Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3542 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3542 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1401/2024 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso da ll’ Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al ricorso
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO di PIETRO DI PIETRO e FERMA NATALE
– intimati
–
a cui è stato riunito il ricorso iscritto al n. 1453/2024 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al ricorso
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al controricorso
– controricorrente –
nonché contro
FALLIMENTO di PIETRO DI PIETRO
– intimato
–
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 7658/2023 depositata il 28/11/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/1/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 665/2022 del 15 dicembre 2022, dichiarava il fallimento di NOME COGNOME su istanza di NOME COGNOME
La Corte d’appello di Roma, a seguito del reclamo presentato dal COGNOME, rilevava -per quanto qui di interesse -che dalle scritture contabili depositate relative all’anno 2021 risultavano ricavi lordi per € 254.588,75, così come indicato anche nella richiesta di rateizzazione presentata all’ufficio della riscossione dell’Agenzia delle Entrate, aggiungendo che il superamento della soglia relativa ai ricavi trovava conferma anche nelle dichiarazioni reddituali presentate dal Di Pietro per gli anni 2019 e 2020, mentre il superamento della soglia prevista per i debiti scaduti emergeva dalle risultanze delle procedure esecutive anche immobiliari pendenti presso il Tribunale di Roma introdotte da diversi creditori.
Osservava che il reclamante non aveva fornito alcuna prova in ordine alla rinuncia all’eredità dei genitori, tenuto conto anche dell’ordinanza resa ex art. 702ter cod. proc. civ. dal Tribunale di Roma che aveva statuito l’intervenuta accettazione tacita dell’eredità degli ascendenti da parte del COGNOME, della sentenza della Corte d’appello di Roma che aveva giudicato inammissibile l’impugnazione proposta perché tardivamente notificata e del ricorso per cassazione presentato avverso quest’ultima decision e.
Evidenziava che il reclamante risultava aver costituito ex novo , nel maggio 2002, la propria ditta individuale, ottenendo, nello stesso anno, le licenze necessarie allo svolgimento dell’attività di bar e
ristorante della propria attività commerciale, cosicché doveva essere considerata corretta l’intervenuta dichiarazione di fallimento del COGNOME in tale qualità.
Sosteneva che la possibilità di rateizzazione delle somme dovute all’Agenzia delle Entrate non assumeva rilievo ai fini della dichiarazione di fallimento, dato che questa circostanza non era idonea a elidere il debito verso l’erario nella sua precisa entit à, che, dunque, doveva essere considerato ai fini di verificare il superamento del limite previsto dell’art. 1, comma 2, lett. c) l. fall. e la sussistenza di uno stato di insolvenza.
Condivideva la valutazione del tribunale in ordine al ricorrere di un grave stato di insolvenza del COGNOME, confermato anche dal protratto inadempimento rispetto all’obbligo di pagamento della somma pretesa dal Ferma e dall’esito negativo del tentato pignoramento presso terzi, in occasione del quale la banca aveva specificato che non vi erano giacenze attive sui conti del debitore e vi erano ulteriori pignoramenti per la somma complessiva di € 294.482,49.
NOME COGNOME ha proposto un primo ricorso, depositato in data 17 gennaio 2024 (ore 15.46) e rubricato al n. 1401/2024 R.G., per la cassazione della sentenza di rigetto del reclamo, pubblicata in data 28 novembre 2023, prospettando quattro motivi di doglianza. NOME COGNOME ha proposto un secondo ricorso, depositato in data 17 gennaio 2024 (ore 19.23) e rubricato al n. 1453/2024 R.G., di identico tenore, al quale ha resistito con controricorso Natale Ferma. L’intimato fallimento di NOME COGNOME non ha svolto difese. .1
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre in primo luogo disporre la riunione dei differenti ricorsi, di identico tenore, presentati avverso la medesima statuizione, come previsto dall’art. 335 cod. proc. civ.
Il ricorso iscritto al n. 1453/2024 R.G., perciò, deve essere riunito al precedente ricorso, rubricato al n. 1401/2024 R.G.
5. Il primo motivo di ricorso, sotto la rubrica ‘ nullità della sentenza impugnata; art. 360 numero 4 c.p.c. in relazione agli artt. 113, 15, 116, 117, 132 c.p.c., 111 comma 7 Cost., 118 disp att. C.p.c. ed all’art.1 legge fallimentare; illegittimità della sentenza per vizio di motivazione ai sensi dell’art.360 numero 5 c.p.c .’, si duole del fatto che la Corte d’appello abbia omesso di prendere in esame e valutare, da una parte, le tre dichiarazioni dei redditi depositate presso la camera di commercio, da cui emergeva che i redditi del COGNOME era stati inferiori al limite di € 200.000, dall’altra la documentazione relativa agli interventi di Equitalia in sede esecutiva immobiliare, da cui si evinceva che solo il primo estratto di ruolo, risalente all’anno 2000, conteneva l’indicazione della notifica, mentre gli altri, non notificati, non costituivano un titolo esecutivo.
Peraltro, il rinvio della decisione dell’appello presentato dal COGNOME, disposto dalla commissione tributaria regionale in data 20 marzo 2023 a seguito dell’entrata in vigore della legislazione di definizione agevolata che sospendeva l’esecutività e la riscossione sino al 31 dicembre 2023, dimostrava che il credito non era attuale.
I debiti emergenti da questa documentazione non superavano, quindi, il limite di € 500.000 e la Corte d’appello è incorsa in tesi in un error in procedendo , poiché ha fatto propri i debiti emergenti dalle insinuazioni in sede esecutiva in maniera acritica, omettendo di procedere a una specifica ed autonoma verifica.
5.2 Il secondo motivo di ricorso, sotto la rubrica ‘ nullità della sentenza impugnata – art. 360 numero 3 e 4 c.p.c. in riferimento agli artt. 113, 115, 116, 132 c.p.c., art.111 Comma 7 cost., art.118 disp. Att. C.p.c. ed all’art.5 legge fallimentare; error in procedendo e violazione di legge sotto il profilo della erronea qualificazione del fatto ‘, assume che la Corte territoriale, nel ritenere che lo stato di insolvenza emergesse dal mancato, reiterato, pagamento del
creditore principale, dalla certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate nonché dall’esistenza dei debiti acclarati in sede esecutiva immobiliare, è incorsa -a dire del ricorrente -in ulteriori errores in procedendo , in quanto ha omesso di valutare una serie di documenti (modello Unico dei tre anni precedenti la dichiarazione di fallimento, esistenza di un ulteriore conto corrente attivo e mai aggredito, transazione conclusa con un diverso creditore) che dimostravano come il COGNOME adempisse regolarmente e con le proprie ordinarie risorse le sue obbligazioni.
5.3 Il terzo motivo di ricorso, sotto la rubrica ‘ nullità della sentenza impugnata – art.360 numero 4 c.p.c. in relazione agli artt. 113, 115, 116, 132 c.p.c., 111 comma 7 Cost., 118 disp. att. c.p.c. con riferimento alla qualità di erede ‘, assume che la Corte d’appello abbia deciso la controversia violando i principi di diritto che regolano il giusto processo laddove ha escluso la decisività del contenuto dell’ordinanza emessa dal Tribunale civile di Roma in sede di divisione esecutiva e del ricorso per cassazione proposto per il disconoscimento della qualità di erede di NOME COGNOME rispetto ai genitori e al fratello NOME.
