva in esame, l’impresa stessa non aveva completato neanche le strutture in elevazione in conglomerato cementizio armato»); alle spese di guardiania relative alla seconda sospensione dei lavori («non si riconoscono le spese di guardiania per tale periodo, in quanto non sono dimostrate»); ai costi di smontaggio e di riarmo delle travi della tribuna («secondo il ctu la richiesta della d.l. è legittima e, oltretutto, dalla documentazione presente agli atti, gli
eventuali maggiori oneri per lo smontaggio e riarmo delle travi della tribuna, non risultano dimostrati tramite conteggi sufficientemente dettagliati e verificabili, né da un punto di vista qualitativo né tanto meno quantitativo. Si aggiunge che la prestazione rientra tra quelle dovute contrattualmente, per le quali non spetta alcun compenso aggiuntivo»); alle commissioni non ultimate a causa della sospensione dei lavori («secondo il ctu dalla documentazione agli atti del procedimento non emergono prove che i materiali, di cui si richiede il pagamento nella riserva stessa, fossero effettivamente presenti in cantiere. Infatti, ad esempio, nei verbali del 30/06/1994 e del 08/07/I 994 non risultano descritte forniture riconducibili univocamente a quelle per cui si richiede il pagamento. Pertanto, alla luce di tali considerazioni, la riserva oggetto di analisi non risulta riconoscibile. Si aggiunge, rispetto alle osservazioni del ctu, che tale riserva appare una duplicazione di quella relativa alla stessa sospensione dei lavori»); ai lavori eseguiti e non contabilizzati («Se il contratto è a corpo e non a misura, appare deduttivo che i lavori eseguiti non debbano essere contabilizzati a misura, bensì considerando la percentuale del completamento dei lavori rispetto all’intera opera»); ai costi di guardiani per il periodo 9.8.19938.7.1994 («non viene dal ctu riconosciuto, in quanto non provato, inoltre egli afferma: “Per completezza si ricorda che, ai sensi del punto 34 dell’Art. 79 del CSA, tra gli obblighi dell’Impresa rientravano anche la guardiania e la sorveglianza del complesso sia di giorno che di notte, fino al collaudo e alla consegna all’Ente gestore”. Anche tale rilievo è da condividere»).
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Il primo motivo del ricorso principale è rubricato sotto la dizione «error in iudicando al sensi dell’art. 360 nn. 3, 4 e 5 – error in procedendo ai sensi dell’art. 360 n. 4: nullità della sentenza per
violazione degli artt. 132 n. 4 e 195 comma 3 c.p.c. – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio – violazione artt. 24 e 111 cost. – violazione art. 132 n. 4 e 195 comma 3 c.p.c.». Deduce la ricorrente, censurando le determinazioni assunte dal decidente in punto alla chiesta risoluzione del contratto per inadempimento della stazione appaltante, l’erroneità dell’affermazione secondo cui non sarebbero state mosse all’elaborato del CTU critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori, quando al contrario «avverso le conclusioni rese dal CTU nella bozza della relazione peritale il Consulente Tecnico di Parte della RAGIONE_SOCIALE Ing. COGNOME aveva proposto puntuali osservazioni, articolate in ben 35 pagine, sulle quali il Consulente dei Secondi Giudici ha di fatto omesso di pronunciarsi».
2.2. Il secondo motivo del ricorso principale è rubricato sotto la dizione «error in iudicando ai sensi dell’art. 360 n. 3 – violazione e falsa applicazione di norme di diritto – violazione art. 30 del d.p.r. 16 luglio 1962, n. 1063 – violazione artt. 1453 e 1455 c.c. – violazione e falsa applicazione artt. 1175, 1375, 1453 e 1455 c.c. – violazione e falsa applicazione art. 5 del r.d. 25.05.1895 n.350 – violazione e falsa applicazione art. 22 del d.m. 29.5.1895 – violazione e falsa applicazione artt.1 e 15 del d.m. del 1895». Deduce la ricorrente, censurando le determinazioni assunte dal decidente in punto alla medesima domanda e all’eccepita illegittimità della rescissione del contratto da parte dalla stazione appaltante, sotto una prima angolazione, la violazione e falsa applicazione dell’art. 30 d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 e degli artt. 1453 e 1455 cod. civ., posto che «se avesse correttamente applicato le norme di diritto sopra citate il Giudice di COGNOME avrebbe dovuto rilevare che la sospensione dei lavori dal 8.4.1991 al 24.6.1992 era illegittima, e che il lungo lasso di tempo intercorso giustificava, da solo, la risoluzione del
contratto per inadempimento della Stazione Appaltante»; e sotto una seconda angolazione la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 1453 e 1455 cod. civ., dell’art. 5 r.d. 25 maggio 1895, n. 350 e degli artt. 1, 15 e 22 d.m. 29 maggio 1895, posto che «alla luce di quanto osservato in ordine alle contestazioni formulate dalla RAGIONE_SOCIALE rispetto alla CTU espletata in secondo grado, è evidente la erroneità dell’operato della Corte di Appello di Salerno nella parte in cui ha ritenuto che il Comune di Nocera Inferiore non avesse violato i principi di correttezza e buona fede nei rapporti contrattuali, e che dunque non avesse posto in essere alcun inadempimento contrattuale tale da giustificare la risoluzione del contratto».
2.3. Il terzo motivo del ricorso principale è rubricato sotto la dizione «error in iudicando ai sensi dell’art. 360 nn. 3, 4 e 5 – error in procedendo ai sensi dell’art. 360 n. 4: nullita’ della sentenza per violazione degli artt art. 132 n. 4 e 195 comma 3 C.p.c. – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio – Violazione artt. 24 e 111 cost. – violazione art. 132 n. 4 e 195 Comma 3 c.p.c.». Deduce la ricorrente, censurando le determinazioni assunte dal decidente in punto alle riserve non accolte o accolte solo parzialmente, che «anche con riferimento al terzo motivo di appello i Giudici di secondo Grado si sono limitati a recepire le conclusioni formulate dal CTU nella propria relazione peritale, senza considerare del tutto di prendere in considerazione quanto evidenziato dalla odierna ricorrente nelle osservazioni alla bozza di CTU e nelle contestazioni mosse alla CTU negli atti difensivi di secondo grado (comparsa conclusionale e memoria di replica) e nel verbale di udienza del 7/3/2019». Ciò, oltre a rendere «evidente la illegittimità sotto molteplici profili della sentenza gravata, nella parte in cui ha respinto parzialmente la domanda di condanna del Comune intimato al pagamento delle somme indicate nelle riserve identificate con i
numeri da 1 a 9 e in quelle successive alla chiusura della contabilità, conformandosi acriticamente alla relazione finale del CTU, senza in alcun modo considerare 1) le puntuali osservazioni alla bozza di CTU presentate dal CTP della RAGIONE_SOCIALE in data 4/2/2019 e 2) la mancata valutazione delle suddette osservazioni da parte dell’ausiliare del Giudice nella relazione finale; 3) le pertinenti censure e deduzioni articolate sul punto nel verbale di udienza del 7/3/2019, nelle memorie conclusionali del 6/5/2019 e nelle repliche del 27/5/2019», ne palesa altresì la censurabilità «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», nonché per la violazione degli artt. 132 e 195 cod. proc. civ., «giacché, come già diffusamente evidenziato: a) la decisione dei Secondi Giudici reca una motivazione solo apparente in ordine alle puntuali osservazioni alla bozza di CTU presentata dall’Ausiliare del Giudice e b) la relazione finale non reca alcuna valutazione neanche sintetica delle suddette osservazioni».
Tutti i sopradetti motivi si prestano ad una congiunta valutazione di inammissibilità rappresentabile sotto plurimi aspetti.
