Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33471 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33471 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6549/2020 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , ed domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore e domicilio telematico presso PEC
Oggetto: Banca – Conto corrente – Anatocismo –
R.G.N. 6549/2020
Ud. 06/12/2024 CC
avvfrancescocriscoliEMAIL rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO SALERNO n. 1641/2019 depositata il 28/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 06/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1641/2014, pubblicata in data 28 novembre 2019, la Corte d’appello di Salerno, per quanto rileva ancora nella presente sede, ha, nella regolare costituzione dell’appellata Banca Popolare Società Cooperativa (ora BANCO RAGIONE_SOCIALE, respinto l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 1753/2013, pubblicata in data 4 luglio 2013.
Quest’ultima, in parziale accoglimento delle domande formulate dalla RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE, e da altri, in relazione ad una serie di rapporti di apertura di credito in conto corrente intrattenuti presso la Banca Sannitica (poi Banca Popolare di Novara SPA, poi Banca Popolare Società Cooperativa, ora BANCO BPM SPA), aveva dichiarato, quanto ad alcuni rapporti, la nullità sia delle clausole di determinazione del tasso di interesse con rinvio a quello praticato dalle aziende di credito della piazza sia delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito, dichiarando, poi, che in relazione a detti rapporti gli interessi dovevano essere calcolati al tasso legale mentre per gli altri rapporti – sorti successivamente al 9
luglio 1992 – gli interessi dovevano essere calcolati al tasso di cui all’art. 117 del T.U.B.
Proposto appello (anche) da parte della RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE in relazione alla seconda parte della statuizione -avendo l’appellante chiesto sia di accertare l’inoperatività della capitalizzazione periodica degli interessi legali sia di accogliere integralmente delle domande originariamente proposte, ivi compresa la ripetizione delle somme indebitamente percepite dall’appellata la Corte d’appello di Salerno ha respinto il gravame ritenendo di far proprie le conclusioni rassegnate nella relazione peritale integrativa depositata dal consulente tecnico nominato dal Tribunale, relazione dalla quale emergeva in ogni caso un saldo a debito della stessa appellante.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Salerno ricorre ora RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE.
Resiste con controricorso BANCO BPM SPA.
In data 15 gennaio 2024, il Consigliere delegato, ha formulato proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. segnalando la inammissibilità del ricorso.
A detta proposta ha fatto seguito istanza del ricorrente per la definizione del giudizio.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d’appello avrebbe omesso di rilevare che l’odierna controricorrente non aveva impugnato la decisione di prime cure, conseguentemente prestando acquiescenza alla ricostruzione contabile dalla quale emergeva un credito della stessa ricorrente a titolo di ripetizione di indebito.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce:
-in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione di norme di diritto;
-in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
Deduce la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe violato l’art. 120 TUB, omettendo di rilevare l’assenza delle condizioni per l’adeguamento prescritto d all’articolo 7 della delibera CICR del 9 febbraio 2000 e, conseguentemente, di individuare correttamente la decorrenza del termine decennale dell’azione di ripetizione.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, sempre per avere la Corte territoriale omesso sia di verificare la in sussistenza delle condizioni per l’adeguamento di cui all’articolo 7 della delibera CICR del 9 febbraio 2000 sia di prendere atto dell’assenza della riproposizione dell’eccezione di prescrizione da parte dell’odierna controricorrente in sede di appello, sebbene il giudice di prime cure su tale eccezione non si fosse pronunciato.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, testualmente, ‘violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 cpc):
nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art.112 cpc -vizio dl ultra petizione (art. 360 n. 4 cpc)’ .
La ricorrente denuncia la violazione dell’art. 346 c.p.c. in quanto la Corte territoriale avrebbe fatto proprio un conteggio del consulente d’ufficio nel quale si faceva applicazione della prescrizione sebbene tale ipotesi non fosse stata accolta dal giudi ce di prime cure e l’odierna controricorrente non avesse riproposto l’eccezione di prescrizione in sede di gravame.
Il ricorso è, nel complesso, inammissibile.
2.1. L’inammissibilità del primo motivo discende, in primo luogo, dall’applicazione del disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c., trattandosi di giudizio di appello introdotto nel 2014, non emergendo che la decisione della Corte d’Appello si sia in alcun modo distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado e non avendo parte ricorrente indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
Ulteriore profilo di inammissibilità è quello già evidenziato nella proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c.: le deduzioni della ricorrente si pongono ampiamente al di fuori del perimetro di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c., non essendo dedotto l’omesso esame di un fatto storico, inteso come preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018; Cass. Sez. 2 Sentenza n. 14802 del 14/06/2017).
Ciò di cui la ricorrente viene a dolersi in concreto è l’opzione esercitata dalla Corte d’appello a favore di una delle ricostruzioni dei rapporti di dare ed avere tra le parti operata in sede di consulenza tecnica d’ufficio, disattendendo la diversa ricostruzione invocata dalla medesima ricorrente, e cioè un profilo che non rientra nell’ipotesi di omesso esame di fatto decisivo, con conseguente inammissibilità di una censura che, irritualmente, mira ad estendere il paradigma normativo al di fuori del suo ambito (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14802 del 14/06/2017).
2.2. Identiche considerazioni devono essere poste alla base del giudizio di inammissibilità del secondo motivo di ricorso, dal momento che, anch’esso, in relazione alla deduzione dell’ipotesi di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c., non viene concretamente a de durre l’omesso esame di un fatto storico, ma censura l’adesione della Corte territoriale ad una ricostruzione contabile diversa da quella sostenuta dalla ricorrente medesima.
Quanto alla deduzione dell’ipotesi di cui all’art. 360, n. 3), c.p.c., si deve rammentare che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il
fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Nel caso in esame, invece, come già rilevato nella proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c., il motivo omette radicalmente di articolare una censura organica ed ancorata ad un raffronto tra le affermazioni contenute nella decisione impugnata ed il corretto governo delle norme regolatrici della fattispecie, limitandosi ad un generico richiamo ad orientamenti di questa Corte, senza calarli nella specificità del caso concreto ed imputando semplicemente alla Corte territoriale di non aver esaminato e recepito le tesi della ricorrente medesima.
2.3. L’inammissibilità del terzo motivo il quale viene almeno in parte a riproporre le medesime censure articolate con il secondo motivo -discende in primo luogo dal suo collocarsi -ancora una volta -al di fuori del perimetro di cui all’art. 360, n. 5), c .p.c., imputandosi alla Corte territoriale non l’omesso esame di un fatto, bensì la mancata valutazione di argomentazioni a supporto di una diversa ricostruzione contabile.
A tale rilievo deve poi aggiungersi un’ulteriore considerazione, concernente, questa volta, la doglianza riferita alla mancata riproposizione in sede di gravame dell’eccezione di prescrizione da parte dell’odierna controricorrente: l’esame della decisione impugnata evidenzia che la Corte territoriale ha dichiarato la tardività della comparsa di costituzione in appello dell’odierna controricorrente, escludendo conseguentemente la valutazione di tutte le ‘argomentazioni, eccezioni e richieste’ , dal che deriva in modo evidente che la ratio decidendi della decisione impugnata non risulta in alcun modo essersi venuta ad imperniare sull’accoglimento dell’eccezione di prescrizione.
2.4. Le considerazioni appena svolte valgono ad evidenziare l’inammissibilità anche del quarto motivo, in relazione al quale si deve rilevare -ma le considerazioni valgono per il ricorso nel suo complesso -una grave carenza quanto al rispetto del canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c.
La ricorrente, infatti, ha omesso di riprodurre o quantomeno localizzare adeguatamente gli atti processuali cui àncora le proprie deduzioni, al punto che, nel caso dello specifico del motivo ora in esame, risulta del tutto apodittica ed indimostrata l’affermazione della ricorrente che il conteggio adottato nella decisione impugnata avrebbe tenuto conto dell’eccezione di prescrizione , non essendo a questo fine sufficiente il minimale frammento di consulenza tecnica riprodotto nel motivo, sol che si consideri che lo stesso ricorso evidenzia nella ricostruzione in fatto (pagg. 5 e 6) l’esistenza di ben sei elaborazioni contabili ad opera del consulente d’ufficio .
Queste carenze -il cui carattere radicale preclude l’esercizio del potere-dovere del giudice di legittimità di accertare la sussistenza del denunciato vizio attraverso l’esame diretto degli atti (Cass. Sez. U –
Sentenza n. 20181 del 25/07/2019; Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 27368 del 01/12/2020; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15071 del 10/09/2012) -comportano la inidoneità del motivo di ricorso a dimostrare la inconciliabilità delle rationes decidendi poste a base della sentenza di primo e di secondo grado e quindi a dimostrare che la ratio della decisione impugnata si venga effettivamente a basare sull’accoglimento dell’eccezione di prescrizione.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Avendo questa Corte deciso in conformità della proposta, deve trovare applicazione l’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., il quale richiama, in caso di decisione conforme alla proposta, il disposto di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c. con la conseguente condanna ulteriore della ricorrente soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata nonché, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00, somme che si liquidano come da dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause
originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara il ricorso inammissibile;
condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 7.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente , della somma equitativamente determinata in € 7.000,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di € 2.500,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione