Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 520 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 520 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
sul ricorso 782/2021 proposto da:
NOME, domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
–
ricorrente –
contro
COMUNE DI COGNOME, domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di POTENZA n. 12/2020 depositata il 9/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/12/2023 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME ricorre a questa Corte onde sentir cassare, sulla base di due mezzi ai quali resiste il Comune di Tolve con controricorso, l’impugnata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Potenza, rigettandone il gravame, ha confermato la decisione di prima istanza con cui era stata accolta l’opposizione del Comune al decreto ingiuntivo fattogli notificare dal COGNOME ai fini di ottenere il pagamento del saldo ancora dovuto sui lavori di costruzione di un acquedotto rurale.
Riguardo al proposto ricorso il Consigliere delegato dal Presidente della Sezione ha formulato la seguente proposta di definizione accelerata del giudizio ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ.:
«Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. con riferimento alla statuizione della Corte lucana che ha escluso che la deliberazione di Giunta municipale n.274 del 24.10.1988 avesse condizionato il pagamento del credito dell’appaltatore riferito al 3° SAL all’avvenuto accreditamento dell’importo necessario a farvi fronte da parte dell’Agenzia per la Promozione dello Sviluppo del Mezzogiorno. Ciò al fine di dimostrare la natura condizionata e quindi non esigibile del credito ai fini di posticipare il dies a quo di decorrenza della prescrizione.
Il motivo presenta plurimi profili di inammissibilità.
In primo luogo, la sentenza impugnata si regge su di un’altra autonoma e concorrente ratio decidendi , espressa a pagina 9, capoverso, non censurata specificamente secondo cui
quand’anche si fosse ritenuta condizionata sospensivamente la volontà espressa nella delibera di Giunta, questa non sarebbe stata opponibile all’appaltatore se non trasfusa in pattuizione di carattere contrattuale.
In secondo luogo, il motivo appare inammissibile perché la denunzia della violazione dei canoni legali in materia d’interpretazione del contratto (nel caso applicati all’atto unilaterale) non può costituire lo schermo, attraverso il quale sottoporre impropriamente al giudizio di legittimità valutazioni che appartengono in via esclusiva al giudizio di merito (Sez.2, n.30686 del 25.11.2019); non è quindi certamente sufficiente la mera enunciazione della pretesa violazione di legge, volta a rivendicare il risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, ma è necessario, per contro, individuare puntualmente e specificamente il canone ermeneutico violato, correlato al materiale probatorio acquisito.
L’opera dell’interprete mira a determinare una realtà storica ed obiettiva, ossia la volontà delle parti espressa nel contratto, e pertanto costituisce accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 cod.civ. e segg., oltre che per vizi di motivazione nella loro applicazione. Perciò, per far valere la violazione di legge, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali asseritamente violati; di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso, non è
idonea la mera critica del convincimento espresso nella sentenza impugnata mediante la mera contrapposizione d’una difforme interpretazione, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (ex multis, Sez. 3, n. 13603 del 21.5.2019; Sez. 3, n. 11254 del 10.5.2018; Sez. 1, n. 29111 del 5.12.2017; Sez. 3, n. 28319 del 28.11.2017; Sez. 1, n. 27136 del 15.11.2017; Sez. 2, n. 18587, del 29.10.2012; Sez. 63, n. 2988, del 7.2.2013).
Nel caso concreto il ricorrente propugna semplicemente una diversa lettura dell’atto e un diverso approdo interpretativo, senza enunciare e dimostrare la violazione di specifici canoni ermeneutici nel caso concreto e sulla base di una generica prospettazione, in difetto di elementi testuali che possano agganciare, con vincolo di subordinazione, la richiesta del finanziamento all’esigibilità del credito dell’appaltatore.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art.360, comma 1, n.5, c.p.c. omesso esame di fatto decisivo per il giudizio con riferimento alla nota del 5.11.1997 con cui il Comune aveva dato atto dell’esistenza di fondi capienti per il pagamento dei lavori in questione.
Anche questo motivo presenta plurimi profili di inammissibilità.
Il mezzo di ricorso per vizio motivazionale in questione deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo tale formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della
sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (Sez. un., 7.4.2014, n. 8053; Sez. un., 22.9.2014, n. 19881; Sez. un., 22.6.2017, n. 15486).
Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Il mezzo proposto ex art.360, comma 1, n.5, c.p.c. per vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti presuppone l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 395 del 2021; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015), sicché sono
inammissibili le censure che irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 4477 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).
Inoltre: i ) non costituiscono, ‘ fatti ‘, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti ( cfr . Cass., SU, n. 8053 del 2014); ii ) il ‘ fatto ‘ il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere ‘ decisivo ‘, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Tale decisività, in quanto correlata all’interesse all’impugnazione, si addice innanzitutto a quel fatto che, se scrutinato, avrebbe condotto il giudice ad una decisione favorevole al ricorrente, rimasto soccombente nel giudizio di merito. Poiché l’attributo si riferisce al ‘ fatto ‘ in sé, la ‘ decisività ‘ asserisce, inoltre, al nesso di causalità tra la circostanza non esaminata e la decisione: essa deve, cioè, apparire tale che, se presa in considerazione, avrebbe portato con certezza il giudice del merito ad una diversa ricostruzione della fattispecie (non bastando, invece, la prognosi che il fatto non esaminato avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione diversa: si vedano già Cass. n. 22979 del 2004; Cass. n. 3668 del 2013; la prognosi in termini di ‘ certezza ‘ della decisione diversa è richiesta, ad esempio, da Cass., SU, n. 3670 del 2015); iii ) lo stesso deve essere stato ‘ oggetto di discussione tra le parti ‘: deve trattarsi, quindi, necessariamente di un fatto ‘ controverso ‘, contestato, non dato per pacifico tra le parti; iv ) la
parte ricorrente deve indicare -nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ. e 369, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti ( cfr . Cass., SU, n. 8053 del 2014).
Nella specie il fatto in questione è stato considerato dalla Corte territoriale che vi ha fatto riferimento alle pagine 3, 7 e 8 e soprattutto, lungi dall’essere decisivo è addirittura irrilevante, visto che la Corte ha escluso che il credito del COGNOME fosse assoggettato a condizione dell’afflusso del finanziamento da parte dell’Agenzia per la Promozione dello Sviluppo del Mezzogiorno.
Il credito è stato ritenuto prescritto sol perché il COGNOME ha tardato ad agire per il pagamento e il credito era esigibile, senza che assumesse alcun rilievo la disponibilità o meno di fondi da parte del Comune».
La proposta è stata ritualmente comunicata alle parti e la parte ricorrente, a mezzo del suo difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione.
E’ stata, quindi, fissata l’odierna adunanza in camera di consiglio.
Ha depositato memoria la parte ricorrente.
All’esito dell’odierna trattazione in camera di consiglio il collegio reputa di dover definire il giudizio in conformità alla riportata proposta. In particolare osserva il collegio che la memoria ex art. 378 cod. proc. civ. non può integrare i motivi del ricorso per cassazione, poiché assolve all’esclusiva funzione di chiarire ed illustrare i motivi di impugnazione che siano già stati ritualmente cioè in maniera completa, compiuta e definitiva – enunciati nell’atto
introduttivo del giudizio di legittimità, con il quale si esaurisce il relativo diritto di impugnazione (Cass., Sez. II, 30/03/2023, n. 8949).
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Poiché il giudizio è stato definito in conformità alla proposta formulata si applica a mente dell’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. l’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte soccombente al pagamento: (a) di una somma equitativamente determinata a favore della controparte; (b) di un’ulteriore somma di denaro, stabilita nel rispetto dei limiti di legge, in favore della Cassa delle Ammende, somme che si liquidano come in dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio che liquida in euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge, nonché dell’ulteriore somma di euro 2.500,00, a norma dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ.; condanna, inoltre, parte ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di euro 2.500,00 Euro, a norma dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il