Intanto vanno mondati di ogni connotazione motivazionale: la sentenza, da un lato, esplicita in modo più che perspicuo il proprio itinerario decisionale e le ragioni che vi recano supporto, così da risultare pienamente “sopra soglia” e da affrancarsi, di conseguenza, da ogni sospetto di essere assistita da una motivazione solo apparente; e dall’altro non incorre neppure nell’omesso esame dei fatti decisivi, perché “i fatti”, a cui rimanda l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. -ovvero nella specie le pretese condotte inadempienti della stazione appaltante e le riserve esternata dall’appaltatrice -sono stati debitamente scandagliati dal decidente, quantunque con un esito diverso da quello auspicato dalla ricorrente. Va fatto, poi, ancora osservare che la rappresentazione cumulativa
ed indistinta di più profili cassatori, di cui si legge in particolare nel primo e nel terzo motivo di ricorso, si pone in aperto contrasto con il divieto di “mescolanza” ed osta alla loro scrutinabilità, in quanto restando inosservato il predicato della specificità del motivo, sarebbe onere del collegio isolare, all’interno di esso, le singole censure teoricamente proponibili.
Ciò premesso va ancora rimarcato, considerando i motivi in rassegna nel loro complesso, che essi, a causa della tecnica espositiva adottata, che fa leva sulla riproduzione di ampi stralci della CTU, unita alla riproposizione delle osservazioni ad essa operate dal CTP, non si adeguano né al ricordato predicato della specificità, in ragione del quale si raccomanda che nell’esposizione del motivo trovino espressione le ragioni del dissenso che la parte intende rappresentare nei riguardi della decisione impugnata, formulate in termini tali da soddisfare esigenze di completezza e di riferibilità a quanto pronunciato proprie del mezzo azionato e, insieme, da costituire una critica precisa e puntuale e, dunque, pertinente delle ragioni che ne hanno indotto l’adozione, onde non è tale il motivo che si risolva, come è dato qui di constatare, nella mera riproposizione delle tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello; né a quello dell’autosufficienza del ricorso, che raccomanda a sua volta che il motivo, dovendo essere specifico, sia esposto in modo tale che già la sua mera lettura ponga il collegio in grado di poter apprezzare autonomamente il merito della doglianza prospettata, senza bisogno non solo di integrazioni extra acta , ma neppure di uno sforzo interpretativo che aiuti a chiarirne il contenuto, laddove al contrario manifestamente non è il motivo che, a causa, come qui, dell’assemblaggio meccanico degli atti processuali, si astenga da ogni sintesi e chiami il collegio, segnatamente di fronte
all’affermazione che le deduzioni rassegnate in replica alla CTU non evidenzino criticità rilevanti, a sceverare nel compendio di una rappresentazione che si estende per più pagine quali siano i profili meritevoli di disamina.
A questo primo ordine di rilievi, in pari chiave pregiudizialmente preclusiva, se ne deve aggiungere uno ulteriore inteso a richiamare l’attenzione, in ragione di quanto si adombra in ciascuno dei motivi in disamina e, vieppiù, alla luce della tecnica espositiva adottata dal ricorso, sulla funzione e sui limiti del sindacato di legittimità che l’ordinamento affida alla Corte di Cassazione. Il giudizio che si svolge avanti ad essa non è, infatti, funzionale a riesaminare nel merito gli esiti della controversia in quanto l’ufficio che la Corte di Cassazione è chiamata ad assolvere è preordinato ad accertare unicamente la legittimità della decisione impugnata, valutandone la correttezza sotto il profilo della coerenza e della concludenza del procedimento logico che ha condotto alla sua assunzione e la fondatezza in punto di diritto del ragionamento decisorio sviluppato dal giudice di merito. In questo quadro l’apprezzamento delle risultanze istruttorie è compito che pertiene esclusivamente al giudice di merito, il cui responso è censurabile in questa sede, secondo il modello del rimedio impugnatorio a critica vincolata, solo se esso sia infirmato da un vizio logico inficiante il procedimento deliberativo ovvero da un errore di diritto comportante una violazione o falsa applicazione di legge.
In buona sostanza, ripetendo qui quanto si è più autorevolmente affermato altrove, il giudizio di cassazione non configura un terzo grado di giudizio in cui sia possibile mettere riparo, rivedendo segnatamente il giudizio in fatto reso dal decidente di merito, alla pretesa ingiustizia della decisione impugnata.
Ora nel caso che ne occupa, i motivi in parola affondando la loro radice non in una contestazione riconducibile allo ius constitutionis in rapporto al quale si esercita il controllo di legittimità, ma sono diretta espressione dello ius litigatoris in quanto postulano, auspicano e concretamente sollecitano solo una rimeditazione dell’apprezzamento in fatto operato dal giudice di merito nel definire la contesa tra le parti. Che però non è compito ordinamentale della Corte di cassazione.
6.1. Il quarto motivo del ricorso principale è rubricato sotto la dizione «error in iudicando: violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 comma 3 c.p.c.». Deduce la ricorrente, censurando il capo della decisione che aveva accolto solo parzialmente la riserva esternata con riferimento alla sospensione dei lavori impostasi per la predisposizione della perizia di variante, sotto una prima angolazione, la violazione e falsa applicazione art. 30, comma 2, d.P.R. 1963/1062, posto che nel recepire le conclusioni del CTU in ordine al suddetto profilo, la Corte di Appello ha ritenuto che nel caso di specie ricorressero le “ragioni di pubblico interesse o necessità” tali da consentire la sospensione dei lavori per un periodo di tempo non superiore a un quarto della durata complessiva dei lavori, quando, al contrario, «nessuna di tali cause ricorresse nel caso oggetto di esame», essendosi il CTU riportato a mutamenti intervenuti nella legislazione ed, in particolare, al divieto di impiegare prodotti a base di amianto, in epoca successiva alla sospensione; e sotto una seconda angolazione la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 l. 10 dicembre 1981, n. 741 posto che nel recepire le conclusioni del CTU in ordine al suddetto profilo, la Corte di appello ha inspiegabilmente ridotto la percentuale delle spese generali dal 15% al 6 %, quando, al contrario, «il parametro per la quantificazione delle spese generali è determinato nella misura del
15% ai sensi dell’art. 20 D.M. 29 maggio 1895 e dell’art. 14 della legge 10 dicembre 1981 n. 741, come pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di merito».
6.2. Entrambe le allegazioni si rivelano pregiudizialmente inammissibili.
La prima incorre in una duplice preclusione nascente, da un lato, dell’afferire la circostanza se la sospensione, nella specie, fosse giustificata o meno da “ragioni di pubblico interesse o necessità” ad un profilo di fatto, non scrutinabile in questa sede, secondo quanto già si è detto a margine dei primi tre motivi di ricorso; dall’altro, dall’essere l’allegazione in punto di diritto del tutto nuova, dato che la ricorrente non dice dove la quaestio iuris originata dalla successiva legislazione sull’amianto sia stata dedotta e sottoposta al vaglio del giudice di merito.
La seconda allegazione difetta parimenti di autosufficienza, dato che la ricorrente non riporta il passaggio della CTU che avrebbe operato nel senso riferito e, soprattutto, incorrendo nel medesimo rilievo preclusivo cui si è fatto appena cenno, non indica il quomodo ed il quando della relativa contestazione, onde, anche in ragione della novità della questione, il suo esame non è qui esperibile.
Il ricorso principale va dunque dichiarato inammissibile. Segue ai sensi dell’art. 334, comma 2, cod. proc. civ. l’inefficacia del ricorso incidentale risultando esso tardivo, posto che, essendo stata notificata la sentenza il 18.9.2019, la notificazione del controricorso in data 23.12.2019 è manifestamente fuori termine.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano secondo dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico della ricorrente principale del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso principale inammissibile e dichiara il ricorso incidentale inefficace; condanna parte ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in euro 7200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il