Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13485 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13485 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6925/2019 R.G. proposto da : COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO GENOVA n. 335/2018 depositata il 26/02/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ed NOME COGNOME proponevano appello avverso la sentenza del Tribunale di La Spezia che, in accoglimento della domanda proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME, aveva accertato la violazione delle distanze, condannando i convenuti all’arretramento del loro manufatto, oltre al risarcimento dei danni, ed aveva dichiarato inammissibili le domande riconvenzionali.
L’adita Corte d’Appello di Genova rigettava il gravame, con sentenza n. 335 del 26 febbraio 2018.
In particolare, secondo la Corte territoriale, nessun consenso da parte dei vicini alla deroga alle distanze di legge avrebbe assistito l’ampliamento dell’originaria costruzione, né il suddetto consenso avrebbe potuto ricavarsi dalle tavole progettuali. L’aumento di volumetria non sarebbe stato conseguente all’esercizio di un legittimo diritto condominiale, ma sarebbe stato funzionale al miglior sfruttamento dell’immobile degli appellanti e corrispondente al loro esclusivo interesse.
NOME COGNOME ed NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
Con memoria ex art. 378 c.p.c. depositata in prossimità dell’udienza, i ricorrenti hanno insistito nelle loro richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Mediante il primo motivo, sviluppato ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli
artt. 949, 1031 e 2697 c.c. Affermano di aver prodotto ben due autorizzazioni scritte alla costruzione in ampliamento da parte del COGNOME. L’interpretazione datane dalla Corte d’appello, sulla scorta della CTU -che aveva rilevato una discrepanza fra la rappresentazione grafica dell’ampliamento sottoscritta e quella successivamente realizzata – avrebbe in realtà riguardato una parte estranea alla disciplina in tema di distanze.
Il secondo motivo assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 907, 1102, 1120 1168 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché il difetto di motivazione ed omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
La sentenza impugnata avrebbe omesso di accertare se la costruzione realizzata dai ricorrenti alterasse o no la destinazione della cosa comune, impedendo agli altri condomini di fare un analogo uso secondo il loro diritto.
Mediante la terza lagnanza, il COGNOME e la COGNOME denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 872, 873, 879, 1061, 1141, 1158, 2697 e 2043 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché difetto di motivazione ed omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c . Affermano che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto la semplice presentazione di un progetto come corrispondente all’effettiva e concreta realizzazione dell’opera, così da far decorrere il termine a quo per la prescrizione acquisitiva a favore delle controparti.
L’ultimo mezzo d’impugnazione sottolinea l’omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c ., nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 872, 873 e 950 c.c. e 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.
La Corte d’appello avrebbe ignorato un plateale sconfinamento del manufatto attoreo, ignorato dal CTU, nonostante le sollecitazioni del perito di parte.
Osserva la Corte che i quattro motivi possono essere scrutinati congiuntamente e risultano, nel complesso e singolarmente considerati, inammissibili.
5.1. Invero, nei punti in cui viene richiamato il vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., le doglianze non si confrontano con la motivazione offerta dalla Corte d’appello. In altri termini, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Sez. U., n. 23745 del 28 ottobre 2020; Sez. 5, n. 18998 del 6 luglio 2021).
5.2. Quanto alle dedotte plurime violazioni dell’art. 360 n. 5 c.p.c., ricorre nella specie l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 360 comma 4° c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. La relativa declaratoria è imposta non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Sez. 2, n. 7724 del 9 marzo 2022; Sez. 6-3, n. 15777 del 17 maggio 2022; Sez. L, n. 24395 del 3 novembre 2020).
5.3. In ogni caso, la riforma dell’art. 360 n. 5 c.p.c. ha introdotto un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 2, n. 27415 del 29 ottobre 2018).
5.4. E, d’altronde, proprio in coerenza con la riforma del predetto art. 360 n. 5 c.p.c., alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, il sindacato di legittimità sulla motivazione deve ritenersi limitato al “minimo costituzionale”. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del
semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. 1, n. 7090 del 3 marzo 2022).
5.5. Orbene, la motivazione della Corte d’appello appare plausibile ed immune da vizi logici nella concatenazione e nella valutazione degli elementi istruttori.
I ricorrenti, lungi dall’indicare i requisiti del fatto storico come sopra delineati, denunciano in realtà una pluralità di circostanze, sicché le doglianze si risolvono in una critica alla ricostruzione dei fatti da parte dei giudici di merito.
5.6. E’ dunque opportuno ricordare in proposito che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
5.7. Per il resto, va ribadito che l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi, come anche il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere
ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016).
In altri termini, la differente lettura delle risultanze istruttorie proposta dai ricorrenti non tiene conto del principio per il quale la doglianza non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U, n. 24148 del 25 ottobre 2013).
5.8. È, in conclusione, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese di lite, come liquidate in dispositivo.
Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione civile, dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna NOME COGNOME ed NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali a favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 3.000 (tremila) per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002, se dovuto.
Così deciso in Roma il 13 marzo 2024, nella camera di consiglio