Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17093 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17093 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11637/2023 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME unitamente all’avvocato COGNOME domiciliati ex lege all’indirizzo Pec in atti.
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ricorrenti – contro
COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME e COGNOME, domiciliata ex lege all’indirizzo Pec in atti.
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contro
ricorrente –
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di MONZA n. 266/2022 depositata il 03/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/03/2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME e COGNOME NOME propongono ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza del Tribunale di Monza n. 266 del 3 febbraio 2022, che aveva accolto l’azione revocatoria proposta nei loro confronti da NOME COGNOME e rispetto alla quale, con sentenza n. 898/2023, la Corte d’Appello di Milano dichiarava inammissibile l’appello ai sensi degli artt. 348bis e 348ter cod. proc. civ.
Resiste con controricorso NOME COGNOME
E’ stata formulava proposta di definizione accelerata del ricorso; il difensore dei ricorrenti, munito di procura speciale, ha richiesto l’emissione della d ecisione.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Le parti hanno depositato rispettiva memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunziano ‘Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sull’eccezione di nullità del ricorso ex art. 702 bis c.p.c. per vizi dell’ editio actionis , svolta dai ricorrenti in primo e secondo grado, nonché per violazione del principio del contraddittorio in quanto emessa sulla base di deduzioni tardivamente dedotte e, in generale, per violazione dell’art. 111 cost.’.
Lamentano che il giudice di merito avrebbe dovuto dichiarare il ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ., introduttivo del primo grado di giudizio, nullo per vizi attinenti all’ editio actionis , affetta da ‘vaghezza ricostruttiva’ nella ricostruzione del fatto e nella
deduzione della prova.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Va anzitutto osservato che il vizio di omessa pronuncia viene infatti dedotto in maniera non conforme al consolidato orientamento di questa Suprema Corte secondo cui ‘il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale non può dar luogo a vizio di omessa pronunzia, il quale attiene al mancato esame delle sole domande di merito’ (v. Cass., 10/11/2015, n. 22925).
Il vizio di omessa pronuncia è pertanto invocabile solo ‘quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo della domanda di merito, intendendosi per capo della domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca all’attore o al convenuto in genere ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto’ (Cass., n. 28308/2017; Cass., n. 20718/2018).
1.2. Il motivo è altresì inammissibile in quanto risulta basato su argomentazioni meramente assertive e generiche, in violazione dell’art. 366, n. 3 e n. 6, cod. proc. civ.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, ma anzi chiaro e sintetico, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza
impugnata (v. Cass., Sez. Un., n. 2602 del 2003; ed ancora da ultimo, ex multis , Cass., 08/08/2023, n. 24149; Cass., 03/11/2021, n. 31318; Cass., 19/10/2021, n. 28929; Cass., 08/08/2023, n. 24149); inoltre, i documenti e gli atti, ivi compresi quelli processuali, ai quali si fa riferimento, devono essere localizzati in riferimento al precedente contesto processuale e vanno riprodotti nel contenuto, che si afferma essere decisivo, se non in via diretta, perlomeno in via indiretta.
1.2.1. Occorre ribadire (v. già Cass., 12/1/2024, n. 1352) che la prescrizione di cui all’art. 366, cod. proc. civ., qui considerato ai numeri 3 e 6, risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., Sez. Un., 20/02/2003, n. 2602).
La legittimità di tale requisito di accesso al giudizio di legittimità non può essere messa in dubbio in relazione al diritto di difesa delle parti, o a quello al giusto processo, tutelati dagli artt. 24 e 111 Cost., ovvero dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali. Sotto questo profilo, in particolare, giova ribadire che il requisito di contenuto-forma in questione è imposto in modo chiaro e prevedibile, non è eccessivo per il ricorrente e risulta funzionale al ruolo nomofilattico della Suprema Corte e segnatamente all’esigenza di «consentire alla Corte di cassazione di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde , gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti» (Cass. Sez. U. 10/09/2019, n. 22575; Id. 16/05/2013, n. 11826).
Mette conto, altresì, ancora una volta rammentare che la
Corte europea dei Diritti dell’Uomo, con la sua sentenza 15 settembre 2016, in causa RAGIONE_SOCIALE c/ Italia (i cui principi sono stati ribaditi nella recente sentenza, depositata il 31 marzo 2021, nel caso Oorzhak c. Russia), ha riaffermato -perfino riconoscendo l’astratta ammissibilità del pure abrogato sistema del c.d. «filtro a quesiti» per l’accesso in cassazione -il basilare principio della piena legittimità di un sistema anche rigoroso di requisiti formali per l’accesso al giudizio di legittimità e per la redazione dei ricorsi introduttivi: il quale non solo non viola l’art. 6 CEDU, ma anzi è funzionale alla tutela del ruolo nomofilattico della Corte di legittimità e quindi al conseguimento dei valori fondamentali, benché non espressamente codificati nella Convenzione, della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia; solo dovendo la compresente esigenza di tutela del diritto del singolo trovare un contemperamento, così che ogni soluzione possa superare il consueto vaglio di proporzionalità tra fine perseguito e mezzi impiegati (così, in motivazione, Cass. n. 26936 del 2016).
1.2.2. A tale contesto ermeneutico di riferimento non apporta significative novità la pronuncia della Corte Edu 28/10/2021, RAGIONE_SOCIALE: questa richiama anzi espressamente, confermandone i principi, tra le altre, la propria sentenza 15/09/2016, RAGIONE_SOCIALE
Essa ha bensì riscontrato la violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione con riferimento ad uno dei tre casi al suo esame (nel quale venivano in rilievo i diversi requisiti di ammissibilità di cui ai nn. 4 e 6 dell’art. 366 cod. proc. civ.), ma ciò ha fatto considerando, all’esito di un esame in punto di fatto degli atti ivi considerati, non certo che quei requisiti rispondessero di per sé e in astratto ad inammissibile formalismo fine a sé stesso, ma che nel caso in esame, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di cassazione, fossero stati in realtà rispettati (e, peraltro, lo si
nota sommessamente, vi sarebbe da interrogarsi sul se la censura effettuata dalla CEDU non fosse in realtà prospettabile con il rimedio interno dell’art. 391 -bis cod. proc. civ.). Quel che dunque è stata in quella sede censurata è la concreta applicazione delle formalità previste dall’ordinamento nazionale, che occorre osservare all’atto della proposizione del ricorso, in quanto nel caso esaminato ritenuta (l’applicazione, non le formalità) in contrasto con il diritto di accesso ad un tribunale perché di fatto ispirata ad eccessivo formalismo e tale, dunque, da impedire il pur possibile esame nel merito del ricorso proposto dall’interessato.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano ‘Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 4: violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2901 c.c. per insussistenza delle condizioni previste error in iudicando – omessa, errata e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia’.
Lamentano che il giudice di merito ha omesso di rilevare l’assenza, nel caso di specie, di tutti i presupposti previsti dall’art. 2901 cod. civ. per l’esercizio dell’azione revocatoria.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Sotto la formale invocazione della violazione di legge e l’evocazione, peraltro del tutto assertiva e generica, dell’ error in iudicando , i ricorrenti invero sostanzialmente sollecitano una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti e apprezzamenti di fatto, insindacabili in sede di legittimità ove, come nella specie, sorretti da congrua motivazione, atteso il fermo principio posto da questa Suprema Corte, secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei
medesimi (cfr., tra le tante, Cass., n. 34398/2022; Cass., 14/3/2006, n. 5443).
Dalla inammissibilità di entrambi i motivi discende l’ inammissibilità del ricorso.
Va ulteriormente sottolineato che non assume al riguardo rilievo l’evocazione, da parte dei ricorrenti, dell’incidenza delle statuizioni di altra successiva sentenza emessa inter partes , evocazione che viene svolta in maniera generica ed assertiva, e senza che sia stata nemmeno prodotta -irrilevanti essendo le giustificazioni svolte al riguardo- l ‘ attestazione di passaggio in giudicato di cui all’art. 124 disp. att. cod. proc. civ. (sulla cui necessità, v. Cass., 29/11/2017, n. 28515; Cass., n. 11889/2007).
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
I ricorrenti vanno altresì condannati al pagamento di somme, liquidate come in dispositivo, ai sensi dell’art. 96, comma terzo e quarto, cod. proc. civ., ricorrendone i rispettivi presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al solidale pagamento, in favore della controricorrente: delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 4.200,00, di cui euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di euro 4.000,00 ex art. 96, comma terzo, cod. proc. civ. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà
atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza