Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6016 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6016 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16860-2020 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliata ‘ ex lege ‘ in Roma, INDIRIZZO, presso la cancelleria di questa Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– COGNOMEnte –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME rappresentato e difeso dall’ AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– controCOGNOMEnte –
Avverso la sentenza n. 6150/2019 d ella Corte d’appello di Napoli, depositata il 14/01/2020;
Oggetto
LOCAZIONE USO DIVERSO
Improcedibilità del ricorso
R.G.N. 16860/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 21/09/2023
Adunanza camerale
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 21/09/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME COGNOME, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 6150/19, del 14 gennaio 2020, della Corte d ‘a ppello di Napoli, che -accogliendo parzialmente il gravame incidentale esperito da NOME COGNOME, avverso la sentenza n. 3293/18, del 4 aprile 2018, del Tribunale di Napoli (e respingendo quello principale della COGNOME) -ha accolto la domanda riconvenzionale del COGNOME COGNOME di convalida dell’offerta reale di riconsegna dell’immobile dallo stesso condotto in locazione, sito in Napoli, INDIRIZZO.
Riferisce, in punto di fatto, l’odierna COGNOMEnte di aver intimato al COGNOME sfratto per morosità, in relazione alla locazione dell’immobile suddetto, di proprietà della medesima COGNOME, locazione derivante da contratto concluso tra costui e l’usufruttuario del bene, NOME COGNOME.
Assumeva, altresì, NOME COGNOME di aver rifiutato l’offerta reale di riconsegna dell’immobile, sia perché il conduttore non provvedeva a consegnare la chiave del portone di accesso al predetto fabbricato n. 3 di Vico Satriano, rendendo, in tal modo, interc luso l’immobile locato, sia in ragione dei danni che costui aveva arrecato all’immobile, secondo quanto emerso all’esito di procedura di accertamento tecnico preventivo.
L’intimato, per parte propria, negava la morosità, deducendo di aver inviato disdetta in relazione alla scadenza contrattuale del 3 settembre 2011, escludendo, poi, l’esistenza dei danni alla ‘ res locata ‘ (trattandosi, a suo dire, di normale degrado derivante dal l’ uso della stessa ). Evidenziava, infine, quanto all’accesso
all’immobile, di essere l’esclusivo proprietario dell’androne e dello scalone che conducono all’ingresso di INDIRIZZO, essendo stato, inoltre, pattuito -nel contratto di locazione -che tale accesso si esaurisse a conclusione della durata del contratto stesso.
Su tali basi, pertanto, formulava domanda riconvenzionale, affinché fosse dichiarata la cessazione del rapporto locativo dal 31 maggio 2012, l’inesistenza di un diritto di servitù in favore dell’immobile di proprietà della COGNOME e, infine, la convalida dell’offerta reale di riconsegna della ‘ res locata ‘ .
Il giudice di prime cure, respinta la domanda della COGNOME, accoglieva la riconvenzionale del COGNOME solo quanto alla declaratoria di risoluzione del contratto per scadenza del termine di durata del 3 settembre 2011, rigettandola per il resto.
Esperito gravame da ambo le parti, il giudice di appello accoglieva parzialmente quello del COGNOME, accogliendo la domanda di convalida dell’offerta reale di riconsegna del bene.
Avverso la sentenza della Corte partenopea ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, sulla base -come detto -di quattro motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -nullità della sentenza.
Sul rilievo che il primo giudice aveva deciso la questione, come dallo stesso espressamente dichiarato, ‘a prescindere da ogni considerazione circa la sussistenza di diritti reali vantati dall’attrice’ (giacché essi avrebbero presupposto ‘l’esercizio di un ‘azione diversa da quella personale spiegata nel presente giudizio’), affermazione non censurata in appello, la COGNOMEnte lamenta che la Corte partenopea non avrebbe potuto stabilire -come ha, invece, fatto -‘l’inesistenza di qualsiasi servitù di
passaggio a favore della locatrice’, così incorrendo nel vizio di ultrapetizione o extrapetizione.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione delle norme in tema di usufrutto, ovvero artt. 981 e ss. cod. civ.
