Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5609 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5609 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
Oggetto
Responsabilità civile generale ─ Diffamazione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7040/2023 R.G. proposto da Comune di Poggio Renatico, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL;
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c.: EMAILpec.EMAIL);
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna, n. 124/2023, depositata in data 19 gennaio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
in accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME la Corte d’appello di Bologna, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di risarcimento nei suoi confronti proposta dal Comune di Poggio Renatico per i danni ad esso cagionati da espressioni diffamatorie rese ai danni dell’amministrazione comunale e della persona del sindaco, accusati di arricchimento indebito e appropriazione indebita di soldi pubblici: espressioni riportate in articoli di stampa e contenute in volantini diffusi nel territorio comunale;
ha infatti ritenuto che non vi fosse prova che tali espressioni fossero state proferite dal COGNOME e che le dichiarazioni riferite alla persona del sindaco non legittimassero l’azione del Comune;
avverso tale sentenza il Comune propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste NOME COGNOME depositando controricorso;
la trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380bis.1 cod. proc. civ.;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero; entrambe le parti hanno depositato memorie;
considerato che:
come fondatamente eccepito dal ricorrente nella propria memoria, il controricorso è inammissibile ─ e di conseguenza lo è anche la successiva memoria ─ in quanto depositato in data 24 maggio 2023, al di là del termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso (nella specie effettuata in data 30 marzo 2023), a nulla rilevando che entro tale termine il controricorso sia stato invece notificato alla controparte, trovando nella specie applicazione, ratione temporis , il nuovo testo dell’art. 370 cod. proc. civ. , il quale non prevede più la notifica del controricorso, ma soltanto il suo deposito entro quaranta giorni dalla notificazione del ricorso (v. Cass. Sez. U. n. 7170 del 18/03/2024,
Rv. 670582);
il ricorrente, con il primo motivo di ricorso, deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 24 della Costituzione, 2043 e 2059 cod. civ., 75 e 115 cod. proc. civ., nonché la nullità della sentenza o del procedimento e l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio;
lamenta, anzitutto, che la Corte d’appello abbia erroneamente ritenuto che il Comune non avesse legittimazione attiva per il risarcimento del danno conseguente alle frasi ingiuriose e diffamatorie attribuite a NOME COGNOME e rivolte al sindaco, rilevando che, secondo il principio di “immedesimazione organica”, il sindaco, quando opera per il Comune, rappresenta l’ente stesso e, quindi, il Comune ha piena legittimazione processuale attiva per tutelare un proprio diritto;
rileva che, peraltro, sul punto la Corte di merito ha reso una motivazione solo apparente, in quanto apodittica e acriticamente adesiva a quanto eccepito dall’appellante;
lamenta anche l’omesso esame di documenti asseritamente decisivi;
con il secondo motivo il Comune denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2719 cod. civ., 115 cod. proc. civ., 3 e 5 legge 8 febbraio 1948, n. 47, e 41 cod. civ., nonché la nullità della sentenza o del procedimento per travisamento della prova;
lamenta che la Corte d’appello abbia erroneamente affermato la mancanza di prova che le espressioni diffamatorie fossero state proferite proprio da NOME COGNOME rilevando che le copie fotostatiche degli articoli di giornale e dei volantini prodotti in giudizio, non essendo state disconosciute, hanno al riguardo piena efficacia probatoria; sostiene che la firma dei giornalisti sugli articoli costituisce prova idonea a dimostrare che le frasi diffamatorie furono proferite da COGNOME afferma che il COGNOME, quale componente del « Comitato spontaneo per l’abbassamento delle tariffe della raccolta rifiuti e per un miglior servizio », è responsabile, ai sensi dell’art. 41 c.c., per le
affermazioni diffamatorie rese nell’ambito delle attività e per gli scopi del comitato;
il primo motivo è inammissibile con riferimento a tutte le censure al suo interno dedotte;
in disparte l’eccentrico e non illustrato riferimento, in rubrica, agli artt. 24 Cost., 2043 e 2059 cod. civ., l’erronea negazione della titolarità in capo all’ente comunale della azionata pretesa risarcitoria, in quanto riferita alle espressioni ingiuriose riferite alla persona del sindaco, è dedotta in ricorso sul presupposto che si trattasse di affermazioni diffamatorie rivolte al sindaco « in relazione ad attività istituzionale svolta dal medesimo »;
tale presupposto non trova però riscontro nell’accertamento di fatto contenuto in sentenza, nella quale piuttosto (v. pagg. 3-4) le espressioni escluse da quelle riferibili all’amministrazione comunale sono descritte genericamente come allusive al fatto che il sindaco si fosse comportato come un “dittatore” e un “bulletto” e fosse stato “beccato con le mani nella marmellata”, senza dunque alcun riferimento concreto che consenta di individuare ad oggetto dei comportamenti in tal modo offensivamente etichettati lo svolgimento di attività istituzionale;
in tale contesto la censura in esame, lungi dall’individuare l’affermazione in diritto dalla quale dovrebbe e vincersi l’erronea obliterazione del principio di immedesimazione organica, si risolve nella sollecitazione di una rivalutazione del materiale istruttorio al fine di pervenire ad una diversa ricognizione della fattispecie concreta, compito, questo, estraneo alle attribuzioni della Corte di legittimità;
analoghe considerazioni valgono a palesare l’inammissibilità della contestuale censura di motivazione apparente, in quanto effettuata con mera acritica adesione alle tesi dell’appellante;
la censura è generica e non si confronta con la motivazione sul punto addotta in sentenza, che, come visto, lungi dal limitarsi a dar
ragione alle tesi dell’appellante, evidenzia la ragione fattuale della esclusa legittimazione sostanziale in capo al Comune, rappresentata dall’essere le dette espressioni volte a stigmatizzare profili soggettivi dell’agire del sindaco riferibili alla sua persona e non allo svolgimento dei compiti istituzionali;
né il giudice d’appello è tenuto a confutare una per una le argomentazioni difensive quand’anche in precedenza avallate dal giudice di primo grado, essendo sufficiente che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata;
il vizio di omesso esame è poi dedotto con riferimento a tre espressioni o gruppi di esse contenuti in volantini e in un articolo di stampa (v. ricorso, pagg. 10-11) dei quali non è illustrata in alcun modo la decisività, dal momento che non ne viene indicato chi ne fosse l’autore, così non potendosi nemmeno escludere che anche ad essi si riferisca la sentenza là dove ha escluso la fondatezza della pretesa risarcitoria dell’ente per mancanza di prova che autore ne fosse il Navarra;
una di tali affermazioni, quella riportata in un articolo pubblicato dal Resto del Carlino del 26 giugno 2016, è peraltro espressamente considerata in sentenza e ivi valutata come non riferibile al Navarra;
il secondo motivo è parimenti inammissibile con riferimento a tutte le censure al suo interno articolate;
da nessuna parte della sentenza si ricava che la mancanza di prova circa la riconducibilità al Navarra delle espressioni ingiuriose sia stata ritenuta a motivo della negata efficacia probatoria delle copie prodotte o della non attendibilità dei giornalisti autori degli articoli di stampa: essa è stata piuttosto affermata all’esito di una valutazione del
contenuto di quegli articoli;
eccentrica e incomprensibile, dunque, si appalesa la deduzione della violazione dell’art. 2719 cod. civ., così come quella della violazione degli artt. 3 e 5 legge 8 febbraio 1948, n. 47;
altrettanto generica e meramente affermata è la denuncia del vizio di travisamento di prova, rimasta priva di alcuna specifica argomentazione;
l a violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. è dedotta al di fuori dei paradigmi al riguardo dettati dalla giurisprudenza di questa Corte ;
la censura, infine, riferita alla mancata applicazione dell’art. 41 cod. civ. (circa la responsabilità solidale dei componenti di un comitato)
introduce un tema, implicante anche accertamenti fattuali, che non risulta trattato nel giudizio di merito;
va al riguardo rammentato che, secondo pacifico indirizzo, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (tra le tante, Cass. n. 15430/2018); difatti, il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicché sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità (tra le molte, Cass. n. 15196/2018);
la memoria che, come detto, è stata depositata dal ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis.1 , primo comma, cod. proc. civ., è volta unicamente ad eccepire (come visto, fondatamente) l’inammissibilità del controricorso e non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi;
il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile;
non v’è luogo a provvedere sulle spese, stante la rilevata inammissibilità del controricorso e, di conseguenza, anche della memoria depositata da NOME COGNOME;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228,
di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza