Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13829 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13829 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6653/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MESSINA n. 1068/2018 depositata il 04/12/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
La Corte osserva
La vicenda qui al vaglio può riassumersi nei termini di cui appresso.
1.1. NOME NOME COGNOME convenne in giudizio NOME COGNOME. L’attore, premettendo che con statuizione oramai irrevocabile era stata trasferita al convenuto, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., la proprietà di un fabbricato, subordinatamente al pagamento del residuo prezzo di £. 50.000.000, che l’acquirente avrebbe dovuto versare entro tre giorni dalla pubblicazione della sentenza; che l’anzidetta condizione non si era avverata e, pertanto, il trasferimento doveva reputarsi <>, chiese all’adito giudice la conseguente pronuncia, oltre alla condanna al risarcimento dei danni.
Il convenuto, oltre a chiedere il rigetto dell’avversa domanda, in via riconvenzionale, instò per la condanna dell’attore al pagamento della somma di € 110.000,00 (somma che il convenuto affermò aver dovuto affrontare per rifinire e liberare dall’ipoteca l’immobile).
1.2. Il Tribunale rigettò la domanda principale e, in accoglimento parziale di quella riconvenzionale, condannò il COGNOME al pagamento dell’importo di € 108.456,00, oltre interessi.
1.3. La Corte di Messina, rigettata l’impugnazione principale, in accoglimento di quella incidentale, condannò il COGNOME al pagamento di € 82.633,16, oltre interessi .
NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di cinque motivi, ulteriormente illustrati da memoria.
L’intimato resiste con controricorso.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., assumendo che la Corte peloritana aveva omesso di statuire a riguardo del primo motivo d’appello, con il quale l’esponente aveva contestato la decisione di primo grado di rigetto della propria domanda di <> e per avere rigettato l’ulteriore domanda, con la quale aveva chiesto il ristoro dei danni. La Corte di Messina, conclude il ricorrente, aveva limitato <>.
3.1. La doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
La sentenza non ha mancato di decidere, ma, al contrario dell’asserto impugnatorio, ha esaminato le questioni poste dall’appellante principale con il primo motivo e le ha motivatamente disattese. Alle pagg. 5 e 6 la Corte locale spiega <> ed era rimasto, inoltre, incontestato che <>.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione al n. 5 dell’art. 360
cod. proc. civ., addebitando alla sentenza impugnata, ancora una volta, di non avere preso in esame le proprie domande, ribadite con l’appello. Nonché violazione degli artt. 1453 e 1455 cod. civ., evocando l’istituto della risoluzione, che, a suo dire, trovava giustificazione in una pluralità di circostanze fattuali indicate alla pag. 14 alla pag. 16 del ricorso: la controparte non aveva pagato il residuo prezzo, e ciò aveva procurato danni all’esponente; il COGNOME aveva goduto ingiustamente dell’immobile, così procurando <> al ricorrente.
4.1. La doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilità .
Impropriamente viene richiamato l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, a fronte di una contestazione che invoca un diverso epilogo giudiziario, sulla base di una complessiva ricostruzione alternativa della vicenda e di un diverso apprezzamento giuridico. Per contro, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti avente carattere decisivo (Sez. 2, n. 13024, 26/04/2022, Rv. 664615, conf., ex multis, Cass. nn. 6322/2023, 8584/2022, 14802/2017)
Peraltro, la questione non poteva porsi, neppure in astratto, in presenza di doppia conforme. Invero, trovando applicazione, ‘ratione temporis’, l’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a
base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, n. 5528, 10/03/2014, Rv. 630359; conf., ex multis, Cass. nn. 19001/2016, 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto.
Quanto alla domanda di risoluzione, che il ricorrente afferma avere avanzato in appello, è evidente che trattavasi di pretesa del tutto nuova, che non avrebbe giammai potuto essere presa in esame.
Nel resto (occupazione dell’immobile) trattasi di affermazioni fattuali, peraltro generiche e aspecifiche, in questa sede non verificabili.
Con il terzo motivo, ancora una volta, viene denunciato l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo. Inoltre viene dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’appello incidentale.
Si afferma che la Corte d’appello non aveva preso in esame le contestazioni mosse dal ricorrente alla sentenza di primo grado: la transazione stipulata e i pagamenti effettuati in favore dei terzi operati dal COGNOME non erano opponibili all’esponente in assenza di autorizzazione; la produzione documentale del COGNOME era <> ; l’ipoteca insisteva sul bene sin da prima della stipula del preliminare.
5.1. La doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
Anche in questo caso è del tutto improprio il richiamo all’art. 360, n. 5, per le già ragioni sopra esposte.
Nel resto, il motivo, sotto l’usbergo della violazione dell’art. 2697 cod. civ., sollecita un diverso e favorevole esito del vaglio probatorio. In altri termini, il giudice non ha violato la regola
sull’onere probatorio, ma, ben diversamente, ha deciso dopo aver valutato le emergenze di causa.
Come noto, in linea generale, la denuncia di violazione di legge, non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, S.U. n. 25573, 12/11/2020).
6. Con il quarto motivo il COGNOME denuncia violazione dell’art. 1243 cod. civ., nonché, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo.
Si addebita alla Corte locale di avere posto in compensazione il preteso credito del COGNOME, pur non essendo questo certo, liquido ed esigibile.
6.1. La doglianza è in parte inammissibile e per altra parte manifestamente infondata.
Quanto all’omesso esame, anche in questo caso, valendo le considerazioni di cui sopra, la critica è inammissibile.
Quanto all’asserita violazione all’art. 1243 cod. civ., ne va evidenziata la manifesta infondatezza, avendo la sentenza proceduto a liquidare il credito, giudicato certo ed esigibile.
La compensazione giudiziale, prevista dall’art. 1243, secondo comma, cod. civ., è ammessa soltanto se il giudice del merito, nel suo discrezionale apprezzamento, riconosce la facile e pronta liquidità del credito opposto in compensazione, con la conseguenza che, difettando tali condizioni, egli deve disattendere la relativa eccezione e il convenuto potrà far valere il credito in separata sede con autonomo giudizio. La verifica della sussistenza del requisito
della liquidità, risolvendosi in una valutazione di fatto, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. 2, n. 21923, 5/10/2009, Rv. 609498, ex multis).
Con il quinto motivo il ricorrente assume l’ingiustizia della condanna alle spese, con falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ., stante la fondatezza delle proprie pretese.
7.1. Trattasi di un ‘non motivo’, come tale inammissibile, che si risolve in un non avverato auspicio dell’altrui soccombenza.
Nel suo complesso il ricorso merita di essere rigettato.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida per compensi, in favore del controricorrente, in € 6.800,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio