Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3497 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 3497 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 26308/2020 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
– ricorrente –
contro
NOME;
– intimato – avverso la sentenza n. 609/2020 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 24/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Marsala NOME e NOME COGNOME chiedendo la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni subiti per effetto della illegittima occupazione, da parte di questi ultimi, dell’immobile di sua proprietà sito in Pantelleria, INDIRIZZO (immobile che era già stato
concesso in locazione ai convenuti con contratto dichiarato nullo in altra sede giurisdizionale).
Il Tribunale con sentenza n. 623/2017 – dopo aver rilevato che non era stato provato il versamento dei canoni dalla data di stipulazione del primo contratto di locazione (intercorso con NOME COGNOME in data 5 maggio 2006) fino alla data di effettivo rilascio dell’immobile (avvenuto il 21 giugno 2013) -condannava entrambi i convenuti, in via solidale tra loro, al pagamento della somma ‘indicata dal CTU a titolo di indebita occupazione’, nonché al pagamento delle spese processuali e a quelle di c.t.u.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello NOME COGNOME.
Si costituiva il COGNOME, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
La Corte d’appello di Palermo con sentenza n. 609/2020, rigettando l’appello, confermava la sentenza del giudice di primo grado.
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la COGNOME, che è stata ammessa al gratuito patrocinio.
Nessuna difesa è stata svolta dall’intimato COGNOME.
Per l’odierna udienza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte mentre il Difensore della ricorrente ha depositato memoria a sostegno del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME articola in ricorso tre motivi.
1.1. Con il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 e ss. c.c., in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c., nella parte in cui non ha rilevato la inammissibilità della domanda di indebito arricchimento, formulata dal COGNOME, che può trovare ingresso soltanto nel caso in cui la parte interessata non dispone di altro supporto di natura causale.
Sostiene che il COGNOME avrebbe potuto essere legittimato ad esperire in via residuale l’azione di arricchimento indebito soltanto se
avesse impugnato le sentenze che avevano denegato le sue pretese creditizie di natura causale (precisamente le sentenze nn. 44/2010, 137/2012 e 573/2013 del Tribunale di Marsala, nonché la sentenza n. 137/2012 della Corte d’appello di Palermo).
Osserva che il COGNOME, così operando, ha lasciato cristallizzare statuizioni giudiziali che, se fossero state impugnate, avrebbero potuto essere riformate in suo favore e, quindi, avrebbero potuto soddisfarlo con il riconoscimento di quanto egli pretendeva.
1.2. Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 e n. 5 c.p.c., nella parte in cui la corte territoriale non ha tenuto conto che le sentenze n. 44/2010, 137/2012 e 573/2013 del Tribunale di Marsala sono tutte passate in giudicato, con la conseguenza che la corte non avrebbe potuto riprendere in esame la questione della autonomia dei due contratti COGNOME – COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Sostiene che la corte territoriale, ad esito di un percorso argomentativo incomprensibile, ha rigettato il suo appello argomentando sul fatto che il rapporto di filiazione, intercorrente tra lei e suo padre NOME, faceva presumere un contemporaneo godimento dell’immobile da parte di entrambi, considerata anche la natura enoagricola e commerciale dell’opificio oggetto di contratto locativo.
1.3. Con il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. nella parte in cui la corte territoriale ha dichiarato inammissibile il motivo sul quantum debeatur , che lei aveva proposto in via subordinata, sul presupposto che non era stato indicato il valore alternativo da porre a base di una decisione all’appellante più favorevole.
Sostiene che la corte territoriale avrebbe potuto trarre elementi per una riduzione del quantum proprio dalla c.t.u. versata in atti, dalla quale si leggono valori locativi molto inferiori di quelli che il
COGNOME <>.
Il ricorso è inammissibile.
2.1. In primo luogo, occorre rilevare che il ricorso, nell’esposizione del fatto (contenuta nelle poche righe tra la pagina 4 e quella successiva) non rispetta le prescrizioni di cui all’art. 366 n. 3 c.p.c.
Come le Sezioni Unite di questa Corte vanno da tempo ribadendo (cfr. n. 2602/2003 e n. 11653/2006), il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, primo comma n. 3, cod. proc. civ., essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata. La prescrizione di detto requisito risponde ad una esigenza (non di mero formalismo, ma) di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato.
Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’articolo 366 comma primo n. 3 cod. proc. civ., è necessario che il ricorso per cassazione contenga l’indicazione, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, ma sommario, delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la
sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.
Orbene, nella specie, parte ricorrente: a) – dopo aver fatto riferimento a precedenti contenziosi tra le parti, senza far comprendere neppure quale fosse il loro relativo oggetto – riferisce che il COGNOME aveva promosso in primo grado una azione extracontrattuale di indebito arricchimento nei confronti non soltanto suoi ma anche di suo padre NOME, ma tanto fa senza far comprendere neppure la causa petendi ed il petitum non solo dei primi, ma soprattutto proprio di quella definita con la qui gravata sentenza (limitandosi a dire che il COGNOME assumeva di non aver potuto utilizzare l’opificio a causa della mancata consegna delle chiavi da parte sua e di suo padre); b) nulla riferisce di quali fossero state nel giudizio di primo grado le difese sue e di suo padre; c) non ripercorre l’ iter argomentativo seguito dal giudice di primo grado (limitandosi a rilevare che lo stesso aveva ritenuto la successione dei due contratti ed aveva condannato in solido lei e suo padre al pagamento della somma accertata dal c.t.u. per indebita occupazione), senza neppur far comprendere se il padre, che era stato condannato in solido con lei, fosse litisconsorte necessario o soltanto processuale; d) riferisce di aver proposto appello avverso la sentenza di primo grado, senza tuttavia spiegare perché l’aveva ritenuta <>; e) nulla riferisce sulle difese svolte dalla parte appellata.
In definitiva, l’esposizione del fatto, contenuta nel ricorso, si palesa gravemente ed irrimediabilmente insufficiente.
2.2. Inoltre, la ricorrente: a) fa più volte riferimento ai precedenti contenziosi intercorsi tra le parti (di cui la corte territoriale ha espressamente sottolineato l’irrilevanza ai fini del decidere), non soltanto senza indicarne l’oggetto, come sopra già rilevato, ma anche
senza specificare quando le sentenze citate siano state prodotte, né dove siano rinvenibili, né quando e come siano state sottoposte ai giudici del merito; b) denuncia l’omesso esame di fatti decisivi e rilevanti, ma in concreto sollecita questa Corte a procedere ad una nuova valutazione di merito, come si evince chiaramente dalle conclusioni (che rassegna a p. 10 del ricorso); c) non tiene conto che entrambi i giudici di merito hanno esaminato la circostanza relativa alla persistente occupazione dell’immobile da parte sua (anche successivamente alla cessione in locazione del bene in favore di suo padre NOME) e, pur in presenza di doppia conforme, non spiega perché le ragioni di fatto poste sul punto dal giudice di primo grado e dalla corte di appello siano tra loro diverse; d) si duole del fatto che il motivo sul quantum , articolato in sede di atto di appello, era stato dichiarato inammissibile ma inammissibilmente non si confronta con la decisione della corte di merito (che aveva dichiarato l’inammissibilità del motivo di appello sulla base della circostanza che non era stato indicato il valore alternativo che avrebbe dovuto essere posto alla base della più favorevole decisione di merito invocata).
All’inammissibilità del ricorso consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2024, nella camera di