Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27313 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27313 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 25849/2021 r.g. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, con sede legale in Berna (Svizzera), INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante AVV_NOTAIO NOME. NOME COGNOME, e RAGIONE_SOCIALE, con sede in Firenze, al INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante AVV_NOTAIO NOME COGNOME, entrambe rappresentate e difese, giusta procura speciale allegata al ricorso, dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME, con cui elettivamente domiciliano presso lo studio d i quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO.
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), con sede in Firenze, alla INDIRIZZO , in persona del l’amministratore delegato e legale rappresentante NOME COGNOME Grade, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, presso
i cui rispettivi indirizzi pec EMAIL e EMAIL elettivamente domicilia.
-controricorrente –
avverso la sentenza, n. cron. 1371/2021, della CORTE DI APPELLO DI FIRENZE, pubblicata in data 05/07/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 02/10/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
1. Con citazione ritualmente notificata, RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti anche solo RAGIONE_SOCIALE) e RAGIONE_SOCIALE (per il prosieguo, anche, breviter , RAGIONE_SOCIALE) citarono RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, anche solo RAGIONE_SOCIALE) innanzi al Tribunale di Firenze esponendo che: i ) COGNOME è titolare del marchio comunitario NUMERO_DOCUMENTO n. NUMERO_DOCUMENTO, depositato il 20 giugno 1996, e del marchio internazionale n. NUMERO_DOCUMENTO, registrato l’11 dicembre 1991, avente ad oggetto l’espressione ‘ COGNOME ‘ e corr ispondente ai prodotti della classe 16 ‘ libri, tabelle e altro materiale per l’esecuzione di test psicologici ed esami a fini diagnostici; materiale didattico introduttivo sulla metodologia dei test e degli esami sopra menzionati ‘; ii ) il marchio ‘ COGNOME ‘ viene impiegato da COGNOME al fine di identificare le Tavole utilizzate in ambito clinico nel test proiettivo noto come ‘ test delle macchie ‘ (ideato dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME e consistente nella sottoposizione al paziente di dieci figure costituite da forme astratte aventi l’aspetto di macchie e rappresentate su dieci tavole) e prodotte secondo l’originale tecnica di stampa e nel rispetto delle informazioni di proprietà esclusiva della stessa COGNOME; iii ) NOME COGNOME, amico di NOME COGNOME e fondatore di NOME NOME (oggi nota come COGNOME), era stato designato dagli eredi del AVV_NOTAIO COGNOME quale unico depositario della tecnica di stampa originale delle tavole ed unico soggetto legittimato a continuarne la produzione ed a preservare la tecnica elaborata da COGNOME; iv ) NOME
produce l’unico dispositivo clinico -scientifico adottato dalla comunità scientifica internazionale nell’ambito del test proiettivo elaborato da COGNOME, cd. ‘ COGNOME® Test -Psychodiagnostik plates ‘, consistente in un cofanetto cartonato dove al suo interno si trovano le dieci Tavole, stampate secondo la tecnica originaria e tramite l’utilizzo di una vecchia macchina per la stampa tipografica così da garantire il corretto funzionamento del test; v ) in Italia, fino al 2012, il distributore esclusivo del prodotto summenzionato era stata la società RAGIONE_SOCIALE così come da contratto sottoscritto nel 1995 con RAGIONE_SOCIALE. A seguito della risoluzione unilaterale del contratto da parte di RAGIONE_SOCIALE, poi, RAGIONE_SOCIALE era stata incaricata di distribuire il prodotto in via esclusiva in Italia; vi ) RAGIONE_SOCIALE aveva scoperto che RAGIONE_SOCIALE stava vendendo in Italia un cofanetto, denominato ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ contenente il set di Tavole necessarie per il test, e che lo stava pubblicizzando tramite lo slogan ‘ Le tavole originali di NOME ‘.
1.1. Avendo avuto esito negativo una precedente istanza cautelare con cui le attrici avevano domandato al medesimo tribunale di inibire alla società RAGIONE_SOCIALE l’uso del marchio ‘ COGNOME ‘ e la produzione delle tavole, le stesse, con la descritta citazione, chiesero accertarsi, in primo luogo, l’avvenuta contraffazione ed usurpazione del marchio ‘ COGNOME ‘ da parte di RAGIONE_SOCIALE, atteso che la convenuta aveva impiegato il termine ‘ COGNOME ‘ per denominare un prodotto, cioè il set di Tavole, identico a quello distribuito da NOME (se non per le differenze nella stampa descritte in atti) ed aveva definito il proprio prodotto come ‘ originale ‘ e d ‘ approved by RAGIONE_SOCIALE ‘ , così da ingenerare erroneamente nell’acquirente la convinzione di acquistare un prodotto ufficiale. Sostennero, poi, che la condotta della società RAGIONE_SOCIALE integrava tutte le tre ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598 cod. civ., spiegandone le ragioni, altresì rimarcando che detta società nemmeno aveva informato la clientela dell’avv enuta risoluzione del contratto con COGNOME.
1.2. Si costituì tempestivamente la RAGIONE_SOCIALE, contestando le avverse pretese e concludendo per il loro rigetto. In particolare, in merito alla presunta contraffazione dei marchi di proprietà di COGNOME, eccepì: i ) la caduta in pubblico dominio delle macchie di COGNOME, giacché il diritto d’autore, di cui godeva controparte, si era esaurito essendo trascorso il termine di settant’anni di cui all’art. 25 l. aut., oltre alle proroghe ex d.lgs. n. 440/1945 ed art. 3, All. XV, al Trattato di pace reso esecutivo con d.l.c.p.s. 1430/1947; ii ) la nullità, invalidità ed illegittimità del marchio patronimico, non avendo COGNOME ottenuto il consenso all’utilizzo del nome da parte del titolare dello stesso o dei suoi eredi ed essendo questo, comunque, privo di capacità distintiva giacché il termine ‘ COGNOME ‘ era da sempre utilizzato per identificare il test psicodiagnostico e perché era ormai considerato come sostantivo generico da parte dei dizionari; iii ) in subordine, la decadenza del marchio per volgarizzazione ex art. 13 c.p.i., atteso che il termine ‘ COGNOME ‘ veniva comunemente utilizzato per indicare l’omonimo test; iv ) la nullità del marchio per violazione di legge e mala fede, avendo COGNOME registrato il marchio (settant’anni dopo la morte del AVV_NOTAIO COGNOME ed a ridosso della scadenza dei diritti d’autore) al solo fine di impedire ai concorrenti di commercializzare le tavole; v ) la legittimità, ex art. 21 c.p.i., dell’utilizzo, da parte sua, del termine ‘ COGNOME ‘ in quanto impiegato al solo fine di indicare l’autore dell’opera; vi ) per quanto concerneva le tecniche di stampa, che la stessa COGNOME aveva nel tempo stampato macchie diverse fra di loro e che la presunta pericolosità annessa alla difformità delle macchie consisteva in una mera supposizione priva di fondatezza; vii ) in ordine agli addebiti inerenti alla concorrenza sleale, che il cofanetto da lei venduto presentava una serie di difformità (denominazione, packaging , layout della copertina, costo del cofanetto ed apposizione evidente del marchio ‘ RAGIONE_SOCIALE O.S. ‘), rispetto a quello di controparte, tali da evitare qualsiasi rischio di confusione. Inoltre, l’apposizione del termine ‘ originale ‘ e ‘ in esclusiva per l’Italia ‘ erano stati eliminati, da tempo, prima dell’instaurazione del giudizio. Rilevò, infine, che controparte aveva compiuto atti di concorrenza sleale ex
art. 2598, nn. 1, 2 e 3, cod. civ., ponendo in essere una pratica ingannevole e mendace ai danni degli acquirenti mediante l’attribuzione al proprio prodotto della qualifica di ‘ originale ‘, nonostante l’opera fosse di pubblico dominio, ed aveva svolto una campagna denigratoria nei suoi confronti diffondendo messaggi contenenti informazioni sulle tecniche di stampa non veritiere.
1.2. Acquisita documentazione, l’adito tribunale, con sentenza del 21 ottobre 2019, n. 3061, accertò e dichiarò la nullità dei marchi CTM n. 000276170, depositato in data 20 giugno 1996 e registrato il 30 giugno 1998, e dell’estensione italiana del marchio internazionale n. 580134, registrato in data 11 dicembre 1991 su priorità svizzera n. 388401 del 20 giugno 1991, entrambi aventi ad oggetto l’espressione verbale ‘ COGNOME ‘; rigettò le domande formulate da parte attrice nei confronti della convenuta e quelle di concorrenza sleale e di condanna per lite temeraria proposte da quest’ultima contro la prima; compensò per metà le spese di lite tra le parti e condannò le attrici, in solido tra loro, a rifondere alla convenuta la restante metà.
Il gravame promosso da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avverso questa decisione fu respinto dall’adita Corte di appello di Firenze con sentenza del 5 luglio 2021, n. 1371, pronunciata nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE).
2.1. Per quanto di residuo interesse in questa sede ed in estrema sintesi, quella corte: i ) innanzitutto, ritenne non condivisibile la tesi prospettata dalle attrici/appellanti, secondo cui l’asserita carenza di consenso degli eredi COGNOME alla registrazione del nome come marchio avrebbe potuto essere legittimamente eccepita solo dagli eredi stessi e non da terzi. Ciò in quanto « la ratio della norma non è solo quella di tutelare il titolare del nome noto (o i suoi eredi) contro la sua abusiva registrazione come marchio da parte di altri, ma anche quella di contrastare sfruttamenti parassitari della notorietà altrui, come tali non conformi alle regole di buon funzionamento del mercato, come già ritenuto dal Tribunale ». Ricordato che, ai sensi dell’art. 25 comma 1, lett. c) , c.p.i., il marchio è nullo ‘ se in contrasto con il disposto dell’art. 8 ‘,
la corte osservò che, « avverso questa parte della motivazione, le appellanti non hanno svolto specifiche censure, limitandosi a richiamare l’art. 122, comma secondo, CPI, il quale dispone che ‘l’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità di un marchio per la sussistenza diritti anteriori … oppure perché i l marchio costituisce violazione del diritto al nome ….oppure perché la registrazione del marchio è stata effettuata a nome di non avente diritto, può essere esercitata soltanto dal titolare dei diritti anteriori e dal suo avente causa o dall’avente diritto’. Secondo parte appellante, tale norma disciplina le cd. nullità relative del marchio, ossia quelle ipotesi in cui l’invalidità della registrazione viene a dipendere unicamente dal conflitto c on altre situazioni giuridiche soggettive preesistenti, nelle quali la legittimazione ad invocare la nullità spetterebbe esclusivamente al titolare del diritto preesistente. A parere della Corte, la disciplina in esame va interpretata alla luce del diritto comunitario e, in particolare, dell’art. 53 del Regolamento CTM n. 207/2009 (oggi sostituito dall’art. 60, comma 3, del nuovo Regolamento 1001/2017 del 14.6.17 di identico tenore), il quale, pur essendo intitolato ‘Motivi di nullità relativa’, prevede al terzo comma che ‘Il marchio comunitario non può essere dichiarato nullo se il titolare del diritto di cui ai paragrafi 1 o 2 dà espressamente il suo consenso alla registrazione di tale marchio prima della presentazione della domanda di nullità o della domanda riconvenzionale’; da tale norma si ricava, all’evidenza, in via di interpretazione logica, il principio che la domanda di nullità del marchio per conflitto con un diritto preesistente può essere esercitata anche da un soggetto diverso dal titolare di tale diritto »; ii ) considerò, poi, fondata la domanda di nullità di NOME considerando il dato testuale di una scrittura prodotta da COGNOME, in relazione alla quale ritenne condivisibile l’argomentazione del tribunale cui dalla stessa si evinceva solamente l’acquisizione, da parte di NOME (COGNOME), dei diritti sull’opera Psychodiagnostik e sulla produzione delle macchie, mentre non si riscontrava alcun esplicito consenso alla registrazione del nome come marchio; iii ) condivise la correlata argomentazione di parte appellata secondo cui la
protezione di queste opere dell’ingegno, in base all’art. 25 della legge sul diritto di autore, scadeva 70 anni dopo la morte dell’autore e dunque, anche considerando le proroghe cd. ‘ belliche ‘ per un periodo complessivo di circa 12 anni (stabilito, rispettivamente, dal d.lgt. n. 440/45 e dall’art. 3, All. XV, al Trattato di pace, reso esecutivo con d.l.c.p.s 28.11.47 n. 1430), essa era scaduta nel 2003, quindi poco dopo il deposito della domanda di registrazione del marchio comunitario COGNOME da parte di COGNOME; iv ) ritenne fondate, spiegandone esaustivamente le ragioni, sia la domanda di COGNOME di nullità del marchio azionato anche sotto l’ulteriore profilo di mancanza ab origine della capacità distintiva, che l’eccezione di avvenuta volgarizzazione del marchio medesimo, « dovendosi casomai integrare la sentenza appellata per non avere esplicitamente dichiarato, anche solo in motivazione, la decadenza del marchio per tale causa »; v ) giusta l’accertamento della nullità del marchio e della sua decadenza per volgarizzazione, considerò assorbito il motivo di gravame avente ad oggetto l’accertamento della contraffazione del marchio da parte di RAGIONE_SOCIALE; vi ) ribadì, infine, la inconfigurabilità della pretesa condotta anticoncorrenziale di RAGIONE_SOCIALE, anche a prescindere dall’uso eventualmente illecito del marchio de quo , e rimarcò che la affidabilità, o meno, del test prodotto da RAGIONE_SOCIALE doveva considerarsi valutabile soltanto nel contesto di un dibattito scientifico, « non competendo certo tale accertamento al giudice investito della domanda di concorrenza sleale, tanto più considerando che, come ritenuto nella sentenza appellata -la quale sul punto non è stata attinta da alcuna specifica censura -non esistono ‘macchie originali da cui effettuare la riproduzione, quanto piuttosto un compendio di informazioni che consentono una determinata tipologia di stampa’: infatti le uniche macchie originali erano quelle in origine ideate dall’autore NOME COGNOME, che, però, sono ormai diventate di dominio pubblico, il che significa che chiunque può liberamente riprodurre tali macchie; infatti, si può agevolmente constatare mediante una semplice ricerca sul web che tanto le macchie quanto il nome COGNOME vengono riprodotti dappertutto e da chiunque nella più indisturbata libertà e per qualsiasi finalità, sia in ambito scientifico che
commerciale . In altri termini, una volta accertato che essendo pacificamente ‘scaduto’ il termine per la tutela del diritto di autore, RAGIONE_SOCIALE aveva tutto il diritto di fare concorrenza a COGNOME realizzando la propria stampa delle macchie, ossia realizzando il proprio prodotto editoriale COGNOME test e che, come osservato dal primo giudice, ‘poco importa ai nostri fini se il risultato sia clinicamente utilizzabile o meno’, l’unico profilo che rimane da considerare ai fini della lamentata concorrenza sleale consiste nella asserita confondibilità del prodotto editoriale di RAGIONE_SOCIALE con quello già realizzato e commercializzato negli anni precedenti da COGNOME ».
Per la cassazione di questa sentenza hanno proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a quattro motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. Ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE).
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi del ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione del combinato disposto degli artt. 8 e 122 c.p.i. nonché dell’art. 53 del Reg. (CE) 207/2009, oggi art. 60 del Reg. (CE) 1001/2017 -Falsa applicazione dell’art. 53 del Reg. (CE) 207/2009, oggi art. 60 del Reg. (CE) 1001/2017 -Illegittima declaratoria di nullità del marchio ‘COGNOME‘ per carenza del consenso degli eredi alla registrazione ». Si contesta alla corte distrettuale di aver compiuto gravi errori nell’applicazione degli artt. 8 e 122 c.p.i., nonché applicando l’art. 53 del Regolamento CE n. 207/2009 (oggi art. 60, commi 2 e 3, del Regolamento CE n. 1001/2017) e concludendo, per l’effetto, per l’accertamento della nullità del marchio ‘ COGNOME ‘ per deposito dello stesso in presunta assenza di un valido consenso degli eredi di NOME. In particolare, si assume che la stessa: « i) ha applicato erroneamente l’art. 122 c.p.i. contravvenendo alla lettera della legge; ii) ha applicato, allo scopo di interpretare l’art. 122 c.p.i., l’art. 53 del Reg. (CE) 207/2009 oggi art. 60 del Regolamento (CE) 1001/2017, non applicabile ratione temporis al caso che ci occupa; iii) ha anche offerto della disposizione di cui sopra un’interpretazione non condivisibile in quanto fondata su
un’interpretazione di carattere logico ». Si deduce pure che « La Corte ha errato anche nell’applicare l’art. 8 c.p.i., nel momento in cui ha ritenuto di poter attribuire la qualifica di nome ‘notorio’ al ‘COGNOME senza che sia stata compiuta alcuna verifica del grado di notorietà del nome al momento del deposito della domanda di marchio, giungendo in tal modo ad una conclusione sprovvista di qualsivoglia riferimento concreto a fatti, documenti e circostanze temporali. Invece, tale indagine avrebbe dovuto essere compiuta in quanto, ove non ritenuta sussistente, la notorietà del nome al momento della registrazione avrebbe comportato l’applicazione dell’art. 8, comma 2, e non comma 3 »;
II) « Violazione ed errata applicazione del combinato disposto degli artt. 7 e 13 c.p.i. -Violazione dell’art. 115, comma 2, c.p.c.: illegittima declaratoria di nullità del marchio COGNOME per carenza di capacità distintiva ab origine ». Si assume che, considerando l’espressione COGNOME alla stregua di una denominazione comune del prodotto, priva di capacità distintiva ab origine , la corte d’appello non ha fatto corretta applicazione degli artt. 7 e 13 c.p.i., né delle regole elaborate dalla costante giurisprudenza;
III) « Violazione ed errata applicazione dell’art. 13, comma 4, c.p.i.: illegittimo accertamento della decadenza per volgarizzazione del marchio COGNOME». Si contesta alla corte distrettuale di avere ritenuto opportuno ‘integrare’ la sentenza del tribunale, dichiarando il marchio de quo decaduto per volgarizzazione. Si evidenzia, innanzitutto, che « questa ‘integrazione’ non ha ripercussioni sulla parte dispositiva, che conferma quella del Tribunale che recita ‘accertata e dichiarata la nullità dei seguenti marchi…’ e non è modificata: dunque, non è agevole comprendere in che misura l’integrazione della parte motiva possa sostenere la pronuncia di nullità o al contrario assurgere ad una pronuncia di decadenza per volgarizzazione, che però non trova riscontro in dispositivo e sarebbe incompatibile con la pronuncia di nullità per carenza di capacità distintiva ab origine». Si censura, poi, quanto opinato dalla medesima corte in termini di decadenza per volgarizzazione del marchio suddetto;
IV) « Violazione ed errata applicazione dell’art. 2598, n. 2, c.c. », criticandosi la ritenuta inconfigurabilità della pretesa condotta anticoncorrenziale di controparte ex art. 2598, n. 2, cod. civ.
Ancor prima di poter procedere allo scrutinio dei riportati motivi, rileva il Collegio, in via pregiudiziale, che l’odierno ricorso deve essere dichiarato improcedibile.
2.1. RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, infatti, pur affermando che la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 1371/2021, oggi impugnata, è stata notificata in data 8 luglio 2021, non hanno depositato copia della corrispondente relazione di notificazione, come imposto, invece, dal l’art. 369, comma 2, n. 2, cod. proc. civ. Nel fascicolo di ufficio (ed in quello delle ricorrenti in esso ricompreso), invero, si rinvengono esclusivamente plurime copie autentiche della menzionata sentenza, nessuna delle quali, però, corredata anche della relazione di notificazione suddetta. Lo stesso tenore del ricorso, inoltre, indica fra le produzioni sub 1), copia autentica , della citata sentenza ( cfr . pag. 72), tuttavia senza traccia alcuna della relazione della sua avvenuta notificazione.
2.2. Giova ricordare, allora, che, come ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte ( cfr . Cass., SU, n. 21349 del 2022), la dichiarazione, contenuta nel ricorso per cassazione, di avvenuta notificazione della sentenza impugnata attesta un « fatto processuale » – la notificazione della sentenza idoneo a far decorrere il termine « breve » di impugnazione e, quale manifestazione di « autoresponsabilità » della parte, impegna quest’ultima a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere in capo ad essa l’onere di depositare, nel termine stabilito dall’art. 369 cod. proc. civ., copia della sentenza munita della relata di notifica (ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo EMAIL), senza che sia possibile riparare alla relativa omissione mediante la successiva, e ormai tardiva, produzione ai sensi dell’art. 372 cod. civ. ( cfr. , nel medesimo senso, pure nelle rispettive motivazioni, anche la precedente Cass. n. 15832 del 2021 e le più recenti Cass. nn. 14790 e 19475 del 2024).
2.3. Il difetto di procedibilità, poi, deve essere rilevato d’ufficio , né può essere sanato dalla mancata contestazione da parte della controricorrente, perché l’improcedibilità trova la sua ragione nel presidiare, con efficacia sanzionatoria, un comportamento omissivo di una parte che ostacola la stessa sequenza di avvio di un determinato processo ( cfr . Cass., SU, n. 9005 del 2009; Cass., SU, n. 10648 del 2017; Cass., SU, n. 21349 del 2022; Cass. nn. 17014 e 19475 del 2024), sicché nessun valore può assumere, al fine di escluderla , l’eventuale comportamento di non contestazione di un’altra parte . Chiarissima, in tal senso, è l’affermazione di Cass., SU, n. 21349 del 2022 , laddove spiega che « Non può condividersi l’affermazione, contenuta nell’ordinanza interlocutoria, secondo cui la sanzione dell’improcedibilità sarebbe inapplicabile quando “la controparte (controricorrente) che ha notificato il provvedimento di merito impugnato (…) abbia riconosciuto nel giudizio di legittimità la data in cui l’adempimento è stato da lei stessa curato, rendendo in tal modo inutile ogni accertamento dell’ufficio al riguardo” . Ed infatti, il ricorrente che, pur dichiarando che la sentenza impugnata è stata notificata in una certa data, depositi la copia autentica della stessa omettendo di depositare la relata della notifica, incorre nella sanzione dell’improcedibilità, trattandosi di omissione che impedisce alla Suprema Corte la verifica – a tutela dell’esigenza pubblicistica del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, a nulla valendo la non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente, ovvero il mero reperimento di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga, in ipotesi, la tempestività dell’impugnazione ( ex plurimis , Cass. 3466 del 2020, n. 9987 del 2016, n. 9004 del 2009) ».
2.3.1. In altri termini, la previsione di un termine perentorio per il deposito della relata a cura del ricorrente, ex art. 369 cod. proc. civ., o eccezionalmente del controricorrente, ex art. 370, comma 3, cod. proc. civ., è funzionalmente preordinata all’immediato e diretto riscontro, da parte del giudicante, dell’ordinato svolgersi del giudizio di legittimità mediante la
verifica d’ufficio della tempestività dell’impugnazione e del conseguente formarsi del giudicato: tanto giustifica la già spiegata efficacia sanzionatoria della declaratoria di improcedibilità.
2.3.2. È stato insegnato pure che essa è compatibile con il diritto di accesso al giudice se configurata nelle fasi di impugnazione, risolvendosi, altrimenti, in una non ragionevole compromissione del diritto di difesa e che la selezione delle impugnazioni da scrutinare nel merito va perciò compiuta se i termini fissati dal legislatore per la sequenza procedimentale siano stati rispettati ( cfr . Cass., SU, n. 10648 del 2017). Infatti, consentire il recupero della omissione mediante la produzione a tempo indeterminato con lo strumento di cui all’art. 372 cod. proc. civ. vanificherebbe il senso del duplice adempimento nel meccanismo processuale che è anche quello di selezionare tempestivamente i ricorsi ai fini della scelta del rito processuale di legittimità più consono.
2.3.3. Va rimarcato, inoltre, che, giusta la recente Cass. n. 19475 del 2024, « In tema di giudizio di cassazione, l’omessa produzione della relata di notifica della sentenza impugnata comporta l’improcedibilità del ricorso ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c. e tale sanzione non contrasta con gli artt. 24 e 111 Cost. e 6 CEDU, trattandosi di un adempimento preliminare, tutt’altro che oneroso e complesso, che non mette in discussione il diritto alla difesa ed al giusto processo, essendo finalizzato a verificare, nell’interesse pubblico, il passaggio in giudicato della decisione di merito ed a selezionare la procedura più adeguata alla definizione della controversia ».
2.4. A queste conclusioni non possono ritenersi di ostacolo il principio sancito da Cass., SU, n. 22438 del 2018 (‘ Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo EMAIL, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1bis e 1ter, della l. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove il controricorrente -anche tardivamente costituitosi -depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata
ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli ex art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005. Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato -così come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso -ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio ») e quelli enunciati da Cass., SU, n. 8312 del 2019 (« 1. Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 -bis e 1 -ter , della legge n. 53 del 1994 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilità ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti -anche in caso di tardiva costituzione -depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli ex art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005. Invece, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio nell’ipotesi in cui l’unico destinatario della notificazione del ricorso rimanga soltanto intimato -oppure tali rimangano alcuni o anche uno solo tra i molteplici destinatari della notifica del ricorso -oppure comunque il/i controricorrente/i disconosca/no la conformità all’originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata ; 2. I medesimi principi si applicano all’ipotesi di tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata -e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute -senza attestazione di
conformità del difensore ex art. 9, commi 1 -bis e 1 -ter , della legge n. 53 del 1994 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa ; 3. Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata redatta in formato elettronico e firmata digitalmente -e necessariamente inserita nel fascicolo informatico -senza attestazione di conformità del difensore ex art. 16 -bis , comma 9 -bis, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilità ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti -anche in caso di tardiva costituzione -depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale della decisione stessa. Mentre se alcune o tutte le controparti rimangono intimate o comunque depositino controricorso ma disconoscano la conformità all’originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata il ricorrente, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica della decisione impugnata sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio; 4. Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata sottoscritta con firma autografa ed inserita nel fascicolo informatico senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 -bis e 1ter , della legge n. 53 del 1994 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilità ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti -anche in caso di tardiva costituzione -depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale della decisione stessa. Mentre se alcune o tutte le controparti rimangono intimate o comunque depositino controricorso ma disconoscano la conformità all’originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata il ricorrente, per
evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica della decisione impugnata sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio »).
2.4.1. Ad avviso di questo Collegio, infatti, si tratta di principi chiaramente dettati per fattispecie specifiche (e diverse da quella oggi in esame) e non estendibili al di fuori di essi.
2.5. La copia della menzionata sentenza della Corte di appello di Firenze n. 1371/2021, munita della corrispondente relata di sua notificazione, poi, neppure è nella disponibilità di questa Corte perché prodotta dalla parte controricorrente (anche quella, invero, è carente della relata predetta) e ciò preclude anche la possibilità di ritenere che, malgrado l’omessa produzione da parte del ricorrente, l’avvio della sequenza procedimentale non sia stato comunque impedito, né apprezzabilmente ritardato ( cfr . SU, n. 10648 del 2017).
2.5.1. La medesima copia neppure può essere in possesso dell’ufficio perché presente nel fascicolo trasmesso dal giudice di appello ( cfr . Cass., SU n. 10648 del 2017), atteso che, nella specie, non era previsto, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, un obbligo di comunicazione del provvedimento (come nel caso di cui all’ordinanza ex art. 348ter cod. proc. civ.), né notificazione da parte della cancelleria ( cfr. Cass. n. 17014 del 2024). Solo in tali ipotesi, nelle quali la legge anche implicitamente ricollega la decorrenza del termine per impugnare al compimento di attività doverose della cancelleria, sub specie di comunicazione ovvero di notificazione, salvo diversa e specifica disposizione di legge (che imponga alla cancelleria di allegare al fascicolo d’ufficio la copia notificata dalla parte della sentenza impugnata), è previsto o possibile che resti traccia degli adempimenti a cura della cancelleria, cioè della comunicazione e notifica della sentenza, nel fascicolo d’ufficio, sicché ben potrebbe la trasmissione avvenuta in adempimento della richiesta di cui all’art. 369 cod. proc. civ. supplire alla negligenza della parte ricorrente. Al di fuori di esse, invece, laddove la
notificazione della sentenza, idonea a far decorrere il termine breve, sia frutto di una successiva ed autonoma iniziativa della parte interessata ad abbreviare i tempi di formazione del giudicato, non è previsto che nel fascicolo d’ufficio (nel quale sono inseriti i soli atti indicati nell’art. 168 cod. proc. civ. ) debba inserirsi copia della relata di notifica, trattandosi evidentemente di attività che non avviene su iniziativa dell’ufficio e che interviene in un momento successivo alla definizione del giudizio, non sussistendo un diritto delle parti a provvedere ad ulteriori inserimenti di atti nel fascicolo nei tempi dalle stesse liberamente decisi, al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate dal legislatore ( cfr ., in termini, Cass. n. 21386 del 2017. In senso conforme, si vedano anche Cass. n. 14360 del 2021 e Cass., SU, n. 21349 del 2022). Perché la sanzione dell’improcedibilità sia evitata, quindi, non è sufficiente, che il documento (la relata di notifica ad istanza di parte) sia materialmente presente nel fascicolo d’ufficio (di cui il ricorrente abbia chiesto la trasmissione) per esservi stato materialmente inserito dalla parte interessata nei tempi dalla stessa determinati.
2.6. Fermo quanto precede, poiché, nella specie, la notifica del ricorso è avvenuta in data 7 ottobre 2021 (giovedì), l ‘ improcedibilità dello stesso nemmeno può essere scongiurata in riferimento alla data della pubblicazione della sentenza impugnata (5 luglio 2021), come stabilito dalla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte secondo cui, pur in difetto della produzione della relata di notificazione, il ricorso per cassazione deve ugualmente ritenersi procedibile ove risulti che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno (nella specie da individuarsi nella giornata di lunedì 4 ottobre 2021) dalla pubblicazione della sentenza, perché in tal caso è comunque consentito al giudice dell’impugnazione, fin dal momento del deposito del ricorso ed in riferimento alla sola data di pubblicazione della decisione impugnata, verificare e ritenere la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325, comma 2, cod. proc. civ. ( cfr . Cass. n. 11386 del 2019; Cass. n. 17014 del 2024).
2.7. Resta solo da dire, da ultimo, che la improcedibilità della odierna impugnazione può essere rilevata d’ufficio senza necessità di stimolare il contraddittorio, perché il divieto di porre a fondamento della decisione una questione non sottoposta al previo contraddittorio delle parti non si applica alle questioni di rito relative ai requisiti di procedibilità della domanda previsti da norme la cui violazione è rilevabile in ogni stato e grado del processo, senza che tale esito processuale integri una violazione dell’art. 6, § 1, della CEDU, il quale – nell’interpretazione data dalla Corte Europea – ammette che il contraddittorio non venga previamente suscitato su questioni di rito che la parte, con una minima diligenza, avrebbe potuto e dovuto attendersi o prefigurarsi ( cfr . in senso analogo, sebbene con riferimento al rilievo della tardività della impugnazione, Cass. n. 7356 del 2022. In senso sostanzialmente conforme, cfr . pure Cass. n. 6218 del 2019).
3. In conclusione, il ricorso di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE deve essere dichiarato improcedibile, restando a loro carico, in via solidale, le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente, altresì dandosi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/02, i presupposti processuali per il versamento, da parte delle medesime ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il loro ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
p.q.m.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e le condanna, in solido tra loro, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente, liquidate in
complessivi € 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle medesime ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il loro ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile