Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22620 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 22620 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
Oggetto
Inquadramento
superiore
R.G.N.24216/2021
COGNOME
Rep.
Ud.08/04/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 24216-2021 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 776/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 19/03/2021 R.G.N. 3132/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello proposto da NOME Antonio contro la sentenza del Tribunale di Avellino n. 2/2017, che aveva rigettato la sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento delle mansioni superiori ed un diverso inquadramento (livello A2 dal novembre 1990 al settembre 1998, livello A1 dall’1.4.1999 e la qualifica di quadro dall’1.1.2010), con le relative differenze retributive.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, dopo aver riferito il contenuto del ricorso in appello dell’attuale ricorrente per cassazione, preliminarmente esponeva il percorso professionale e gli inquadramenti auspicati, richiamati dall’appellante nel ricorso di prime cure e riportati nel provvedimento impugnato.
Ciò premesso, la Corte riteneva che, tenuto conto delle conclusioni proposte, correttamente il primo giudice evidenziava che gli avanzamenti prospettati ed invocati dall’NOME fossero tra loro direttamente collegati e ciascuno dipendente dal precedente livello di inquadramento; e che in ogni caso, per le ragioni poi esposte, pur a ritenerle svincolate tra di loro, non avevano ricevuto adeguato sostegno probatorio.
In particolare, considerava anzitutto le declaratorie contrattuali, richiamate dall’istante e riportate anche nel provvedimento impugnato (vale a dire, quelle del livello B1, del livello A2, del livello A3, del livello 7, del livello 8 e del livello quadri).
Con riferimento al primo periodo di lavoro, per il quale l’istante chiedeva il riconoscimento del livello A2, in subordine
A3, la Corte riportava quanto evidenziato dal primo giudice e osservava che, anche a ritenere che non si fosse formato un giudicato (in forza di sentenza n. 1828/2012 del TAR di Salerno), tenuto conto che dinanzi al giudice amministrativo era censurata la regolarità di una procedura interna di mobilità (situazione diversa dalla rivendicazione di un superiore inquadramento in ragione delle effettive mansioni svolte), essa Corte condivideva comunque con il primo giudice l’infondatezza della richiesta, non solo per il primo periodo.
5.1. In tal senso, rilevava che il Tribunale esattamente valutava la carenza di specifiche connotazioni sulle funzioni in concreto svolte dall’NOME, che dovevano essere allegate (e poi provate) in modo dettagliato con riguardo alle determinate peculiarità proprie di tali funzioni e giustificative delle diverse e superiori categorie di inquadramento auspicate.
5.2. La Corte, riesaminati i documenti prodotti dall’istante, in relazione a ciascun periodo da considerare, confermava che da essi, in carenza di idonee allegazioni e prove dirette a corroborare le mere affermazioni dell’appellante, non emergevano significativi ed evidenti elementi per ritenere erroneo dapprima l’inquadramento in B1, invece che in A2 o in A3, poi in A3-7°, invece che in A1, e, infine, in 8°, invece che in quadro.
In definitiva, per la Corte distrettuale, per ciascun periodo di inquadramento mancava la dettagliata indicazione dei compiti svolti dall’NOME in maniera prevalente, e tanto non aveva consentito di eseguire l’operazione logico -ermeneutica di effettiva sussumibilità delle mansioni svolte nei superiori livelli, per cui la sentenza gravata non poteva che essere confermata.
Infine, la Corte giudicava generica la doglianza sulla discriminatorietà della condotta dell’ente.
Avverso tale decisione NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
L’intimata resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un primo motivo (cfr. pagg. 10-11 del ricorso) il ricorrente chiede di ‘cassare la decisione ex art. 360 (1) 4) cpc (nullità della sentenza o del procedimento) per violazione dell’art. 115 (1) cpc (il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita) e per violazione dell’art. 112 cpc (il giudice non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti)’.
Con il secondo motivo (a pag. 11 del ricorso) chiede di ‘cassare la decisione ex art. 360 (1) 4) (nullità della sentenza o del procedimento) per violazione dell’art. 112 cpc (il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti) nonché ex art. 360 (1) 3) cpc (violazione falsa applicazione di norme di diritto e di contratti/accordi nazionali di lavoro) per violazione e falsa applicazione dell’art. 2013 cc e del CCNL 2 agosto 1991’.
Con il terzo motivo (v. pagg. 11-12 del ricorso) chiede di ‘cassare la decisione ex art. 360 (1) 4) (nullità della sentenza o del procedimento) per violazione dell’art. 112 cpc (il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa;
e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti) nonché ex art. 360 (1) 3 cpc (violazione falsa applicazione di norme di diritto e di contratti/accordi nazionali di lavoro) per violazione dell’art. 2013 cc e de l CCNL 2 agosto 1991′.
Con il quarto motivo (v. pagg. 12-13 del ricorso) chiede di ‘cassare la decisione ex art. 360 (1) 4) cpc (nullità della sentenza o del procedimento) per violazione dell’art.115 (1) cpc (il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita) nonché ex art. 360 (1) 3) cpc (violazione falsa applicazione di norme di diritto e di contratti/accordi nazionali di lavoro) nonché ex art. 360 (1) 3) cpc (violazione falsa applicazione di norme di diritto e di contratti/accordi nazionali di lavoro) per violazione e falsa applicazione dell’art. 2013 cc, del CCNL 2 agosto 1991 e del CCNL 1 marzo 2002’.
Con il quinto motivo (v. pagg. 13-14 del ricorso) chiede di ‘cassare la decisione della Corte per motivazione apparente ai sensi dell’art. 360 (1) 4) cpc (nullità della sentenza o del procedimento) per violazione dell’art. 111 della Costituzione (i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati) e per violazione dell’art. 132 (2) 4) cpc (la sentenza deve contenere l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione)’.
Con il sesto motivo (v. pagg. 14-15 del ricorso) chiede di ‘cassare la decisione ex art. 360 (1) 4) (nullità della sentenza o del procedimento), per violazione dell’art. 112 cpc (il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti), per violazione dell’art. 111 della Costituzione (i provvedimenti giurisdizionali devono essere
motivati) e per violazione dell’art. 132 (2) 4) cpc (La sentenza deve contenere l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione)’.
I singoli motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente per connessione, sono inammissibili.
Essi -con notevole difficoltà – sono individuabili nel numero di sei (le censure non sono distintamente numerate o altrimenti contraddistinte con chiarezza: cfr. pagg. 10-15 del ricorso).
Dev’essere, infatti, disapprovata anzitutto la singolare tecnica redazionale dell’atto di impugnazione, nel quale lo svolgimento della singola censura (consistente in numerosi ‘premesso che …’ e ‘rilevato che …’) è ogni volta anteposto (piuttosto che se guire) all’indicazione dei mezzi di ricorso per cassazione optati (nei termini sopra riportati).
Anche l’indicazione delle norme (processuali e sostanziali) che si assumono violate è imprecisa e sommaria: ad es., è più volte menzionato l’art. 2013 c.c. (che disciplina la ‘Girata per incasso o per procura’), laddove verosimilmente si voleva richiamare l’art. 2103 c.c.; sono reiteratamente richiamati dei CCNL, anche nell’antepo sto sviluppo di talune censure, ma senza specificazione alcuna di articoli e norme degli stessi CCNL, neppure fornita nella pur estesa ed ‘affollata’ ‘esposizione sommaria dei fatti della causa’ ex art. 366, comma primo, n, 3), c.p.c., proposta dal ricorrente (alle pagg. 1-10 del ricorso per cassazione). Nel ricorso in esame nel suo complesso vengono, piuttosto, riportati ‘brani’ di singole declaratorie contrattuali.
Tutto ciò per ora rilevato, occorre ricordare che, per le Sezioni unite di questa Corte, il ricorso per cassazione deve essere articolato in specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad uno dei cinque motivi di impugnazion e previsti dall’art. 360, comma 1, c.p.c., sicché, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di uno dei predetti motivi, è indispensabile che le censure individuino con chiarezza i vizi prospettati, tra quelli inquadrabili nella tassativa griglia normativa (in tal senso Cass., sez. un., 8.11.2021, n. 32415).
11.1. Inoltre, sempre secondo le Sezioni unite di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui si intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (in tal senso Cass., sez. un., 28.10.2020, n. 23745).
Ebbene, le non contestazioni delle proprie deduzioni, che il ricorrente attribuisce alla propria controparte nelle ‘premesse’ del primo e del quarto motivo, sono sostenute in modo del tutto generico.
Analogamente, sono oltremodo generiche le anomalie motivazionali denunciate nel quinto e nel sesto motivo (in quest’ultimo caso, per giunta, cumulativamente con quello di violazione dell’art. 112 c.p.c.).
Anche le violazioni dell’art. 112 c.p.c., sostenute in varia chiave nel primo motivo, nel secondo motivo, nel terzo motivo e nel sesto motivo, in disparte la contemporanea deduzione di vizi di diverso genere, sono profilate in base a ‘spezzoni’ di motivazione dell’impugnata sentenza e di critiche alla stessa, peraltro in parte mal riferiti, senza considerare che la sentenza impugnata, dopo aver dato conto del contenuto del ricorso in appello e delle ragioni d’impugnazione (cfr. facciate 1-2 della stessa ), ha indubbiamente respinto del tutto l’appello, in base a diffusa ed articolata motivazione (v. facciate 2-6 della stessa).
14.1. Infatti, nell’esposizione del primo motivo si legge: ‘Rilevato che la Corte nell’accogliere il primo punto del secondo motivo d’appello ha dichiarato nel ricorso di prime cure il ricorrente richiama il percorso professionale gli inquadramenti auspicati e le declaratorie contrattuali ‘, laddove nella parte che sembra censurare il ricorrente la Corte di merito non ha accolto alcunché dell’impugnazione esaminata. In particolare, ha semplicemente scritto che: ‘Va, preliminarmente, richiamato il percorso professionale e gli inquadramenti auspicati, richiamati dal ricorrente nel ricorso di prime cure e riportati anche nel provvedimento impugnato’; affermazione cui segue una parte dedicata a riferire essenzialmente quello che in proposito aveva dedotto l’attore (cfr. tra la facciata 2 e quella 3). Nell’ambito del secondo motivo si legge: ‘Rilevato che la Corte territoriale rigetta tale punto del secondo motivo d’appello motivando resta
incerto come e in quali limiti le mansioni indicate da NOME siano riconducibili all’invocato A2 anziché al B1 attribuitogli dal datore di lavoro ‘, ma il passo che il ricorrente sembra voler richiamare testualmente in corsivo neppure si rintraccia nell’impugnata sentenza, in cui piuttosto è scritto: ‘Pur al cospetto dei documenti prodotti dall’appellante in primo grado, e richiamati per ciascun per iodo nell’atto di appello, resta ancora incerto come ed in quali limiti tali mansioni siano riconducibili alle categorie invocate anziché a quelle attribuitegli dal datore di lavoro negli anni di riferimento’; affermazione, questa, che si colloca in un più ampio excursus motivazionale e che, comunque, come si rileva chiaramente dal singolo passaggio, oltre che dal seguito del ragionamento decisorio (cfr. in extenso facciata 5 dell’impugnata sentenza), si riferisce a tutti i singoli periodi da considerare, e non solo all’inquadramento nel livello A2, invece che a quello in B1, ossia, l’inquadramento preteso dal lavoratore per il periodo ‘iniziale’ (da novembre 1990 a settembre 1998: cfr. facciate 2 e 3 della sentenza gravata). Le stesse considerazioni, allora, valgono per l ‘identico ‘Rilevato che la Corte territoriale rigetta tale punto del secondo motivo d’appello motivando resta incerto come e in quali limiti le mansioni indicate da NOME siano riconducibili all’invocato A2 anziché al B1 attribuitogli dal datore di lavoro ‘; rilievo che il ricorrente torna ad esporre, ma in relazione al terzo motivo di ricorso (v. pag. 12 dello stesso). Infine, nel sesto motivo è ”Rilevato che la Corte così rigetta ‘ E’ poi generica la doglianza sulla discriminatorietà della condotta dell’ ente ‘, affermazione che il ricorrente asserisce essere equipollente ad omessa pronuncia o immotivata (cfr. pag. 15 del ricorso), non tenendo conto che essa è spiegata nel senso che detta doglianza è stata valutata ‘non supportata da
elementi per ritenerla fondata, potendo i diversi inquadramenti del personale dipendere da storie professionali e attività in concreto svolte diverse’.
Mette conto aggiungere, per completezza, che, secondo altro consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che, attraverso la mescolanza e la sovrapposizione di ragioni tra loro eterogenee, prospetti relativamente alla medesima questione motivi di censura tra di loro incompatibili come avviene per i motivi di ricorso di cui ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., il primo dei quali presuppone la non contestazione della ricostruzione fattuale mentre il secondo contesta proprio tale ricostruzione sulla base della non completa istruzione probatoria (così, ex plurimis , Cass. n. 1859/2021; n. 14634/2020; n. 10212/2020). Difatti, in seno al medesimo motivo di ricorso non possono coesistere censure caratterizzate da irredimibile eterogeneità, così che non risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione del le censure (Cass. n. 12625/2020).
Ebbene, nel ricorso in esame, in aggiunta a quello che si è già rilevato, tale impropria ibridazione di mezzi di critica vincolata differenti si riscontra nel secondo motivo, nel terzo motivo e nel quarto motivo, nei quali il ricorrente fa valere nel contempo error in procedendo ex art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c. ed error in iudicando ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c.
Resta, quindi, confermato che tutti i motivi di ricorso sono inammissibili.
Il ricorrente, stante la soccombenza, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione, come liquidate in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 3.500,00 per compensi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CAP come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale dell’8.4.2025.
La Presidente
NOME COGNOME