Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8001 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8001 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8406/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, in persona del legale rappresentante amministratore unico RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME, anche difensore di sé medesima;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, società costituita dalla fusione della RAGIONE_SOCIALE ed il RAGIONE_SOCIALE, società altresì già incorporante, in virtù di atto di fusione, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO n. 360/2020 depositata il 07/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio il RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE).
A fondamento della propria pretesa deduceva che la convenuta avrebbe proceduto, nei rapporti di conto corrente, alla illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, in violazione del divieto di anatocismo di cui all’articolo 1283 c.c.. Inoltre, la banca avrebbe addebitato illegittimamente le commissioni di massimo scoperto ed avrebbe applicato il sistema delle ‘valute fittizie’. Deduceva ancora che l’istituto avrebbe applicato un tasso di interesse ultra legale in violazione dell’art. 1284 c.c., superando altresì il tasso soglia di cui alla legge 108/1996.
Il Tribunale di Larino, con la sentenza n. 246/2016, accoglieva la domanda e condannava il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE della somma di 83.466,96 con gli interessi legali dal 10 maggio 2013 fino al saldo.
La Corte di Appello di Campobasso, con la sentenza n. 360/2020, del 7 dicembre 2020, accoglieva parzialmente l’appello del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed in riforma della sentenza impugnata condannava l’Istituto al pagamento del solo importo di euro 17.497,35.
Avverso detta pronuncia RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per Cassazione, sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria.
3.1. Resiste con controricorso il RAGIONE_SOCIALE
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
Considerato che:
RAGIONE_SOCIALE tratta congiuntamente i seguenti motivi:
violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., perché, nella decisione impugnata, non sarebbe stato rispettato il principio di non contestazione sulla unitarietà del rapporto dedotto in giudizio, fatto che sarebbe stato pacifico tra le parti (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.);
violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 167 c.p.c. e 2938 e 2697 c.c. in relazione alla questione di prescrizione, avendo la Corte d’appello modificato i fatti posti da BPM a fondamento della relativa eccezione, in ciò superando i limiti della domanda. Inoltre, il giudice del gravame non si sarebbe dovuto pronunciare ex officio su eccezioni sollevabili dalla sola parte, quale quella di prescrizione (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.);
violazione e falsa applicazione del principio dispositivo in relazione all’art. 2697 c.c., nonché agli artt. 112, 115, 183 c.p.c., in quanto il CTU avrebbe indagato su fatti non dedotti dalle parti e compiuto inammissibili valutazioni giuridiche, con conseguente nullità assoluta (art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.);
omesso esame di fatti decisivi, motivazione assente in relazione alle difese della RAGIONE_SOCIALE, nonché apparente e incomprensibile, in quanto la Corte d’appello: i) avrebbe travisato il contenuto della CTU; ii) non avrebbe considerato l’esistenza e l’efficacia del giroconto, che, invece, dimostrava l’unitarietà del rapporto di credito. In ciò, avrebbe violato l’art. 112 c.p.c., poiché non si sarebbe pronunciata su tutta la domanda, non avrebbe motivato le ragioni del suo convincimento, facendo affermazioni apodittiche in violazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 116 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.);
motivazione illogica e inesistente non avendo il giudice del gravame, in violazione degli artt. 111 Cost., 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e del diritto di difesa dell’art. 24 Cost., dato conto dei fatti posti alla base della sua decisione sulla tempestività dell’eccezione di prescrizione del RAGIONE_SOCIALE BPM, limitandosi a richiamare la sentenza n. 15895/2019 di questa Corte (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.).
5. Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., in quanto l’esposizione del fatto e dei motivi di diritto è inidonea a far comprendere le ragioni delle censure rivolte alla sentenza impugnata.
Secondo l’orientamento di questa Corte, la chiarezza espositiva, oltre che la sinteticità, costituiscono principio generale strettamente correlato alla tutela del diritto di difesa e del contraddittorio (Cass. S.U. 37552/2021; Cass. n. 4300/2023; Cass. 8425/2020).
Il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c. (Nella specie la RAGIONE_SOCIALE.C. ha respinto l’eccezione di inammissibilità di un ricorso avverso una sentenza della Corte dei conti di quattordici pagine, fondato su un solo motivo ed articolato in oltre novanta
pagine, in quanto il testo complessivo, benché caratterizzato da una eccessiva e non necessaria lunghezza e da una certa farraginosità dell’esposizione, consentiva di comprendere lo svolgimento della vicenda processuale e di individuare con chiarezza le censure rivolte alla sentenza impugnata).
Nel caso di specie, la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata sotto plurimi profili, che vanno dalla violazione di legge processuale e sostanziale, all’omesso esame di fatti decisivi, nonché alla nullità per vizi motivazionali, la cui trattazione congiunta ne rende però confuse le doglianze. La loro complessiva esposizione, infatti, che si snoda in un esame autonomamente condotto della decisione impugnata, è tanto disorganica da non offrire una rappresentazione chiara delle questioni di causa, rendendo incomprensibile a questa Corte i singoli motivi di doglianza, quando invece l’obiettivo del processo è quello di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa, nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo.
5.1. E comunque, in disparte l’inammissibilità ex art. 366 n. 6 c.p.c., le censure sulla statuizione di intervenuta prescrizione di parte del preteso credito della RAGIONE_SOCIALE (primo, secondo e quinto motivo di ricorso, art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.) sono inammissibili per più ragioni.
L’eccepito vizio di violazione o falsa applicazione di norme sussiste soltanto quando vi sia stato un errore nel giudizio di diritto, e cioè negazione o fraintendimento di una norma astratta di legge esistente, o affermazione di una norma astratta inesistente, oppure intesa rettamente la norma in sè stessa, se ne sia fatta applicazione ad un fatto, che da essa non è regolato, in modo da giungere a conseguenze giuridiche contrarie a quelle volute dalla legge (cfr. Cass. civ., Sez. III, Ord., 27/09/2023, n. 27436; Cass. civ., Sez. III, Ord., 22/02/2023, n. 5490; Cass. civ., Sez. I, Ord., 2/02/2022, n. 3246).
Tali situazioni non ricorrono nel caso di specie nel quale la Corte d’appello, dopo aver ricordato l’evoluzione giurisprudenziale in materia di rimesse ripristinatorie e solutorie ai fini del computo del dies a quo della prescrizione ed aver richiamato anche la decisione delle Sezioni Unite n. 15895/2019 sulla differenza tra onere di allegazione e onere della prova, sempre in tema di prescrizione estintiva nei rapporti bancari: i) ha ritenuto l’eccezione di prescrizione della BPM rituale e tempestiva; ii) ha rilevato l’assenza di atti interruttivi sulla base degli esiti della CTU, così come la mancanza di collegamento tra i tre conti correnti della ricorrente, pure evidenziata dal CTU in risposta ai quesiti allo stesso formulati. Parte ricorrente si lamenta dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, sostanziandosi così le sue doglianze in un’inammissibile contestazione dell’impianto motivazionale e della valutazione delle prove compiuta dal giudice di secondo grado, il quale, sulla base del quadro probatorio complessivo, al di là della natura delle rimesse, ha dichiarato estinti i conti correnti nn. 100970 e 302169 in data 10/11/1999, con conseguente intervenuta prescrizione dell’azione di ripetizione (v. pp. 4 -6 sentenza impugnata n. 360/2020).
Inoltre, nel contratto di conto corrente assistito da apertura di credito, ove il cliente agisca per la ripetizione degli importi indebitamente versati, la banca che sollevi l’eccezione di prescrizione può limitarsi ad affermare l’inerzia del titolare del diritto, dichiarando di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte; al contrario il correntista, attore nell’azione di ripetizione, ha l’onere di produrre in giudizio gli estratti conto dai quali emerge la natura ripristinatoria o solutoria dei singoli versamenti, di modo che ove non assolva a tale onere la domanda attrice deve essere respinta,
senza necessità di esaminare l’eccezione di prescrizione (v. Cass. S.U. n. 15895/2019; Cass. n 21225/2022).
5.2. In secondo luogo, sempre in ordine alla statuizione di prescrizione, ma relativamente al quinto motivo di ricorso, si osserva come la censura formulata in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. si risolva in generiche contestazioni, come tali inammissibili, in quanto non consentono di individuare il vizio dedotto e il principio di diritto che si assume violato
Sul punto, d’altronde, occorre ribadire che la nullità della sentenza ‘è prospettabile quando la motivazione manchi addirittura graficamente, ovvero sia così oscura da non lasciarsi intendere da un normale intelletto’ (v. Cass. civ., Sez. Lav., Ord, 26/09/2023, n. 27407). Principio questo che va coordinato con il principio secondo cui il giudice di merito, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta. Il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione (Cass. n. 13602/2019). Ne consegue che non v’è vizio di ultrapetizione quando, come nella fattispecie, ‘la domanda su cui il giudice ha pronunciato è sempre quella avanzata dalla parte e sia solo diverso il percorso argomentativo, non essendovi stata alcuna alterazione degli elementi di fatto controversi in causa ma solo un diverso inquadramento giuridico degli stessi’ .
5.3. In terzo luogo, ancora in ordine alla statuizione di prescrizione, parimenti inammissibile è il quinto motivo di ricorso in punto di omesso esame. Il riferimento nel corpo del ricorso al giroconto che non sarebbe stato valutato ai fini della unicità del rapporto negoziale, contrariamente a quanto lamentato dalla doglianza in esame, non è stato affatto omesso, ma invece considerato dal giudice del gravame, avuto riguardo alla CTU, così dimostrando di averlo logicamente valutato, sebbene in negativo, giungendo a conclusioni diverse (certamente non gradite) da quelle oggi auspicate dalla ricorrente (v. p. 6 sentenza impugnata n. 360/2020).
5.4. Il terzo e quarto motivo di ricorso sono assorbiti, avuto anche riguardo al principio di economia dei mezzi processuali.
Per completezza, in ogni caso, rileva che, secondo l’orientamento della giurisprudenza ‘la consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito’. A costui, difatti, ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c., sono riservate ‘l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del suo convincimento.
In conclusione la doglianza della RAGIONE_SOCIALE si traduce in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200 oltre 200 per esborsi, accessori di legge e spese generali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza