Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2004 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2004 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3441/2023 R.G., proposto da
COMUNE DI IMPERIA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso,
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata come indirizzo per indicato, per procura su foglio separato allegato al controricorso,
-controricorrente -ricorrente incidentale – per la cassazione della sentenza n. 1262/2022 della CORTE d’APPELLO di Genova pubblicata il 1°.12.2022 ;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19.11.2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
RAGIONE_SOCIALE agì davanti al Tribunale di Roma contro il Comune di Imperia per far accertare come non dovuto il pagamento di euro
Polizza fideiussoria
19.11.2024
432.830,17. Dedusse di aver rilasciato il 29.12.2005 la polizza fideiussoria UR 0600976 nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE ed in favore dell’amministrazione convenuta a garanzia delle opere da realizzare a scomputo oneri per euro 1.232.380,63 e delle aree da cedere per euro 97.760,00 in forza di convenzione tecnico-urbanistica (ex art. 4 della NTA allegata al PRG).
In seguito, poiché parte delle opere di urbanizzazione ricadeva in proprietà di terzi ed il Comune non ne aveva conseguito la disponibilità, una quota degli oneri concessori (per euro 511.880,68), sarebbe stata versata dalla RAGIONE_SOCIALE con pagamento diretto. A richiesta della società costruttrice, il Comune aveva autorizzato il pagamento mediante quattro rate comprensive di interessi. Intervenuto l’accordo per la rateizzazione della somma ed avvenuto il pagamento della prima rata, il Comune aveva concesso lo svincolo della precedente polizza fideiussoria e richiesta la presentazione di altre due polizze, una per euro 818.259,95, a garanzia dell’importo delle residue opere ancora da collaudare, e l’altra per euro 432.830,17, a garanzia delle somme ancora da versare corrispondenti alle ulteriori tre rate scadenti il 12.3.2013 (euro 129.556,65), il 12.9.2013 (euro 131.169,42) e il 12.3.2014 (euro 132.775,90).
Il primo importo, quindi, sarebbe stato ancora garantito dall’attrice con la polizza UR 0600976, espressamente limitata con l’appendice del 7.11.2012, mentre il secondo sarebbe stato garantito da Commercial Fidi con fideiussione del 6.9.2012. Mentre le opere di urbanizzazione erano state regolarmente eseguite da RAGIONE_SOCIALE, tanto che in data 4.3.2013 era stato rilasciato il collaudo, detta società non aveva provveduto a pagare le rate concordate ed il Comune aveva preteso di escutere la polizza UR 0600976 non più in vigore.
Il Comune di Imperia, eccepita l’incompetenza per territorio del Tribunale di Roma, rilevò che nella convenzione intervenuta con RAGIONE_SOCIALE era stato previsto che, qualora le opere da realizzarsi su terreno di proprietà di terzi non fosse stato possibile eseguirle per non aver ottenuto l’ente, entro un anno dalla stipula dell’accordo, la proprietà delle medesime, su indicazione e/o scelta dell’amministrazione, la società costruttrice avrebbe dovuto realizzare altre opere o pagare l’importo di euro 511.880,68. Verificatasi tale ultima evenienza, il Comune in data 2.4.2012 aveva chiesto a RAGIONE_SOCIALE il pagamento di
quanto già previsto convenzionalmente entro il termine di 30 gg., mentre la debitrice aveva chiesto una rateizzazione della somma, concessa il 10.8.2012, con richiesta di contestuale polizza fideiussoria scadente dopo 90 giorni il pagamento dell’ultima rata e del versamento della prima rata.
Il Comune di Imperia dedusse che le polizze, da ripartirsi nei due importi, avrebbero dovuto far capo all’attrice come previsto all’art. 12 della convenzione, tant’è che non ‘avrebbe’ mai accettato le due polizze sostitutive presentate dalla debitrice per non averle sottoscritte. Il Comune chiese il pagamento di euro 432.830,17 corrispondenti a quanto ancora dovuto da RAGIONE_SOCIALE, nel frattempo fallita.
Riassunta la causa dinanzi al Tribunale di Imperia l’attrice eccepì l’estinzione della polizza ai sensi dell’art. 1955 cod. civ. per non essersi il Comune insinuatosi al passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE dichiarato il 10.3.2014 ed in compensazione l’importo di euro 283.376,61 quali maggiori oneri sostenuti dalla società costruttrice per le opere di urbanizzazione.
Il Tribunale di Imperia con sentenza n. 9/2020, pubblicata il 9.1.2020 accolse la domanda attorea e respinse la riconvenzionale sul rilievo che la convenzione tra il Comune e RAGIONE_SOCIALE nulla prevedeva in merito alla copertura assicurativa per l’ipotesi poi concretizzatasi e che il teste escusso aveva confermato, oltre che con la comunicazione del 1°.10.2012, che la polizza iniziale sarebbe stata svincolata previa stipula di due nuove. Nella convenzione, inoltre, non era indicato il soggetto che avrebbe dovuto prestare la fideiussione in caso di monetizzazione degli oneri e, comunque, essa non presupponeva l’accettazione espressa del garantito, il quale non l’aveva neppure rifiutata.
La Corte d’Appello di Genova, dinanzi alla quale si costituì RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti indicata come RAGIONE_SOCIALE, quale incorporante dell’attrice, con sentenza pubblicata il 1°.12.2022 rigettò l’appello proposto dal Comune di Imperia.
Osservò la Corte d’appello che, diversamente da quanto sostenuto in primo grado, la fideiussione rilasciata si sarebbe dovuta intendere come prestata a garanzia tanto delle opere da realizzare a scomputo oneri, quanto degli oneri di urbanizzazione, posto che nella convenzione con la società costruttrice era già
stato predeterminato il valore dei terreni e delle opere da effettuarsi in proprietà di terzi, sì che l’accordo avente ad oggetto il pagamento di euro 511.880,68 non aveva carattere novativo, ma solo di mera rateizzazione del pagamento. Per contro, la Cort e d’appello confermò la sentenza impugnata, là dove era stato ritenuto essere intervenuto lo svincolo (‘o forse meglio, la riduzione’) della polizza con conseguente impossibilità di escussione.
La corte, dopo aver illustrato lo sviluppo delle comunicazioni intercorse tra RAGIONE_SOCIALE ed il Comune, ed evidenziato che in data 7.11.2012 quest’ultimo aveva ricevuto ‘l’Appendice Modifica Capitale della Polizza Fideiussoria UR 0600975’ emessa da RAGIONE_SOCIALE per euro 818.259,95 valida per tre mesi, nonché l’atto di fideiussione n. 1642 emesso il 6.9.2012 da RAGIONE_SOCIALE, valido sino al 12.6.2014, ritenne che si fossero verificate le condizioni a cui era stato subordinato lo svin colo per aver ricevuto l’appellante, e non rifiutate, le due polizze richieste.
La corte evidenziò ancora:
-in base all’art. 4 delle condizioni generali la polizza aveva efficacia fino alla liberazione del contraente che poteva avvenire mediante la restituzione dell’originale o con dichiarazione rilasciata dal beneficiario ‘che liberi la società da ogni responsa bilità in ordine alla garanzia prestata’;
-la comunicazione del 10.10.2012 anche se diretta al solo debitore principale aveva valore di svincolo nei limiti della sua portata (riduzione della somma garantita e rilascio di due polizze, che dovevano essere prestate da due soggetti, diversamente sarebbe stato previsto il solo decomputo di euro 127.970,17);
-lo svincolo era stato rilasciato da un soggetto autorizzato (geom. COGNOME in quanto responsabile del procedimento e dirigente del settore VI-Urbanistica Edilizia Privata;
-l’appellante nel corso del giudizio di primo grado aveva definito le comunicazioni inviate dal geom. COGNOME come provenienti dal Comune, avendo peraltro chiesto di provare il suo ruolo di ‘gestore’ del rapporto, sì che l’attività era stata ratificata e l’ecc ezione diretta a negarne la legittimazione era tardiva;
-la polizza emessa da RAGIONE_SOCIALE era conforme alle prescrizioni richieste in quanto con scadenza al 12.6.2014, quindi, oltre il 90° giorno dalla scadenza della prima rata;
-era irrilevante la mancata sottoscrizione delle polizze, le quali non erano state rifiutate ed espressamente ‘acconsentite’;
-la convenzione non imponeva che la garanzia fosse prestata tramite la RAGIONE_SOCIALE, ma indicava soltanto che la polizza rilasciata all’epoca da RAGIONE_SOCIALE era stata ottenuta tramite il suo agente.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre il Comune di Imperia, sulla base di quattro motivi. Risponde con controricorso RAGIONE_SOCIALE che, a sua volta, ha svolto ricorso incidentale condizionato, sulla base di un motivo.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata ‘Violazione e falsa applicazione degli art. 167 e 345 c.p.c. Violazione e falsa applicazione degli art. 101, 112, 115 c.p.c. e art. 2697 c.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del D.lgs. 165/2001 -così come modi ficato dall’art. 40 comma 1 del D.lgs. 150/09, in relazione all’art. 360 comma 1° n. 3 c.p.c.’.
Il ricorrente lamenta che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto inammissibile l’eccezione di carenza dei poteri di rappresentanza del geom. COGNOME pur trattandosi di una mera difesa e non di eccezione in senso stretto. Il ricorrente rileva, altresì, che la sentenza (pagina 8, lett c) è illogica posto che le deleghe rilasciate al dirigente titolare ed al facente funzioni ‘possono essere state diverse nel loro contenuto’. Il geom. COGNOME mai aveva avuto un potere di rappresentanza del Comune, a tanto non bastando per analogia che esso spettasse al dirigente, che sottoscrisse la convenzione previa delibera della Giunta comunale. La sentenza viola : l’art. 101 cod. proc. civ. per aver deciso su una questione rilevata d’ufficio; l’art. 112 cod. proc. civ. in quanto l’attrice non l’aveva fatta oggetto della domanda; l’art. 2697 cod. civ. per aver ‘ritenuto
provato il potere di rappresentanza del geom. COGNOME senza che fosse supportato da alcun elemento di prova’.
Con il secondo motivo è denunciata ‘Violazione di legge e falsa applicazione della legge 241/90, nella parte in cui disciplina il «responsabile del procedimento». Violazione e falsa applicazione dell’art. 101 e 112 c.p.c. dell’art. 1399 c.c.’.
Il ricorrente con riferimento a quanto si legge a pagina 9, lett. d) della sentenza lamenta che la Corte d’appello ha violato le ‘norme che regolano «il responsabile del procedimento», il quale in difetto di specifica delega da parte del Sindaco o della Giunta non ha il potere di stipulare negozi o accordi con i terzi’. La decisione, inoltre, nella parte in cui ha rilevato d’ufficio la questione della ratifica, oltre che in violazione degli artt. 101 e 112 cod. proc. civ., è contraria all’art. 1939 cod. c iv., il quale prevede che la ratifica da parte dell’interessato debba avvenire nella stessa forma prevista per l’atto, ma l’amministrazione comunale non l’aveva mai formalizzata e la stessa attrice l’aveva mai sostenuta.
I due motivi, in quanto strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente e sono inammissibili.
3.1. Il primo motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.
Pur dovendo rilevare come l’esposizione del fatto riportata nel ricorso, rilevante ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., sia priva della indicazione delle deduzioni svolte a sostegno della domanda riconvenzionale, dei p resupposti di fatto e delle ragioni di diritto che l’hanno giustificata, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di parte oggi ricorrente in relazione alla posizione avversaria (v. Cass., sez. III, 12 gennaio 2024, n. 1352) tanto in primo quanto in secondo grado, il motivo non espone una critica adeguata tale da aggredire compiutamente la decisione impugnata.
Il ricorrente non enuncia una censura chiara ed univoca rispetto alla sentenza di secondo grado con relativa indicazione della norma violata. L’esposizione del motivo non contiene l’illustrazione del modo in cui il giudice di merito avrebbe violato o falsamente applicato le numerose norme di legge
indicate nell’intestazione, in parte neppure evocate direttamente od indirettamente in modo percepibile.
Infatti, il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; tale nullità si risolve in un “non motivo” del ricorso per cassazione ed è conseguentemente sanzionata con l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c. (principio costante: si veda Cass. 11 novembre 2005, n. 359; ed in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, Cass., sez. un., 20 marzo 2017, n. 7074; nonché Cass., sez. un., 24 luglio 2013, n. 17931 riguardo alla prevalenza della sostanza rispetto alla formale enunciazione del motivo; più di recente Cass. 24 settembre 2018, n. 22478; 12 gennaio 2024, n. 1341).
Il motivo non investe compiutamente la parte della motivazione indicata a pagina 9, lett. d), della sentenza, dove si legge: ‘l’Ente appellante, durante tutto il giudizio di primo grado, ha definito tutte le comunicazioni inviate dal geom. COGNOME come prove nienti dal ‘Comune’, tanto da aver espressamente chiesto di provare il suo ruolo di ‘gestore” del rapporto per cui è causa (c.f.r. capitolo n.2 della seconda memoria ex art.183, 6 comma c.p.c.), per cui si rileva non solo che, se ce ne fosse bisogno, l’attività del geom. COGNOME sarebbe stata ratificata dall’Ente, ma anche che la censura, volta a contraddire la sua legittimazione, sarebbe inammissibile in quanto tardiva’, ma solo la parte finale di essa, rispetto alla quale il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 345 cod. p roc. civ.
3.2. La notazione appena effettuata, inoltre, si salda con il rilievo formulato in apertura, dando corpo ad un diverso profilo di inammissibilità dell’art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ.
Al fine del rispetto del principio di specificità, è necessario che il ricorso contenga l’indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda il motivo e l’illustrazione del contenuto rilevante, provvedendo alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al
fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16 marzo 2012, n. 4220). Sono infatti inammissibili le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito, qualora il ricorrente, pur avendo riprodotti nel ricorso tali atti e documenti, non abbia fornito puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34469).
Infatti, sulla parte ricorrente grava l’obbligo di precisazione anche dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti anche in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 4 marzo 2021, n. 5999; sez. un., 23 settembre 2019, nn. 23552 e 23553; Cass., 18 giugno 2020, n. 11892; 6 novembre 2012, n. 19157; 23 marzo 2010, n. 6937; 12 giugno 2008, n. 15808; 25 maggio 2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., sez. un., 34469/2019 cit.; 19 aprile 2016, n. 7701), poiché il compito dei giudici della corte è quello di procedere a una ‘verifica degli atti stessi, non già alla loro ricerca’ (v. Cass. 20 luglio 2021, n. 20753; 24 giugno 2020, n. 12498; 20 marzo 2017, n. 7048).
Il ricorrente ha omesso del tutto di precisare nell’ambito del motivo, come del resto già evidenziato con riferimento alla parte relativa all’esposizione del fatto, quali siano state le proprie deduzioni in primo ed in secondo grado, omettendo di riportare il contenuto dei motivi di appello, così da precludere, nell’ambito delle numerose e non tutte esplicate censure, l’esame della pretesa violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., tanto più che quale asserito creditore dell’importo di euro 432.830,17 esso e ra tenuto ad allegare e provare sin dal primo grado il titolo costitutivo della pretesa.
Ancora, nel riferirsi alla motivazione riportata a pagina 8, lett. c), il ricorrente ha notato che ‘ le deleghe rilasciate al dirigente titolare ed al facente funzioni possono essere state diverse nel loro contenuto’, ma ha omesso di precisare, come pur sarebbe stato doveroso, considerato che il Comune
reclamava in via riconvenzionale un credito di fonte contrattuale, se ed in quale modo tale deduzione fosse stata fatta nel corso del giudizio di merito e tenuta ferma in sede di appello.
3.3. Del pari del tutto irritualmente è stata dedotta la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.
Per poter dedurre la violazione di tale norma è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma (v. Cass., sez. un., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto; Cass., VI-3, 23 ottobre 2018, n. 26769; sez. lav., 19 agosto 2020, n. 17313). Ciò significa che per realizzare la violazione deve aver giudicato, o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 cod. proc. civ.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’articolo 116 cod. proc. civ., rubricato per l’appunto “valutazione delle prove” (v. Cass. 10 giugno 2016, n. 11892).
3.4. Il secondo motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.
Con esso il ricorrente impugna la parte della sentenza riportata a pagina 9, lett. d), ma non spiega in alcun modo la critica alla decisione, non indicando neppure quale disposizione della legge 241/1990 sarebbe stata violata.
Del tutto impropriamente il ricorrente deduce la violazione dell’art. 101 cod. proc. civ. in ordine alla ritenuta ‘ratifica’ dell’operato del geom. COGNOME che però deve leggersi unitamente alla restante parte della motivazione, dove si spiega che ‘ l’Ente appellante, durante tutto il giudizio di primo grado, ha definito tutte le comunicazioni inviate dal geom. COGNOME come provenienti dal ‘Comune’,
tanto da aver espressamente chiesto di provare il suo ruolo di ‘gestore” del rapporto per cui è causa (c.f.r. capitolo n.2 della seconda memoria ex art.183, 6 comma c.p.c.)’. In altri termini, la ‘ratifica’ cui si riferisce la Corte d’appello non è quella prevista dall’art. 1939 cod. civ., ma si collega alla posizione difensiva del Comune per come emerge dalla sentenza.
Ad ogni modo, il principio della «terza via» non si applica in caso di questione di puro diritto rilevata di ufficio senza procedere alla sua previa segnalazione alle parti onde consentire loro di aprire la discussione su di essa: in primo luogo, perché in tali circostanze, da tali omissioni può derivare un vizio di error in iudicando , ovvero di error in iudicando de iure procedendi , la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato (v. Cass. 16 febbraio 2016, n. 2984; 12 aprile 2013, n. 8936); in secondo luogo, neppure in astratto si configura la violazione dell’articolo 101 cod. proc. civ., se la prospettazione preventiva alle parti non avrebbe potuto involgere profili difensivi non trattati (Cass. 26 maggio 2016, n. 10895; Cass. Sez. Un., 15 dicembre 2015, n. 25208; Cass., ord. 5 marzo 2014, n. 5226; Cass. 7 novembre 2013, n. 25054; Cass., ord. 30 aprile 2011, n. 9591; Cass. Sez. Un., 30 settembre 2009, n. 20935).
L’obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio, rafforzato dall’aggiunta del secondo comma all’art. 101 cod. proc. civ. ad opera della l. n. 69 del 2009, si estende solo alle questioni di fatto, che richiedono prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti, o alle eccezioni rilevabili d’ufficio, e non anche ad una diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito’ (v. Cass. , sez. lav., 19 maggio 2016, n. 10353; sez. III, 21 luglio 2016, n. 15079), ovvero alle questioni di puro diritto rilevate d’ufficio, mentre solo con riferimento alle questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, la parte soccombente può dolersi della decisione sostenendo che la violazione del dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini (v. Cass., sez. un., 30 settembre 2009, n. 20935; sez. I, 16 febbraio 2016, n. 2984). Ipotesi non ricorrenti nel caso di specie, non avendo il ricorrente prospettato quali prove avrebbe potuto chiedere.
3.5. La denuncia della violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. è stata svolta in modo totalmente distonico rispetto al paradigma di legge.
Infatti, quanto alla prima norma, asseritamente violata dalla Corte d’appello per aver pronunciato su una questione non rientrante nella domanda svolta dall’attrice, la censura non considera che la garante ha agito per l’accertamento negativo del credito preteso dal Comune sul rilievo dell’avvenuto svincolo della polizza da parte del beneficiario.
In ordine alla prospettata violazione della seconda norma mette conto richiamare il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte, ai sensi del quale la violazione dell’articolo 2697 cod. civ. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni. Ipotesi che non ricorre nel caso di specie, poiché il ricorrente quale asserito creditore dell’importo di euro 432.830,17 era tenuto ad allegare e provare sin dal primo grado il titolo costitutivo della pretesa.
Con il terzo motivo è d enunciata ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e 1326 c.c. Violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e 1366 c.c. e ss., (ex art. 360, 1° co. , n. 3, 4 e 5 c.p.c.). Vizio di motivazione sulla loro applicazion e. (art. 360 c.p.c. n. 4)’.
Il ricorrente si duole per aver ritenuto la Corte d’appello essere intervenute le condizioni per lo svincolo della polizza, posto che, fermo restando che la comunicazione del 1°.10.2012 si riferiva ad una ipotesi di negozio futuro al termine della procedura amministrativa, non intervenuto, la fideiussione prestata da RAGIONE_SOCIALE non era conforme in quanto da emettersi ‘per un periodo di oltre 90 giorni successivo alla data del 12.6.2014’. La corte, pertanto, è incorsa in un errore di ricognizione del contenuto oggettivo della prova così violando l’art. 115 cod. proc. civ. che vieta ‘al giudice di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti ma in realtà mai offerte’.
Il ricorrente lamenta ancora che:
-nell’interpretazione della comunicazione indicata la corte, erroneamente, l’aveva ritenuta come manifestazione diretta ad estinguere l’obbligazione originaria con una novazione soggettiva. Nel pervenire alla sua decisione la Corte d’appello aveva omesso di ricercare l’effettiva volontà del Comune e ‘se essa costituiva una manifestazione di volontà valida ed efficace per il Comune’;
-la non corretta interpretazione si è tradotta in un ‘errore della motivazione’ perché la prova dell’esistenza di un atto amministrativo di autorizzazione allo svincolo era fatto costitutivo della domanda svolta dall’attrice;
-il Comune non avrebbe potuto svincolare la polizza dovendo questa garantire la corretta realizzazione delle opere entro un termine di due anni dal collaudo provvisorio avvenuto il 4.3.2013.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. va richiamato quanto detto nel paragrafo 3.3 in riferimento al primo motivo, fermo restando che la censura alla motivazione espressa a pagina 8, primo capoverso trova un serio impedimento nella mancata specificazione delle deduzioni in fatto e diritto svolte dall’amministrazione comunale nel corso del giudizio di primo e s econdo grado.
4.2. Anche la censura con cui si denuncia la violazione criteri legali di interpretazione del contratto non è articolata in modo adeguato, poiché si limita a contrapporre apoditticamente, con tutti i limiti segnalati in occasione dell’esame del primo motivo, a quella svolta dalla corte d’appello una diversa interpretazione in ordine ai presupposti per lo svincolo della polizza.
4.3. Il sindacato di legittimità deve avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti e non può investire il risultato interpretativo in sé, bensì solo l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (tra le molte, v. Cass. 31 marzo 2006, n. 7597; 1° aprile 2011, n. 7557; 14 febbraio 2012, n. 2109; 10 febbraio 2015, n. 2465; 29 luglio 2016, n. 15763; 5 dicembre 2018, n. 31512; 12 maggio 2020, n. 8810; 2 luglio 2020, n. 13620; sez. un.,
21 gennaio 2021, n. 2061). Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; 11 marzo 2014, n. 5595; 27 febbraio 2015, n. 3980; 19 luglio 2016, n. 14715).
Di conseguenza, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consen tito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 3 settembre 2010, n. 19044).
La censura in esame, come detto, si limita a contrapporre apoditticamente a quella svolta dalla corte d’appello una diversa interpretazione in ordine ai presupposti per ritenere intervenuto lo svincolo della polizza originaria, peraltro dalla corte qualificato dubitativamente come riduzione, da cui, comunque, è stata tratta la conclusione della sua non escutibilità.
4.4. Da ultimo, il ricorrente ha dedotto che non avrebbe potuto svincolare la polizza dovendo questa garantire la corretta realizzazione delle opere entro un termine di due anni dal collaudo provvisorio avvenuto il 4.3.2013. Si tratta, tuttavia, di una questione non menzionata nella sentenza impugnata ed in quanto basata su circostanze fattuali, è palese che si sarebbe dovuto indicare se, dove e come il giudice di appello ne fosse stato investito.
Secondo un indirizzo costante di questa Corte (v., indicativamente, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. 1° luglio 2024, n. 18018; Sez. Un., 29 gennaio 2024, n. 2607; 17 febbraio 2023, n. 5131; 23 settembre 2021, n. 25909; 24 gennaio 2019, n. 2038; 13 giugno 2018, n. 15430; 28 luglio 2008, n. 20518), qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia
cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità, non solo recare l’allegazione dell’avvenuta relativa deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (v. Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804; 24 gennaio 2019, n. 2038; 9 agosto 2018, n. 20694; 18 ottobre 2013, n. 23675). In quest’ottica, la parte ricorrente ha l’onere -nella specie rimasto assolutamente inadempiuto -di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado (cfr. Cass. 10 maggio 2005, n. 9765; 12 settembre 2000, n. 12025). Nel giudizio di cassazione, infatti, è preclusa alle parti la prospettazione di nuovi questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito (v. Cass. 13 settembre 2007, n. 19164; 9 luglio 2013, n. 17041; 25 ottobre 2017, n. 25319; 20 maggio 2018, n. 20712; 6 giugno 2018, n. 14477).
Con il quarto motivo viene denunciata ‘Violazione e falsa applicazione degli art. 1235 e 1268 c.c. per mancanza degli elementi costitutivi della novazione oggettiva o soggettiva dell’obbligazione originaria. Violazione falsa applicazione dell’art. 112 e 115 c.p.c. e dell’art. 132 n. 4 c.p. e 118 disp att. c.p.c. e 2697’.
Il ricorrente lamenta che, non essendosi verificate tutte le condizioni indicate nella comunicazione del 10.8.2012 per lo svincolo della polizza originaria, non si era determinata una novazione soggettiva, sicché mancando l’espressa dichiarazione del cred itore di liberazione del debitore originario Atradius non la si sarebbe potuta ritenere liberata. La corte, tuttavia, non avrebbe esaminato l’eccezione relativa alla non conformità sul piano temporale della polizza sostitutiva, così violando gli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., nonché artt. 132, comma secondo, n. 4 cod. proc. civ., 118 disp. att. Cod. proc. civ. e 2697 cod. civ.
5.1. Il motivo è inammissibile in quanto è privo dell’identificazione della motivazione criticanda.
Il motivo d’impugnazione, come già detto, è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; tale nullità si risolve in un “non motivo” del ricorso per cassazione ed è conseguentemente sanzionata con l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ. Il ricorrente ha omesso di indicare la motivazione criticanda, così delegando inammissibilmente questa Corte ad individuare a che cosa dovrebbe riferirsi, mentre è onere del ricorrente provvedervi, atteso che per svolgere qualsiasi motivo di impugnazione, che si correli alla motivazione della decisione impugnata, è necessario identificare quest’ultima.
A pagina 29 del ricorso il ricorrente riferisce del rigetto di due eccezioni da parte del Tribunale di Imperia, che sarebbero quelle illustrate al periodo precedente, e che la Corte d’appello ‘come risulta dalla trascrizione della motivazione ha fondato il suo convincimento sugli stessi argomenti’.
Non è dato comprendere con esattezza a cosa si riferisca l’ulteriore sviluppo del motivo, che, per come strutturato, formalmente enuncia una violazione di legge in ordine alle fattispecie astratte pertinenti degli artt. 1235 e 1268 cod. civ., ma si risolve nel chiedere una rivalutazione del merito sui temi oggetto del giudizio.
Va da sé che la mancata indicazione della motivazione criticanda impedisce lo scrutinio del dedotto vizio di motivazione, peraltro formulato in modo del tutto generico in difformità dal perimetro segnato dalle Sezioni Unite di questa Corte in termini di riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella «mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione»’ (cfr. Cass., sez. un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054; Cass., sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; Sez. VI-3, 25 settembre 2018, n. 22598; sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090).
L’inammissibilità del ricorso principale determina l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato proposto da RAGIONE_SOCIALE con il quale è stata denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 1362 e ss. cod. civ. per aver ritenuto la Corte d’appello che la polizza in origine rilasciata copriva anche l ‘obbligazione di pagamento e non solo quella di realizzazione delle opere di urbanizzazione.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Il ricorrente soccombente va anche condannato al pagamento, in favore della controricorrente vittoriosa, di una somma che si stima equo determinare in misura pari ai compensi calcolati sulle spese processuali (oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza al saldo), ai sensi dell’art.96, terzo comma, cod. proc. civ.
La proposizione di un mezzo di gravame del tutto inammissibile, con doglianze dirette a censurare l’apprezzamento di fatto operato dal giudice di merito nell’ambito di una doppia pronuncia di conformità, in assenza di alcuna argomentazione idonea ad evidenziare vizi di legittimità della sentenza impugnata, costituisce indice di colpa grave e si traduce in una condotta processuale contraria ai canoni di correttezza, nonché idonea a determinare un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali, ponendosi in posizione incompatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti (art.6 CEDU) e, dall’altra, deve tenere conto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e della conseguente necessità di strumenti
dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie, defatigatorie o pretestuose. Tale condotta, integrando gli estremi dell ‘ ‘abuso del processo’, si presta, dunque, nella fattispecie, ad essere sanzionata con la condanna della parte ricorrente soccombente al pagamento, in favore della controparte resistente vittoriosa, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. (Cass. 4 agosto 2021, n. 22208; 21 settembre 2022, n. 27568; 5 dicembre 2022, n. 35593).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Condanna il ricorrente principale al pagamento in favore della controricorrente e ricorrente incidentale società RAGIONE_SOCIALE: delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 9.200,00, di cui euro 9.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di euro 9.000,00 ex art. 96, comma terzo, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, del l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della