Si censura l’affermazione mediante la quale la Corte napoletana è giunta alla conclusione dell’inesistenza della servitù, ovvero che, nel contratto di locazione concluso da NOME COGNOME, fosse stato previsto che l’accesso all’immobile dall’androne e dalla scala dovesse ‘ intendersi consentito solo fino al termine della presente locazione’. Essendo, infatti, il COGNOME solo l’usufruttuario dell’immobile, egli non aveva il potere di mutare la consistenza del bene oggetto del suo diritto, dovendo, anzi, a norma dell’art. 981 cod. civ., osservare il limite del ‘del rispetto e del mantenimento della destinazione economica’ del bene oggetto di usufrutto.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione dell’art. 1590 cod. civ.
Si rileva che il primo giudice aveva correttamente ritenuto legittimo il rifiuto di riconsegna del bene, sino a quando il conduttore non avesse provveduto al ripristino dello stato dei luoghi, avendo ricevuto l’immobile in buon stato di conservazione.
Dalla descrizione contenuta nella relazione tecnica resa all’esito dell’ATP emerge va, infatti, un forte stato di degrado dell’immobile, ciò che rendeva gli interventi di ripristino non più ordinari, ma di rilevante entità, donde la violazione -da parte della Corte d’appello dell’art. 1590 cod. civ.
3.4. Infine, il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -‘omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata’.
Si censura la sentenza impugnata per aver affermato che della inesistenza della servitù NOME era a conoscenza, giacché quando il padre NOME le trasferì la proprietà dell’immobile (riservandosi l’usufrutto) convenne, nel rogito notarle, che sarebbe stata costituita una servitù di passaggio, ‘attraverso la limitrofa proprietà del venditore dal vano di accesso sul pianerottolo delle scale, creando un corridoio che si svilupperà per la lunghezza di un metro lungo il muro a confine col cortile di propri età COGNOME.
Si assume che dal ragionamento svolto dal giudice di merito si riscontra un carente nonché illogico esame di un punto decisivo della controversia, ‘in quanto è stato omesso l’esame di un fatto storico la cui esistenza risulta dagli atti processuali’, oltre che ‘dal testo della sentenza’, fatto che presenta carattere decisivo. Invero, dal testo del contratto risulterebbe che la costituenda servitù, alla quale esso faceva riferimento, era prevista solo per l’ipotesi in cui ‘la proprietà alienata attualmente l ocata a studio professionale ed avente accesso dalla scala principale che si diparte dal cortile di INDIRIZZO, di proprietà COGNOME, non potesse più godere di tale accesso a seguito di riconosciuta denegata servitù per inappellabile pronuncia del Magistrato’. Un ragionamento ‘coerente, logico e giuridicamente valido’, avrebbe dovuto portare la Corte a concludere che la COGNOME era, piuttosto, consapevole di godere già di una servitù, tanto che, per l’ipotesi di vittorioso esperimento di una futura a zione ‘ negatoria ‘, si prevedeva la possibilità di costituire un diverso accesso, oggetto di un’ulteriore servitù.
Ha resistito all’avversaria impugnazione con controricorso, il COGNOME, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di conclusioni scritte da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. Il ricorso è improcedibile.
8.1. Deve, infatti, rilevarsi che la COGNOMEnte ha provveduto al deposito della relata di notificazione della sentenza impugnata (adempimento prescritto dall’art. 369, comma 2, n. 2, cod. proc. civ.) solo in data 27 luglio 2020 (e con attestazione di conformità in pari data), e dunque oltre il termine di venti giorni dalla notificazione prescritto dalla norma suddetta.
Si tratta, per l’ appunto, di evenienza che comporta -secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte -la sanzione dell’improcedibilità del ricorso, considerato che la relata di notificazione della sentenza impugnata non è stata né prodotta dalla controCOGNOMEnte, né acquisita con il fascicolo d’ufficio.
Invero, il Supremo Collegio, chiamato a rimeditare il proprio precedente orientamento (a mente del quale ‘ne ll ‘ ipotesi in cui il COGNOMEnte, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di
notificazione, il ricorso per cassazione dev ‘ essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto del secondo comma dell’art. 372 cod. proc. civ., applicabile estensivamente, purché entro il termine di cui al primo comma dell ‘ art. 369 cod. proc. civ. ‘; così Cass. Sez. Un., ord. 16 aprile 2009, n. 9005 ), ha individuato, quale temperamento rispetto alla generalizzata applicazione della suddetta sanzione processuale le ipotesi in cui ‘ il documento risulti depositato dal controCOGNOMEnte ‘, ovvero sia ritualmente presente ‘nel fascicolo d’ufficio trasmesso dal giudice a quo ‘ ( cfr., in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 2 maggio 2017, n. 10648, Rv. 643945-01).
Solo, infatti, in questi casi ‘l e ragioni della tempestiva conoscenza ‘ del documento (indispensabile a fini della verifica dell ‘osservanza del termine per impugnare), ‘ che avevano sorretto la lettura rigorista, cedono alla verifica di ragionevolezza delle regole del procedimento e di proporzionalità della sanzione, che è costituita dal divieto di accesso al giudice ‘; per contro tale ‘ massima sanzione ‘ continua a giustificarsi al cospetto di ‘ una violazione della tempistica processuale che sia ex actis irrimediabile ‘ (così, sempre in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. n. 10648 del 2017, cit .). Quelli del tempestivo deposito della sentenza e della relata sono, infatti, ‘ adempimenti agevoli, normativamente prescritti da sempre, di intuitiva utilità per attivare il compito del giudice in modo non «trasandato» e conseguente con il fine di pervenire sollecitamente alla formazione del giudicato ‘; di talché, permettere ‘ il recupero della omissione mediante la produzione a tempo indeterminato con lo strumento di cui all ‘ art. 372 cod. proc. civ. vanificherebbe il senso del duplice adempimento nel meccanismo processuale ‘ (si veda, ancora una volta, Cass. Sez. Un., sent. n. 10648 del 2017, cit .).
In conclusione, il presente ricorso va dichiarato improcedibile, per difetto di tempestività del deposito della relata di notificazione della sentenza impugnata.
Il Collegio rileva che, se si potessero esaminare i motivi, essi meriterebbero questa sorte.
9.1. Il primo motivo si dovrebbe ritenere inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c. La dedotta violazione dell’art. 112, infatti, si fonda sulla sentenza di primo grado, anzi ancora prima sul tenore della prospettazione difensiva del COGNOME in primo grado ed in particolare sul tenore del motivo di appello della COGNOME: nessuna precisa indicazione di quest’ultimo e della detta prospettazione si offre e, soprattutto, non si localizza in questo giudizio di legittimità la sentenza di primo grado, sicché lo scrutinio del motivo sarebbe stato precluso.
9.2. Il secondo motivo risulterebbe gradatamente inammissibile e comunque infondato.
La ragione di inammissibilità si dovrebbe rinvenire nella circostanza che il motivo parrebbe prospettare una questione nuova, che è anche di fatto quanto alla qualità di usufruttuario del padre della COGNOME.
Fermo tale preliminare rilievo, si dovrebbe osservare che il ricorso dà per scontata la qualificazione, addirittura come servitù prediale, di un diritto -facente capo, ipoteticamente, alla COGNOME -la cui esistenza, viceversa, non risulta, in alcun modo confermata dalle pronunce rese da ambo i giudici di merito. Perché, dunque, possa addebitarsi a NOME COGNOME -usufruttuario dell’immobile di proprietà della figlia -di aver disposto dell’immobile, mediante la locazione conclusa con il COGNOME, in violazio ne dell’art. 981 cod. civ., sarebbe stato necessario che l’esistenza di quel diritto fosse stata accertata, donde la fallacia da rovesciamento della censura prospettata.
9.3. Anche il terzo motivo si sarebbe dovuto dire inammissibile.
Esso lamenta, infatti, violazione dell’art. 1590 cod. civ., sul rilievo che l’RAGIONE_SOCIALE avrebbe evidenziato l’esistenza di un forte stato di degrado dell’immobile.
Il motivo appare inammissibile, non prospettando, in realtà, un vizio di violazione di legge, se è vero che esso ‘ consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione d ella fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità ‘ (‘ ex multis ‘, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 652549 -02), e ciò in quanto i l vizio di sussunzione ‘ postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito ‘ (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01). Ne consegue, quindi, che il ‘ discrimine tra l’ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l’ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ‘ (così, in motivazione, Cass. Sez., Un., sent.
26 febbraio 2021, n. 5442) evenienza, quest’ultima, che COGNOME nel caso di specie, visto che il presente motivo sollecita, in realtà, un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, in conformità con quella operata dal primo giudice.
9.4. Infine il pure il quarto motivo sarebbe apparso, nuovamente, inammissibile.
Esso denuncia ‘omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata’, ovvero un vizio non più rientrante nella tassonomia dell’art. 360 cod. proc. civ. (da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 3 marzo 2022, n. 7090, Rv. 664120-01).
Né, d’altra parte, la censura potrebbe essere veicolata come pure, confusamente, sembra prospettare la COGNOMEnte -quale omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Premesso, invero, che l’ammissibilità di una simile censura risulta subordinata alla condizione che la parte COGNOMEnte non si limiti a dedurre quale sia in fatto ‘omesso’ e la sua ‘decisività’, ma anche il ‘dato’, testuale o extratestuale, da cui esso ri sulti esistente, e il ‘come’ e il ‘quando’ ciò che nella specie non risulta avvenuto -tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale (cfr., Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8054, Rv. 629831-01; in senso conforme, Cass. Sez. 3, sent. 11 aprile 2017, n. 9253, Rv. 643845-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 10 agosto 2017, n. 19987, Rv. 645359-01). In ogni caso, poi, il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. è ipotizzabile solo quando l’omissione investa un ‘ fatto vero e proprio ‘ (non una ‘questione’ o un ‘punto’ della sentenza) e, quindi, ‘ un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo ‘ (così, in motivazione , Cass. Sez. 5, sent. 8 settembre 2016, n. 17761, Rv. 641174-01; nello stesso
senso Cass. Sez. 6-5, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 64630801), vale a dire ‘ un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico ‘ (Cass. Sez. 5, sent. 8 ottobre 2014, n. 21152, Rv. 632989-01; Cass. Sez. Un., sent. 23 marzo 2015, n. 5745, non massimata), ‘ un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto ‘ (cfr. Cass. Sez. 1, ord. 5 marzo 2014, n. 5133, Rv. 62964701), e ‘ come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni ‘ (Cass. Sez, 6 -1, ord. 6 settembre 2019, n. 22397, Rv. 655413-01).
Nella specie, l’omissione investirebbe, invece, un’interpretazione da darsi del testo contrattuale (o meglio, di una sua clausola), e dunque non un ‘fatto’ da intendersi nel senso sopra indicato, donde la necessità di dare seguito al principio enunciato da questa Corte secondo cui ‘ in tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame della questione relativa all’interpretazione del contratto non è riconducibile al vizio di cui all’art. 360, n. 5), cod. proc. civ., in quanto l’interpretazione di una clausola negoziale non costituisce «fatto» decisivo per il giudizio, atteso che in tale nozione rientrano gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi ‘ (Cass. Sez. 3, sent. 8 marzo 2017, n. 5795, Rv. 643401-01; in senso conforme Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20718, Rv. 650016-02).
9.5. In definitiva lo scrutinio dei motivi, ove possibile, avrebbe determinato l’inammissibilità del ricorso.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della COGNOMEnte e liquidate come da dispositivo.
A carico della COGNOMEnte, stante la declaratoria di improcedibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte dichiara improcedibile il ricorso, condannando NOME COGNOME a rifondere, a NOME COGNOME, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 1.6 00,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della COGNOMEnte dell ‘ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della