Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10718 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10718 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 6930-2022 r.g. proposto da: RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME PEC:
COGNOME (CODICE_FISCALE) unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), indirizzo EMAIL
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE , che la rappresenta e difende per procura in atti
-controricorrente –
contro
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE
–
intimato –
avverso la sentenza n. 237/2022, resa dalla Corte d’Appello di Bari – Sezione Prima Civile in data 08.02.2022, depositata il 10.02.2022 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/3/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso depositato in data 17.11.2020, la RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE instava per il fallimento della RAGIONE_SOCIALE dichiarandosi creditrice per la complessiva somma di € 111.847,32 e opponendo quale titolo esecutivo la sentenza n. 1282/2020 resa il 21.01.2020 nel procedimento civile rubricato al n. 23083/2014 dinanzi il Tribunale di Roma.
Con sentenza n. 47/2021, depositata il 24.03.2021, il Tribunale di Bari dichiarava il fallimento della società RAGIONE_SOCIALE
La RAGIONE_SOCIALE reclamava dunque la predetta sentenza e la Corte di appello di Bari, con la sentenza qui ricorsa per cassazione e nella resistenza del Fallimento e della Microgame s.p.a., rigettava la proposta impugnazione. La Corte territoriale ha rilevato, per quanto qui ancora di interesse, che: (i) sussistevano i requisiti soggettivi di fallibilità di cui agli artt. 1 e 15, u.c., l. fall., non avendo la società debitrice provato, neanche nella fase di reclamo, il mancato superamento delle soglie di fallibilità ed avendo prodotto in giudizio a tal fine bilanci non depositati presso il registro delle imprese e dunque intrinsecamente inattendibili, in quanto in tal caso spettava al debitore dimostrare anche con altri mezzi istruttori i presupposti soggettivi di non fallibilità dell’impresa; (ii) dalla s tessa documentazione versata in atti dalla reclamante emergeva comunque il superamento della soglia di indebitamento complessivo, soglia per la quale non era neanche necessario che i crediti fossero esigibili; (iii) anche per la condizione di procedibilità della domanda di cui all’art. 15, u.c., l. fall., emerge va il superamento di tale soglia dalle risultanze dell’ultimo bilancio; (iv) sussisteva inoltre lo stato di insolvenza dell ‘ impresa debitrice.
La sentenza, pubblicata il 10.02.2022, è stata impugnata da Itaproinvest s.r.l. con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di ricorso, cui la Microgame s.p.a. si è opposto con controricorso.
Il Fallimento di RAGIONE_SOCIALE, intimati, non hanno svolto difese.
È stata formulata proposta di definizione accelerata del ricorso, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., essendo stati ravvisati profili di inammissibilità.
La ricorrente ha proposto istanza di decisione, con memoria depositata ai sensi del medesimo art. 380-bis c.p.c.
È stata, quindi, disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380-bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Prima di esaminare i motivi di ricorso, occorre prendere atto che, con nota del 10.6.2024, il difensore della società ricorrente ha rinunciato al mandato. Sul punto giova ricordare che costituisce affermazione consolidata nella giurisprudenza di questa Corte quella secondo cui, per effetto del principio della cd. “perpetuatio” dell’ufficio di difensore (di cui è espressione l’art. 85 c.p.c.), nessuna efficacia può dispiegare, nell’ambito del giudizio di cassazione (oltretutto caratterizzato da uno svolgimento per impulso d’ufficio), la sopravvenuta rinuncia che il difensore del ricorrente abbia comunicato alla Corte prima dell’udienza di discussione già fissata (Cass. Sez. L., 29/09/2022, n. 28365, Cass. Sez. 6, 08/11/2017, n. 26429; Cass. Sez. 3, 04/08/2005, n. 16336).
Si possono pertanto illustrare i motivi di ricorso.
Con il primo ed unico motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché dell’ art. 1, comma 1, L.F., con riferimento all’art 360 n. 3-5 c.p.c.
2.1 Ritiene la ricorrente che la Corte di appello abbia ‘ licenzia to’ apoditticamente e con motivazione pressoché inesistente ogni scrutinio sul credito posto a fondamento dell’istanza dichiarativa di fallimento per poi operare una valutazione sullo stato di insolvenza ex post e non ex ante . La Corte territoriale, pur richiamando opportunamente i principi di diritto e l’orientamento giurisprudenziale applicabile alla fattispecie ‘de qua’, ne avrebbe operato un ‘ errata applicazione nella parte in cui ha sostenuto che ‘ non sarà superfluo rammentare in diritto che l’art 5 della Legge Fallimentare
(R.D. 16/03/1942 n. 267) ‘ prevede che ‘ l’imprenditore che si trova in stato di insolvenza è dichiarato fallito. Lo stato di insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni ‘ (v. pag. 7 dell ‘ impugnata sentenza).
2.2 L’errore nel quale sarebbe incorsa la Corte di merito è stato -in tesi quello di valorizzare elementi marginali, quali il mancato deposito dei bilanci (comunque regolarmente redatti negli ultimi anni), pur nella consapevolezza (peraltro dichiarata) che, se anche fossero stati depositati, non avrebbero assunto valore di prova legale. Per converso, invece, la Corte avrebbe valorizzato, in modo del tutto ingiustificato, il credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE s.p.a., che pure rinveniva da una sentenza ancora sub judice perché pendente procedimento di appello avverso tale pronunzia, con la conseguenza che il credito era giudizialmente contestato e certamente non definitivo perché proveniente da una sentenza che, ancorché provvisoriamente esecutiva, non era ancora passata in giudicato. Sempre secondo la ricorrente, venuta meno la titolarità del preteso rapporto giuridico alla RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata ‘ illegittima, nulla, inefficace e priva di effetti giuridici ‘ la titolarità del ridetto credito da parte della RAGIONE_SOCIALE incorporante per fusione la società estinta.
2.3 Ricorda, inoltre, la ricorrente che la Corte territoriale ha affermato che, in mancanza di scritture contabili che confermassero i valori esposti nella relazione economico-patrimoniale al 31.12.2020 (all’evidenza ingiustamente valorizzata quanto all’entità dei debiti), l’unico documento costituente uno strumento di prova privilegiato sarebbe stato l’ultimo bilancio al 31.12.2015 , depositato nel Registro delle imprese della C.C.I.A.A. di Bari, nel quale erano stati esposti i debiti, esigibili entro l’esercizio successivo (2016) e dunque certamente ‘ scaduti ‘ alla data di declaratoria di fallimento per euro 542.233,00. In definitiva l ‘ RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata dichiarata fallita per i debiti riportati nel bilancio di sei anni antecedenti al deposito dell’istanza di fallimento, avendo affermato la Corte territoriale che detti debiti dovevano essere certamente scaduti alla data di declaratoria di fallimento, senza prendere neanche lontanamente in considerazione la possibilità che i debiti
fossero stati estinti, tutti o in parte, perché più che dimezzati nell’ultimo bilancio al 31.12.2020.
2.4 Infine, non sarebbe stato valorizzato l’esito negativo dell’azione esecutiva immobiliare posta in essere strumentalmente dalla RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE nella consapevolezza che giammai avrebbero potuto recuperare con detta procedura i ridetti crediti, peraltro intrapresa presso il domicilio della società dove vi erano solo le scritture contabili.
2 .5 L’unico motivo prospettato dalla ricorrente è inammissibile, esattamente per le ragioni già evidenziate nella proposta di decisione accelerata di cui all’art. 380 bis c.p.c., che la Corte ritiene del tutto condivisibili e fa proprie.
L’unico motivo proposto (‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché art. 1 comma 1 l.f., con riferimento all’art. 360 n. 3 -5 c.p.c.’) censura , infatti, la ‘motivazione palesemente controvertibile’ con cui la corte d’appello ha rigettato il reclamo ex art. 18 l.fall., ‘commettendo una serie di gravi errori in fatto e in diritto; primo tra tutti quello di licenziare apoditticamente e con motivazione pressoché inesistente ogni scrutinio sul credito posto a fondamento dell’istanza di chiarativa di fallimento per poi operare una valutazione sullo stato di insolvenza ex post e non ex ante’.
La ricorrente si limita sostanzialmente a riproporre in questa sede le contestazioni già svolte dinanzi alla corte d’appello (v. pag. 6 -13), quasi che il giudizio di legittimità fosse un ulteriore grado di merito, quale certamente non è (Cass. Sez. U, 34476/2019), essendo la Corte di cassazione chiamata ad esercitare solo un controllo su legalità e logicità della decisione, senza poter riesaminare autonomamente il materiale probatorio, la cui valutazione è attività riservata in via esclusiva al giudice di merito, che la esercita secondo il suo prudente apprezzamento (art. 116 c.p.c.), anche selezionando, tra tutte le risultanze istruttorie, quelle ritenute più attendibili e idonee a sorreggere la motivazione, senza doversi esprimere analiticamente su ciascuna di esse, né confutare singolarmente le diverse argomentazioni prospettate dalle parti ( ex plurimis , Cass. 42/2009, 11511/2014, 16467/2017).
Del resto, ove si ammettesse un sindacato sulle quaestiones facti , si consentirebbe un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nel provvedimento impugnato e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice di merito (Cass. Sez. U, 28220/2018; Cass. 2001/2023,
28643/2020, 33858/2019, 32064/2018, 8758/2017); il ricorrente per cassazione non può quindi pretendere di contrapporre le proprie valutazioni (quand’anche apparissero più appaganti, sotto il profilo del coordinamento delle acquisizioni istruttorie) a quelle svolte dal giudice di merito, per ottenere la revisione degli accertamenti di fatto da questi compiuti, o una diversa lettura delle risultanze processuali ( ex plurimis , Cass. 3630/2017, 9097/2017, 30516/2018, 205/2022), poiché non è compito di questa Corte condividere o meno la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove contenute nella decisione impugnata (Cass. 12052/2007, 3267/2008).
Anche nello specifico campo fallimentare risponde a consolidato insegnamento di legittimità che, fermo restando l’onere del debitore di fornire la prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità ex art. 1, comma 2, l.fall. (Cass. 29809/2023, 35381/2022, 21188/2021, 6991/2019, 33091/2018), compete ai giudici di merito valutare l’attendibilità dei bilanci, delle scritture contabili e di ogni altro documento a tal fine prodotto dal debitore (Cass. 19351/2023, 10220/2022, 21188/2021, 30541/2018, 25870/2011), essendo la valutazione del materiale probatorio attività riservata in via esclusiva al giudice di merito, il quale non è d’altronde tenuto ad esprimersi analiticamente su ciascun elemento né a confutare ogni singola deduzione delle parti (Cass. 42/2009, 11511/2014, 16467/2017).
Quanto al vizio di violazione dell’art. 115 c.p.c., esso ricorre solo qualora il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (fermi il principio di non contestazione e il notorio), mentre non è ammesso dolersi come nella specie -del fatto che il giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, trattandosi di attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U, 16303/2018, 20867/2020, 23650/2022; Cass. 2001/2023, 4599/2023, 9351/2022, 20553/2021, 22397/2019, 21098/2016, 27197/2011).
A sua volta, la violazione dell’art. 116 c.p.c. ricorre solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso
valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria, oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento; quando invece si deduca, come nel caso di specie, che il giudice ha male esercitato il prudente apprezzamento della prova, la censura, un tempo ammissibile ai sensi dell’art. 360, n. 5), c.p.c., lo è ora solo in presenza dei gravissimi vizi di motivazione (mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, motivazione apparente, contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile) che rendono radicalmente nulla la decisione (Cass. Sez. U, 8053/2014, 20867/2020, 34474/2019; Cass. 2001/2023).
Vizi, questi ultimi, che sicuramente non ricorrono nel caso in esame, avendo la corte d’appello motivato in modo riconoscibilmente ampio e chiaro circa il difetto di prova del mancato superamento dei limiti dimensionali ex art. 1, comma 2, l.fall. (pag. 3-6), la legittimazione del creditore istante, il superamento della soglia debitoria ex art. 15, ult.co., l.fall. (pag. 6-7) e la sussistenza dello stato di insolvenza (pag. 7-8).
Infine, il ricorrente non ha nemmeno indicato, nel rispetto dei canoni del novellato art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., i fatti decisivi di cui sarebbe stato omesso l’esame, limitandosi – come detto – a sottoporre nuovamente a questa Corte le argomentazioni già vagliate dai giudici di merito per ottenerne una diversa valutazione.
In conclusione, in forza delle ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Sussistono, inoltre, i presupposti per la condanna della ricorrente, nella presente sede, sia ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., che ai sensi del successivo comma 4, come espressamente previsto dall’art. 380 -bis, ultimo comma, c.p.c. (disposizione immediatamente applicabile anche ai giudizi in corso alla data del 1° gennaio 2023 per i qua li all’epoca non era stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio, come nella specie; cfr. Cass., Sez. U., 27195 del 22/9/2023, Cass., Sez. U., 27433 del 27/9/2023).
La Corte stima equo fissare in € 10.000 la sanzione ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., e in € 2.500 quella ai sensi del comma 4 della medesima disposizione, tenuto conto, in particolare, del carattere consolidato dei principi giurisprudenziali applicati e della manifesta inammissibilità del ricorso, per i motivi appena esposti.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 -quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi € 10.000, oltre € 200 per esborsi, spese generali ed accessori di legge; condanna il ricorrente a pagare l’importo di € 10.000 in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.; condanna il ricorrente a pagare l’importo di € 2.500 in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c. .
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile della Corte di