Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8668 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8668 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 1757-2023 r.g. proposto da:
COGNOME, difensore di sé stessa ed elettivamente domiciliata presso il proprio studio in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore .
-intimata –
avverso la sentenza, n. cron. 6491/2022, della CORTE DI APPELLO di ROMA, pubblicata il giorno 18/10/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 28/03/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con decreto ingiuntivo n. 17943/2011, reso il 21 settembre 2011, il Tribunale di Roma intimò all’Avv. NOME COGNOME di pagare alla RAGIONE_SOCIALE
s.p.a. la somma di € 26.616,45, oltre interessi e spese del procedimento monitorio.
1.1. L’opposizione promossa dalla debitrice, ex art. 645 cod. proc. civ., avverso il suddetto decreto, deducendo, in particolare, il difetto dei requisiti di cui all’art. 633 cod. proc. civ. per l’emissione della ingiunzione, fu respinta dal menzionato tribunale con sentenza del 6 dicembre 2017, n. 23073.
Analogo esito negativo ebbe il gravame dell’Avv. COGNOME contro tale decisione, disatteso dall’adita Corte di appello di Roma con sentenza del 18 ottobre 2022, n. 6491, pronunciata nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE e, per essa, quale sua procuratrice, Intesa Sanpaolo s.p.a.
2.1. Quella corte: i ) ritenne pienamente provato il credito vantato dalla banca verso l’Avv. COGNOME in virtù di contratti di finanziamento e di conto corrente bancario; ii ) considerò inammissibile, ex art. 345 cod. proc. civ., la deduzione, per la prima volta formulata in appello, della mancata dazione della somma mutuata; iii ) valutò come legittimo il recesso della banca dal contratto di conto corrente e da quello di finanziamento, per l’insussistenza del merito creditizio in conformità ai contratti, non onorati dalla parte finanziata; iv ) condannò l’appellante ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. per lite temeraria.
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso l’Avv. NOME COGNOME affidandosi a tre motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. RAGIONE_SOCIALE.p.a.RAGIONE_SOCIALE unica destinataria della notificazione di tale ricorso, è rimasta solo intimata.
3.1. È stata formulata, da parte del Presidente, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022. A fronte di essa, parte ricorrente ha domandato la decisione della causa, depositando anche altra memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« In relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 354 comma 1, c.p.c., dell’art. 161, comma
2, c.p.c. nonché degli artt. 132, comma 2, n. 5, e 119 disp. att. c.p.c. ». Si ascrive alla corte distrettuale la mancata rimessione della causa in primo grado, ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., sull’assunto che la sentenza del tribunale sarebbe stata nulla, in quanto pronunciata da magistrato appartenente alla sezione specializzata in materia di impresa, ed in forma monocratica invece che collegiale, mentre, nella specie, oggetto della controversia erano contratti bancari;
II) « In relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 354, comma 1, c.p.c., dell’art. 161, comma 2, c.p.c. della sentenza di primo grado in quanto emessa ex art. 281 -sexies ma priva del verbale dell’udienza del 6/12/17 e quindi priva della firma del Giudice ». Si assume che la sentenza di primo grado a suo tempo pronunciata dal Tribunale di Roma, n. 23073/17, non era è stata emessa nel rispetto delle forme di cui all’art. 281 -sexies cod. proc. civ. che, al comma 2, prevede che ‘, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria ‘. Nella specie, invece, la menzionata sentenza del tribunale capitolino era stata emessa ex art. 281sexies cod. proc. civ. priva del verbale dell’udienza del 6 dicembre 2017 nella quale era stata pronunciata;
III) « In relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 112 c.p.c., per vizio di extra e/o ultrapetizione ». Si assume che, a fronte del carattere non fidefacente della certificazione ex art. 50 del d.lgs. n. 385/93 ex adverso depositata, nonché dell’oggetto della domanda in monitorio originariamente azionata tendente all’adempimento, era rimasta esclusa dall’oggetto del giudizio (in primo grado ed in grado di appello) la domanda di risoluzione. La banca, infatti, che aveva revocato gli affidamenti, non aveva azionato la risoluzione di diritto con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c. per vizio di ultra e/o extrapetita della sentenza emessa dalla corte territoriale.
2. Va rilevato, innanzitutto, che la proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore:
« Il primo motivo invero deduce il vizio di violazione di legge, per la mancata rimessione della causa in primo grado ai sensi dell’art. 354 c.p.c., sull’assunto che la sentenza di tribunale sarebbe nulla, in quanto pronunciata da magistrato appartenente alla sezione specializzata in materia di impresa, ed in forma monocratica invece che collegiale, mentre si tratta di contratti bancari: ma nessuno di tali eventi è riconducibile alla norma invocata, oltre a non integrare neppure un vizio della decisione di primo grado;
il secondo motivo è manifestamente inammissibile, perché censura la sentenza del tribunale, essendo oggetto del ricorso in cassazione solo quella di secondo grado;
il terzo motivo è manifestamente inammissibile, perché deduce il vizio di ultrapetizione in violazione dell’art. 112 c.p.c., per il fatto che la corte territoriale ha ritenuto idonea la certificazione ex art. 50 tub a provare il credito della banca anche quanto agli interessi moratori, e perché ha ritenuto il contratto risolto, mentre la banca aveva solo revocato gli affidamenti concessi: nessuna di tali censure, tuttavia, si inquadra nella norma invocata ».
Il Collegio reputa affatto esaustive e condivisibili tali argomentazioni, che, pertanto, ribadisce interamente, facendole proprie, altresì rimarcando che:
i ) i primi due motivi sono diretti contro la sentenza di primo grado, senza che sia stata indicata la proposizione di motivi di appello sui corrispondenti pretesi vizi;
ii ) come sancito da Cass. n. 9224 del 2023, all’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale è applicabile, in forza del rinvio operato dall’art. 50quater cod. proc. civ., il regime della nullità di cui all’art. 161, comma 1, cod. proc. civ., con la conseguenza che il relativo vizio (che non comporta la nullità degli atti precedenti) si converte in motivo di impugnazione, senza che quest’ultima produca l’effetto della rimessione degli atti al primo giudice;
iii ) l’Avv. COGNOME pur avendo chiesto la decisione del ricorso ex art. 380bis , comma 2, cod. proc. civ., nemmeno si è specificamente ed adeguatamente confrontata con le riportate argomentazioni della descritta
proposta, atteso che, sia nell’istanza predetta, sia nelle successive memorie ex art. 380bis .1, comma 1, secondo periodo, cod. proc. civ., di contenuto identico, del 24 febbraio 2024 e del 18 marzo 2025, ha dedotto che, « se è vero, come è vero, che nella proposta ex art. 380 -bis l’Ecc.ma Corte ha ritenuto la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 6491/22, oggetto del presente gravame, conforme a consolidati principi di legittimità, è anche vero che l’espresso rilievo dell’avvenuta deduzione formulata pe r la prima volta in appello della mancata prova della dazione della somma mutuata apre al richiamo di altrettanto consolidata giurisprudenza di questa Eccellentissima Corte », secondo cui « ‘…Nel giudizio di appello e in quello di cassazione, il giudice -in caso di mancata rilevazione ufficiosa, in primo grado di una nullità contrattuale -ha sempre il potere di procedere a siffatto rilievo…’. La predetta decisione è conforme ad altre tutte dello stesso tenore (Cass. 28377/22; Cass. 26495/19; Cass. 36353/21; Cass. SS.UU. 26242/14; Cass. SS.UU. 26243/14; Cass. SS.UU. 14828/12). Con particolare riferimento alla pronuncia di cui a Cass. 36353/21, allo stato la prova della dazione della somma non è più possibile per l’Italfondiario essendo precluse attività istruttorie e/o di produzione documentale. Nel caso di specie la attuale mancata prova delle concrete modalità di dazione della somma incide sulla validità contrattuale posto che in primis non potrebbe nemmeno escludersi l’errore da parte della Banca. Inoltre l e concrete modalità della dazione incidono sul regime contrattuale e sul regime degli interessi. Non è difatti allo stato provato, né tale prova incombeva sull’odierna ricorrente (che mai ha rivestito la qualità di attore sostanziale), se ci sia stata effettiva consegna (anche sottoforma di tradizione simbolica) o se tale somma sia stata dalla Banca semplicemente messa a disposizione del correntista. L’assenza di prova circa la concreta modalità della dazione ha anche, come logica conseguenza: sia l’impossi bilità di valida sussunzione della concreta fattispecie contrattuale nel tipo legale e quindi l’impossibilità di individuare la effettiva causa e/o l’oggetto del contratto con conseguenti invalidanti effetti sul contratto; sia l’impossibilità di stabilire a priori il momento iniziale dal quale decorre l’obbligazione di pagamento degli interessi sia soprattutto
l’impossibilità di stabilire l’effettivo tasso soglia antiusura ». È evidente, tuttavia, che tali affermazioni si traducono, sostanzialmente, in una ragione di impugnazione affatto diversa, e, come tale inammissibile, da quelle prospettate con il ricorso, così mostrando di non considerare minimamente che, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la memoria di cui all’art. 380bis .1. cod. proc. civ. non può contenere nuove censure, ma solo illustrare quelle già proposte ( cfr., ex multis , Cass. n. 30878 del 2023; Cass. n. 17893 del 2020; Cass. n. 24007 del 2017; Cass. n. 26332 del 2016; Cass., SU, n. 11097 del 2006). In ogni caso, ed in via assolutamente dirimente, va rimarcato che è innegabile che la giurisprudenza di legittimità affermi che, nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa in primo grado di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo ( cfr . Cass., SU, n. 26242 del 2012, i cui assunti sono stati peraltro successivamente ribaditi, tra le altre, da Cass. n. 19251 del 2018, Cass. n. 26495 del 2019, Cass. n. 20170 del 2022 e Cass. n. 28377 del 2022). Questo principio, però, deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile e la relativa tempistica, onde evitare che l’esercizio di un potere officioso consenta alle parti di rimettersi in pista -per così dire -quando i fatti costitutivi del lamentato vizio negoziale da esaminare ex officio avrebbero potuto e dovuto essere tempestivamente allegati, onde consentire al giudice la necessaria valutazione in diritto. Qualora i fatti costitutivi della dedotta nullità negoziale non risultino già allegati in toto dalla parte che la invoca successivamente, difatti, non è consentito al giudice, in qualsiasi stato e grado del processo, procedere d’ufficio a tali accertamenti, la rilevabilità officiosa della nullità essendo circoscritta alla sola valutazione in iure dei fatti già allegati ( cfr. , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20713 del 2023 e Cass. n. 5478 del 2024). Nell’odierna vicenda, si legge nella sentenza impugnata ( cfr . pag. 5) che « con riguardo al contratto di finanziamento -che parte appellante deduce essere un ‘prestito personale’, e non un contratto di finanziamento -si deduce che ‘non risulta ancora dimostrata l’effettiva dazione delle somme’. Questa costituisce, tuttavia, una censura
nuova e svolta per la prima volta con l’atto di appello, come tale inammissibile ai sensi dell’art. 645 c.p.c. ». Da questa affermazione (peraltro rimasta priva di adeguata e specifica censura in questa sede) consegue, allora, che l’Avv. COGNOME avrebbe dovuto tempestivamente allegare, già innanzi al tribunale (ma di tanto non vi adeguata indicazione nella doglianza in esame, che non riporta se, e come, eventualmente la questione fosse stata ivi concretamente prospettata), i fatti costitutivi funzionali a fondare la legittimità di una successiva rilevazione officiosa di quella stessa nullità dalla stessa oggi invocata pur non essendo stata documentata una tempestiva domanda formulata in tal senso. In altri termini, la quaestio nullitatis ove da lei sollevata in appello, pur astrattamente proponibile al di là delle preclusioni ormai maturatesi, avrebbe, sì, obbligato il giudice a rilevarne l’eventuale fondatezza, o meno (con conseguente applicazione del disposto dell’art. 101, comma 2, cod. proc. civ.), ma sempre che, ed a condizione che, i fatti costitutivi del vizio negoziale fossero stati già tempestivamente allegati (ma di tanto nulla risulta, come si è detto, dal ricorso), onde legittimare una decisione fondata su quegli stessi fatti e soltanto su quelli, non essendo più consentito al giudice di appello alcun accertamento fattuale se non in violazione del principio del contraddittorio.
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso dell’Avv. NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità atteso che RAGIONE_SOCIALE unica destinataria della notificazione di tale ricorso, ha svolto difese.
4.1. Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va disposta la condanna della medesima ricorrente a norma dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ., malgrado l’essere rimasta solo intimata la controparte ( cfr . Cass. n. 27947 del 2023; Cass. n. 5243 del 2024.
Vale rammentare, in proposito, che: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. (pure novellato dal menzionato d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio
in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi (del terzo e) del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente ( cfr . Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. nn. 11346 e 16191 del 2024).
Pertanto, non ravvisando il Collegio (stante la complessiva ‘tenuta’, pur nella sua sinteticità, del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) ragioni per discostarsi dalla suddetta previsione legale ( cfr ., in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023), l’Avv. NOME COGNOME va condannata al pagamento della somma equitativamente determinata di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
5. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., SU., n. 24245 del 2015; Cass., SU., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso dell’Avv. NOME COGNOME
Condanna quest’ultima al pagamento della somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della medesima
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile