Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 35313 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 35313 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23809/2023 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COGNOME COGNOME, COGNOME, COGNOME, NOME COGNOME, in qualità di eredi di COGNOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende;
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2748/2023, depositata il 18/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Roma, prima, con la sentenza n. 7423/2017, la Corte d’Appello di Roma, poi, con la pronuncia n. 2748/2023, depositata il 18/04/2023, hanno accertato il diritto di NOME COGNOME derivante dalla scrittura privata del 31 luglio 2009, di essere manlevato dell’importo di euro 348.575,88 da parte di NOME COGNOME e conseguentemente hanno condannato quest’ultimo a corrispondere detto importo <>.
Avverso la sentenza n. 2748/2023 della corte d’appello NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi.
NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME nella qualità indicata, hanno resistito con controricorso.
Il Consigliere delegato ha formulato una proposta di definizione accelerata ai sensi dell’art. 380 -bis cod.proc.civ., con cui ha prospettato l’inammissibilità del ricorso.
NOME COGNOME ha chiesto ritualmente e tempestivamente la decisione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis, 2° comma, cod.proc.civ.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Entrambe le parti hanno depositato memoria; quella dei controricorrenti non ha i requisiti richiesti dalla legge.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunzia <>.
Il ricorrente si duole di come la corte d’appello ha interpretato la scrittura di manleva del 31 luglio 2009, deducendo che <>.
Il giudice a quo avrebbe ritenuto inapplicabile alla fattispecie per cui è causa una norma imperativa, l’art. 1938 cod.civ., <>, atteso che, dopo averla considerata astrattamente applicabile, <>, ne ha escluso l’applicazione perché <>.
In aggiunta, sarebbe stato erroneamente rigettato il motivo di appello con cui veniva lamentato che il tribunale non aveva <>.
Il motivo è inammissibile.
Conducono a tale conclusione più ordini di ragioni:
a) la violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ., non avendo parte ricorrente messo questa Corte nella condizione di conoscere il contenuto della scrittura privata oggetto della censura. L’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ. codifica il principio di autonomia e autosufficienza del ricorso che, anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, COGNOME e altri c/ Italia, la quale ha investito questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione), può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950); non basta onde ritenere soddisfatte le prescrizioni dell’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ. -come sostiene il ricorrente nella memoria depositata in vista dell’odierna camera di consiglio l’allegazione della suddetta scrittura privata. Proprio da Cass., Sez. Un., n. 8950/2022 si evince la necessità che sia riprodotto il
contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso <> che sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito; non si tratta di adempimenti alternativi, bensì cumulativi (v. Cass. 30/07/2024, n. 21346; Cass. 29/05/2024 , n. 15058; Cass. 19/07/2023, n. 21230; Cass. 19/04/2022, n. 12481), cui il ricorrente non ha provveduto b) la prospettazione di un esito dell’attività di interpretazione opposta rispetto a quella del giudice a quo e non già la deduzione della violazione dei canoni di interpretazione da parte della corte territoriale. La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. cod.civ., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra: ex plurimis v. Cass. 09/04/2021, n. 9461); c) la riproposizione delle tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ai sensi dell’art. 366, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ. (Cass. 24/09/2018, n.
22478; Cass. 25/08/2000, n. 11098; Cass. 17/11/2003, n. 17402 ; Cass. 23/09/2003, n. 12632 );
c) il mancato superamento della preclusione di cui all’art. 348 ter , ult. comma, cod.proc.civ., secondo cui quando la sentenza di appello sia conforme in facto (fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata) a quella di prime cure non è deducibile il vizio di cui all’art. 360, n. 5, coc.proc.civ. Il ricorrente per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ. deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 28/02/2023, n. 5947).
2) Con il secondo motivo il ricorrente prospetta la <>.
La sua tesi è che la corte d’appello sia incorsa sia nella violazione dell’art. 112 cod.proc.civ., perché, non essendo mai stato provato l’adempimento dell’obbligazione da parte del manlevato, <> non era mai sorto, sia nella violazione dell’art. 2697, 1° comma, cod.civ. quanto alla prova dell’adempimento dell’obbligazione presupposta.
In particolare, evocando Cass. n. 31131/2023, il ricorrente sostiene che il giudice a quo avrebbe dovuto d’ufficio rilevare la nullità negoziale, anche se diversa da quella dedotta nell’atto introduttivo (impossibilità o illiceità dell’oggetto), in quanto chiaramente desumibile dalla prospettazione dei fatti costitutivi, ossia l’impossibilità giuridica della delibera per carenza di potere dell’organo assembleare.
In aggiunta, la corte d’appello avrebbe reso una motivazione apparente e perplessa, avendo attinto il suo convincimento da elementi mai entrati nel processo.
Il motivo è inammissibile per plurime ragioni:
l a violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. è prospettata in maniera del tutto assertiva, in violazione dell’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ. (v. supra sub § 1): Cass. 25/09/2019, n. 23834;
le ulteriori censure mosse alla sentenza impugnata non ne hanno colto la ratio decidendi e quindi non l’hanno efficacemente confutata nella parte in cui la domanda di manleva del COGNOME è stata ritenuta subordinata alla stipula del contratto definitivo di assegnazione del bene, previo frazionamento del mutuo e dell’ipoteca; c) la censura di avvenuta violazione dell’art. 2697 cod.civ. può essere scrutinata come tale solo se venga denunciato che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., Sez. Un., 5/08/2016, n. 16598).
Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della <>.
Non avendo gli eredi COGNOME svolto appello incidentale sul capo di sentenza relativo alle spese, non potendo considerarsi tale <>, ed avendo gli appellati nelle loro conclusioni chiesto il rigetto dell’appello e la conferma della
sentenza del tribunale, la corte territoriale, liquidando le spese del grado <> e quantificando l’onorario secondo le tariffe medie compresa la fase istruttoria/trattazione che non si era mai celebrata avrebbe errato.
Il motivo è inammissibile, non avendo la ricorrente addotto alcuna giustificazione in iure a supporto della denunciata violazione di legge (v. Cass. 26/06/2013, n. 16038; Cass. 1/12/2014, n. 25419; Cass.12/1/2016, n. 287; Cass. 26/7/2024, n. 20870).
La corte territoriale ha liquidato le spese del giudizio d’appello, facendo applicazione del principio della soccombenza, non ha modificato il capo della sentenza di primo grado relativo alla liquidazione delle spese di lite, perciò le censure del ricorrente risultano incomprensibili.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore dei controricorrenti, seguono la soccombenza.
Considerato che la trattazione del ricorso è stata chiesta ai sensi dell’art. 380bis , 2° comma, cod.proc.civ. a seguito di proposta di inammissibilità del Consigliere delegato, la Corte, avendo definito il giudizio in conformità della proposta, applica l’art. 96, 3° e 4° comma, cod.proc.civ. come previsto dall’art. 380 bis , ult. comma, cod.proc.civ.
Il ricorrente va pertanto condannato al pagamento di somma, liquidata in dispositivo ex art. 96, 3° co., c.p.c. in favore dei controricorrenti; e al pagamento di somma, liquidata in dispositivo ex art. 96, 4° co., c.p.c., in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti: delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 7.200,00, di cui euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge; di euro 7.000,00 ex art. 96, 3° comma, cod.proc.civ. Condanna il ricorrente al pagamento di euro 1.000,00 ex art. 96, 4° co., c.p.c., in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 18 dicembre 2024 dalla