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Ricorso in Cassazione: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di due ex amministratori contro il decreto di un Tribunale fallimentare. Quest’ultimo aveva confermato l’autorizzazione al curatore a intraprendere un’azione di responsabilità nei loro confronti. Il principio chiave è che un provvedimento meramente ordinatorio, i cui effetti si esauriscono all’interno della procedura, non può essere oggetto di ricorso in Cassazione per violazione di legge, anche se include una condanna al pagamento delle spese legali.

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Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Ricorso in Cassazione: Inammissibile se l’Atto Impugnato ha Natura Ordinatoria

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione I Civile, n. 25931 del 2 ottobre 2024, offre un importante chiarimento sui limiti di ammissibilità del Ricorso in Cassazione ai sensi dell’art. 111 della Costituzione. La Corte ha ribadito un principio consolidato: i provvedimenti che hanno natura meramente ordinatoria, e non decisoria, non sono impugnabili in Cassazione, anche qualora contengano una statuizione sulle spese di lite. Questa decisione è cruciale per comprendere la differenza tra atti che gestiscono la procedura e atti che decidono sui diritti.

I fatti del caso: l’autorizzazione all’azione di responsabilità

Il caso nasce nell’ambito di una procedura fallimentare a carico di una società per azioni in liquidazione. Il giudice delegato aveva autorizzato il curatore a promuovere un’azione di responsabilità contro due ex amministratori. Questi ultimi avevano proposto reclamo al Tribunale, sostenendo l’illegittimità del provvedimento. Il Tribunale, tuttavia, dichiarava il reclamo tardivo e condannava i reclamanti al pagamento delle spese processuali in solido con altri soggetti.

La decisione del Tribunale e il Ricorso in Cassazione

Contro il decreto del Tribunale, gli ex amministratori hanno proposto un ricorso straordinario in Cassazione. Essi sostenevano che il decreto avesse natura decisoria, in quanto li condannava al pagamento delle spese, e che quindi incidesse sui loro diritti soggettivi. Inoltre, lamentavano vizi procedurali legati alla mancata comunicazione del decreto autorizzativo originario, che a loro avviso avrebbe giustificato un termine più lungo per il reclamo. La questione centrale posta alla Corte era, quindi, se un decreto emesso in sede di reclamo avverso un’autorizzazione del giudice delegato fosse o meno un provvedimento impugnabile in Cassazione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione: la distinzione tra provvedimenti decisori e ordinatori

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fondando la sua decisione sulla distinzione fondamentale tra provvedimenti con natura decisoria e quelli con natura ordinatoria.

Il principio di inammissibilità del ricorso

La Corte ha spiegato che l’autorizzazione del giudice delegato a promuovere un’azione (in questo caso, di responsabilità) è un atto che rientra nei poteri di direzione e sorveglianza della procedura fallimentare. Non decide alcuna controversia su diritti soggettivi, ma si limita a consentire l’avvio di un giudizio separato. Di conseguenza, anche il decreto del Tribunale che decide sul reclamo contro tale autorizzazione mantiene la stessa natura ordinatoria. Tali provvedimenti esauriscono i loro effetti all’interno della procedura fallimentare e non sono dotati dei caratteri di decisorietà e definitività richiesti dall’art. 111 della Costituzione per poter accedere al giudizio di legittimità.

La condanna alle spese non salva il ricorso

Un punto cruciale affrontato dalla Corte riguarda la condanna alle spese. I ricorrenti avevano sostenuto che tale condanna conferisse al decreto una natura decisoria, rendendolo così appellabile. La Cassazione ha respinto categoricamente questa tesi. Citando una giurisprudenza consolidata, ha affermato che la statuizione sulle spese non modifica la natura del provvedimento principale. È possibile impugnare in Cassazione esclusivamente il capo della sentenza relativo alle spese, e solo per contestare la corretta applicazione del principio di soccombenza (chi perde paga). Nel caso di specie, i ricorrenti non avevano mosso una censura specifica contro la liquidazione delle spese, ma avevano usato la condanna come un pretesto per chiedere il riesame dell’intero provvedimento, una strategia che la Corte ha ritenuto errata.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della decisione

Questa ordinanza rafforza un importante principio di economia processuale e di corretta qualificazione degli atti giudiziari. Stabilisce chiaramente che non tutti i provvedimenti emessi da un giudice sono “sentenze” in senso sostanziale. Gli atti endoprocedimentali, che servono a governare l’iter di una procedura come quella fallimentare, non possono essere oggetto di un Ricorso in Cassazione. La decisione sottolinea che l’impugnazione in Cassazione è un rimedio straordinario riservato a provvedimenti che decidono in modo definitivo su diritti soggettivi. La sola presenza di una condanna alle spese non è sufficiente a trasformare un atto ordinatorio in uno decisorio, aprendo le porte a un controllo di legittimità che non gli compete.

È possibile presentare ricorso in Cassazione contro un decreto che autorizza il curatore fallimentare a promuovere un’azione di responsabilità?
No, secondo la Corte di Cassazione tale decreto ha natura ordinatoria e non decisoria. I suoi effetti si esauriscono all’interno della procedura fallimentare e non incide su diritti soggettivi in modo definitivo, pertanto non è impugnabile ai sensi dell’art. 111 della Costituzione.

Se il decreto impugnato contiene anche la condanna al pagamento delle spese legali, diventa interamente appellabile in Cassazione?
No. La presenza della condanna alle spese non rende l’intero provvedimento appellabile. È possibile impugnare in Cassazione solo il capo della pronuncia relativo alle spese, e unicamente per verificare la corretta applicazione del principio di soccombenza, non per contestare il merito della decisione principale.

Qual è la differenza tra un provvedimento con natura “decisoria” e uno con natura “ordinatoria” secondo la Corte?
Un provvedimento ha natura decisoria quando risolve una controversia incidendo su diritti soggettivi con carattere di definitività. Al contrario, un provvedimento ha natura ordinatoria quando si limita a regolare lo svolgimento del processo o della procedura, senza decidere la lite nel merito, e i suoi effetti sono interni al procedimento stesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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