Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31410 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31410 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2402/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME Anthony, rappresentato e difeso dall ‘Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’ Avv. NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore
-intimato- avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 607/2020 depositata il 29/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Palermo ha accolto solo parzialmente il gravame proposto da NOME COGNOME e ha, quindi, condannato il Ministero della giustizia al pagamento dell’ulteriore somma di euro 25.579,35 oltre interessi.
Per quel che qui rileva, la Corte territoriale ha premesso che il giudice di primo grado aveva dichiarato illegittima la sospensione cautelare dal servizio dal 5 novembre 1994 al 29 aprile 1997 perché disposta dal Ministero solo per fatti per i quali il lavoratore era stato successivamente
assolto in sede penale e, di conseguenza, aveva condannato l’amministrazione al pagamento della differenza tra la retribuzione globale di fatto cui avrebbe avuto diritto e l’assegno alimentare percepito, quantificata con sentenza definitiva a mezzo di CTU. A fronte dell’appello del lavoratore, che sosteneva l’illegittimità della sospensione dal servizio irrogata dal 1994 fino al 2004, la Corte di merito ha ricostruito i fatti come segue:
-il COGNOME tratto in arresto nell’ambito del procedimento penale n. 900/93, era stato sospeso obbligatoriamente dal servizio a decorrere dal 7 novembre 1994;
annullata la misura cautelare restrittiva, al COGNOME era stata applicata la sospensione facoltativa;
al procedimento penale n. 900/93 era stato, poi, riunito un altro procedimento n. 83/95, pure avviato a carico del COGNOME;
il Ministero, in data 29 aprile 1997, aveva avviato un unico procedimento disciplinare, contestualmente sospeso in attesa della definizione del procedimento penale, senza alcuna espressa previsione circa l’estensione della sospensione anche ai capi di imputazione del procedimento penale n. 83/95.
Pertanto, ad avviso dei giudici d’appello , il COGNOME rimase sospeso dal servizio per fatti diversi da quelli per i quali è stato licenziato non solo fino al 1997, come ritenuto dal giudice di prima istanza, bensì anche fino al 20 settembre 1999, allorché intervenne il decreto del direttore generale, con il quale, con contenuto innovativo rispetto ai provvedimenti cautelari sino a quel momento adottati, era stata espressa univocamente la volontà dell’amministrazione di non riammettere in servizio il COGNOME Di qui, il riconoscimento dell’illegittimità della sospensione adottata anche nell’ulteriore periodo dal 1997 al 1999 , con conseguente rigetto della domanda per il periodo successivo.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando due motivi, mentre il Ministero della giustizia è rimasto intimato.
E’ stata avanzata proposta di definizione anticipata, notificata alla parte ricorrente in data 17 giugno 2024, ex art. 380bis cod. proc. civ., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022, nella quale si prospetta l’inammissibilità di entrambi i motivi di ricorso.
Parte ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso formulando apposita istanza depositata in data 23 luglio 2024 con nuova procura speciale rilasciata al difensore.
E’ stata depositata memoria nell’interesse del ricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 26 , comma 7, del c.c.n.l. 19941997 in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., con riferimento alla domanda di condanna del Ministero al pagamento delle somme non percepite per il periodo di illegittima sospensione sino al 2004, censurando la sentenza impugnata per aver fondato il proprio convincimento sulla nota ministeriale del 20 settembre 2009, che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, non avrebbe alcun contenuto innovativo, limitandosi a prolungare i pregressi provvedimenti cautelari.
1.1. La censura, nei termini formulati, è inammissibile, in quanto, dietro lo schema della violazione di legge, in realtà mira a censurare l’interpretazione resa dalla Corte territoriale al decreto ministeriale del 20 settembre 1999, prospettando una lettura alternativa del documento. In proposito, come già annotato nella proposta di definizione anticipata, è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui l’esegesi del contratto, dell’atto unilaterale ed anche del provvedimento amministrativo è riservata all’esclusiva competenza del giudice del merito perché la ricerca della volontà delle parti o del dichiarante si sostanzia in un accertamento di fatto, sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale; ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse
contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (fra molte, oltre i precedenti già citati nella proposta di definizione anticipata, Cass. Sez. 1, 15 novembre 2017, n. 27136; Cass. Sez. 5, 16 gennaio 2019, n. 873).
1.2. Nella specie, nella censura in esame non si indicano neppure le disposizioni codicistiche violate dal giudice del merito, limitandosi inammissibilmente a proporre un’interpretazione alternativa, a sé più favorevole, della nota ministeriale (in tal senso, fra molte, Cass. Sez. L, 3 luglio 2024, n. 18214).
2 . Con il secondo motivo si deduce l’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., con riferimento alla domanda di condanna del Ministero anche delle ulteriori somme e indennità oltre lo stipendio non percepite nel periodo di sospensione.
2.1. Anche tale mezzo, nei termini formulati, non si sottrae al giudizio di inammissibilità, considerato che, come puntualmente osservato nella proposta di definizione anticipata, il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis , è ravvisabile solo qualora il giudice, nel pronunciare sulla domanda o sull’eccezione, ometta di esaminare un fatto storico decisivo ai fini di causa, perché il suo apprezzamento avrebbe comportato una diversa soluzione della cont roversia, sicché non è ravvisabile qualora l’attività omessa si riferisca non al fatto, ma alla domanda o all’eccezione.
2.2. Nel caso di specie, il ricorrente, contrariamente a quanto dedotto anche nella memoria, non ha denunciato l’omesso esame della richiamata disposizione del c.c.n.l., bensì l’omessa pronuncia rispetto alla domanda di condanna dell’amministrazione al pagamento delle ulteriori poste rivendicate.
In tal caso si ravvisa un caso di omessa pronuncia che, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica
di una delle ipotesi di cui all’art. 360 cod. proc. civ. in tal senso non essendo necessario che il motivo richiami il vizio di cui al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. -richiede come requisito imprescindibile di ammissibilità che il ricorrente faccia univoco riferimento alla nullità della sentenza impugnata, derivata dalla violazione del principio della necessaria corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato (così Cass. Sez. U., 24/07/2013, n. 17931).
Pertanto, poiché il motivo non denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. né eccepisce la nullità della sentenza, va dichiarato inammissibile in applicazione del principio espresso dalle Sezioni Unite nella pronuncia citata.
In definitiva il ricorso va dichiarato inammissibile, in conformità alla proposta di decisione anticipata.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso esonera la Corte dal disporre la rinnovazione della notificazione dello stesso in quanto nulla, poiché effettuata presso l’Avvocatura distrettuale anziché presso l’Avvocatura generale dello Stato, in applicazione del principio della ragionevole durata del processo che impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 cos. Proc. civ., di evitare e impedire i comportamenti che ostacolino una sollecita definizione del giudizio, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuale e in formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo (Cass. Sez. 1, 11/03/2020, n. 6924).
La definizione del giudizio in conformità alla proposta ex art. 380bis cod. proc. civ., comporta l’applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., come testualmente previsto dal citato art. 380bis ultimo comma cod. proc. civ.
L’art. 380 -bis cod. proc. civ. mira a configurare uno strumento di agevolazione della definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi ex post prive di giustificazione, e quindi idonee a concretare, secondo una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato (d.lgs. n. 149 del 2022), un’ipotesi di abuso del diritto di difesa. Richiamando, per i casi di
conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., l’art. 380 -bis cod. proc. civ. codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato, una ipotesi di abuso del processo, già immanente nel sistema processuale, giacché non attenersi alla delibazione del Presidente (o del consigliere delegato) che trovi poi conferma nella decisione finale, lascia presumere una responsabilità aggravata sanzionabile con la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma, ove, appunto il legislatore usa la locuzione ‘altresì’) (v. Cass., Sez. U, 22/09/2023, n. 27195, anche per quanto riguarda la disciplina intertemporale).
Va, comunque, esclusa una interpretazione della norma che conduca ad automatismi non in linea con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, dovendo l’applicazione in concreto delle predette sanzioni rimanere affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso di specie (Cass. Sez. U, 27/12/2023, n. 36069). Nell’ipotesi in esame non si rinvengono ragioni -stante la perfetta aderenza della proposta di definizione anticipata alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilit à del ricorso -per discostarsi dalla suddetta previsione legale.
Pertanto, non vi è luogo a provvedere per le spese del Ministero, che non ha svolto attività difensiva intimato, mentre il ricorrente soccombente va condannato al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di euro 1.500,00.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U, 20 febbraio 2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di euro 1.500,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 6 novembre 2024