5.4 Il quarto motivo di ricorso, sotto la rubrica ‘ nullità della sentenza impugnata; art. 360 numero 4 in riferimento agli artt. 113, 115, 116, 132 c.p.c.,118 disp. att. c.p.c., 111 comma 7 Cost. in relazione alla partecipazione alla impresa familiare del defunto NOME COGNOME assume che la Corte distrettuale abbia fatto erroneamente riferimento alla ditta individuale creata nell’anno 2002 da NOME COGNOME con nuove licenze per il bar e il ristorante, quando, in realtà, questi si era limitato a continuare l’attività in virtù della partecipazione all’impresa familiare avviata dal padre.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente, risultano inammissibili, anche ai sensi dell’art. 360 -bis , n. 1, cod. proc. civ. 6.1 Tutti i motivi di impugnazione presentati assumono di voler censurare ad un tempo alcuni vizi procedurali, in ragione dell’omessa
o erronea valutazione delle risultanze processuali, e alcuni vizi sostanziali, costituiti dalla violazione delle norme concernenti le soglie di non fallibilità e/o la condizione di insolvenza.
Un simile coacervo di critiche, argomentate in maniera unitaria, non soddisfa l’onere previsto dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. di articolare il ricorso per cassazione in specifici motivi riconducibili in maniera immediata e inequivocabile a una delle ragioni di impugnazione stabilite dall’art. 360, comma 1, cod. proc. civ. (cfr. Cass. 24247/2016, Cass. 18829/2016).
Il giudizio di cassazione, infatti, è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito; ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, in modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito (Cass. 19959/2014).
Risulta perciò inammissibile il motivo di impugnazione che, come quelli in esame, prospetti una pluralità di questioni precedute unitariamente dall ‘ elencazione delle norme asseritamente violate e riconducibili ad una pluralità dei canoni di critica previsti dall’art. 360 cod. proc. civ.
Una simile censura, da un lato, costituisce una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiede un intervento della Corte volto a enucleare dalla mescolanza dei profili le parti concernenti le separate censure (Cass. 18021/2016).
6.2 Tutti i mezzi, nel reiterare la denuncia della violazione degli artt. 113, 115, 116, 132 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111, comma 7, Cost. con riferimento al canone di critica previsto dall’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., lamentano che la Corte territoriale abbia commesso una serie di errores in procedendo nella valutazione del materiale probatorio disponibile.
Giova, a questo proposito, ricordare che per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza con cui si lamenti che questi, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass., Sez. U., 20867/2020). La doglianza concernente la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile, invece, solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta a una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez. U., 20867/2020).
Non è dunque possibile, come fanno i motivi in esame, proporre una censura per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. denunciando un’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, tenuto conto, peraltro, del fatto che la documentazione prevista dall’art. 15, comma 4, l. fall. non assurge, per costante orientamento di questo Corte, a prova legale (cfr. per tutte, Cass. 35381/2022).
6.3 È opportuno aggiungere, infine, che:
l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico rilevante in causa – costituito nel caso di specie dal superamento delle soglie di fallibilità e dal ricorrere di una condizione di insolvenza – sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 8053/2014);
ii) il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis , Cass. 21098/2016, Cass. 27197/2011); non è possibile, dunque, sollecitare questa Corte a rivedere gli approdi a cui è giunta la Corte di merito nel verificare il superamento delle soglie di fallibilità previste dall’art. 1, comma 2, l. fall., la sussiste nza di uno stato di insolvenza, la mancanza della dimostrazione che il Di Pietro non
fosse erede dei propri genitori o l’avvio di un’autonoma impresa individuale a seguito del decesso del padre;
iii) nel ricorso per cassazione la parte non può limitarsi alla mera riproposizione delle tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, operando così una mera contrapposizione del suo giudizio e della sua valutazione a quella espressa dalla sentenza impugnata (Cass. 11098/2000) senza considerare le ragioni offerte da quest’ultima; non può trovare spazio, perciò, in questa sede la reiterazione della tesi, in maniera acritica rispetto alle ragioni illustrate dalla Corte distrettuale, secondo cui la rateizzazione del credito erariale comportava la mancanza di attualità dello stesso e la sua non computabilità in funzione del superamento delle soglie di fallibilità e della valutazione dell’esistenza di una condizione d i insolvenza.
Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte riunisce il ricorso iscritto al n. 1453/2024 R.G. al ricorso rubricato al n. 1401/2024 R.G.; dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 8.200 , di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma in data 15 gennaio 2025