Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27686 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 27686 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 28571-2022 proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 296/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 24/05/2022 R.G.N. 1384/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/09/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
Risarcimento
del danno
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 18/09/2025
CC
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, ha confermato la decisione di prime cure che aveva respinto le domande proposte da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, società per la quale aveva prestato attività lavorativa in regime di somministrazione, volte a sentir accertare ‘di essere stato vittima di mobbing/straining e comunque di comportamenti vessatori’, con richiesta di condanna della società convenuta ‘al risarcimento dei danni patrimoniali nella misura di € 20.00 0,00 e non patrimoniali da determinarsi in via equitativa ex art. 1226 c.c.’.
La Corte territoriale, in sintesi, ha ritenuto che ‘le censure nei confronti della pronuncia di primo grado, svolte da parte appellante, non colgano nel segno, poiché esse non scalfiscono il nucleo essenziale della ratio decidendi , rappresentato dall’inidoneità delle allegazioni in fatto contenute nel ricorso introduttivo del giudizio a giustificare le pretese risarcitorie azionate’.
Ha premesso che, a fondamento delle domande, il COGNOME aveva allegato i seguenti fatti: ‘la mancata assunzione alle dipendenze della società appellata con contratto di lavoro a tempo indeterminato, nonostante assicurazioni in tal senso; due lettere di richiamo in data 3 agosto 2018 e 27 settembre 2018; due colloqui con i responsabili aziendali, rispettivamente in data 1° ottobre 2018 e 29 ottobre 2018, aventi il contenuto riportato nelle trascrizioni allegate in atti’.
La Corte ha quindi esaminato partitamente i fatti addotti, giungendo alla conclusione che: ‘NOME non ha allegato (ancor prima che provato) circostanze di fatto idonee a
dimostrare che RAGIONE_SOCIALE si sia resa responsabile di condotte di mobbing o straining a suo danno, né di condotte inadempienti o illecite comunque rilevanti sotto il profilo della responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c. o extracontrattuale ex art. 2043 c.c.’.
Per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso il soccombente con quattro motivi; ha resistito l’intimata società con controricorso.
Entrambe le parti hanno comunicato memorie.
All’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso possono essere esposti secondo la sintesi offerta da parte ricorrente:
1.1. il primo denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 420 cpc. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. La Corte di Appello di Milano non ha ritenuto di censurare la violazione dell’art. 420 cpc da parte del Tribunale di Milano, in primo grado, quando pur richiesto in più fasi dal ricorrente, non ha permesso la produzione dei files audio delle trascrizioni’;
1.2. il secondo motivo denuncia: ‘Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c. La Corte di Appello di Milano ha omesso di esaminare correttamente il contenuto delle accuse e degli insulti rivolti al ricorrente. La Corte non ha sentito gli audio e ha evidentemente letto male o con molta superficialità le trascrizioni’;
1.3. il terzo motivo denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione della normativa su mobbing-straining e delle norme di cui all’art.
2087 c.c. e 2043 cc, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. La Corte di Appello di Milano non ha censurato l’omessa valutazione del quadro d’insieme dei fatti e avvenimenti che hanno concretizzato mobbing, straining o, comunque, violazione dell’art. 2087 e 2043 del codice civile, a danno del lavoratore Sig. COGNOME NOME;
1.4. il quarto motivo denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 cpc in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. La Corte di Appello di Milano ha omesso di valutare la violazione dell’art 116 cpc del Tribunale di Milano, quando ha ritenuto irrilevante la mancata costituzione nei due gradi del giudizio del datore di lavoro’.
Il ricorso, per come sono formulati i mezzi di gravame, è inammissibile.
2.1. Il primo motivo è inammissibile in quanto non si confronta adeguatamente con la ratio decidendi espressa sul punto dalla Corte territoriale che ha ritenuto, anche in secondo grado, ‘superflua l’acquisizione dei file audio dei colloqui’ poiché dalle trascrizioni prodotte dalla stessa parte attrice ‘non emerge prova di condotte aziendali vessatorie o lesive della dignità e della personalità morale del lavoratore’.
Valutazione di ‘superfluità’ dell’audizione dei file che implica valutazioni del materiale probatorio che non sono suscettibili di sindacato innanzi a questa Corte di legittimità.
2.2. Il secondo motivo è inammissibile poiché si deduce il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza che vengano indicate le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della
sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v., tra molte altre, Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019).
2.3. Parimenti inammissibile è il terzo motivo, con cui si denuncia solo formalmente il vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c.
Come noto, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi della disposizione evocata, ricorre o non ricorre per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata ‘male’ applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (tra le molteplici, Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007); sicché il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata perché è quella che è stata operata dai giudici del merito; al contrario, laddove si critichi la ricostruzione della vicenda storica quale risultante dalla sentenza impugnata, si è fuori dall’ambito di operatività dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., e la censura è attratta inevitabilmente nei confini del sindacabile esclusivamente ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella formulazione tempo per tempo vigente, vizio che appunto postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti.
Nella specie parte ricorrente, lungi dall’individuare l’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, lamenta esplicitamente ‘l’omessa valutazione del quadro d’insieme dei fatti e avvenimenti’, proponendo una diversa se non opposta -valutazione di quei fatti e avvenimenti; tuttavia, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo
delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma, quindi al vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (v. Cass. n. 35922 del 2023; Cass. n. 3340 del 2019; Cass. n. 640 del 2019; Cass. n. 10320 del 2018; Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016).
2.4. Anche il quarto motivo è inammissibile perché denuncia impropriamente la violazione dell’art. 116 c.p.c.
Come ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), la violazione dell’art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati da questa Corte fin da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014.
Esula del tutto dal perimetro applicativo della disposizione richiamata la circostanza che il giudice territoriale non abbia dato peso alla mancata costituzione in primo grado della società convenuta, peraltro in conformità ad una indiscussa giurisprudenza che attribuisce alla contumacia la natura di ‘comportamento neutrale’ (in termini Cass. n. n. 24885 del
2014), al quale non può riconnettersi neanche la mancata contestazione dei fatti allegati dall’attore (tra molte, Cass. n. 14372 del 2023).
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel suo complesso, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.000,00, oltre euro 200 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 18 settembre 2025.
La Presidente AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME