Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10129 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso N. 27091/2020 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende, con l’avv. NOME COGNOME come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende, con l’avv. NOME COGNOME come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale
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– controricorrente –
N. 27091/20 R.G.
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Venezia, n. 1623/2020, depositata il 30.6.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13.2.2024 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE convenne NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Treviso, per ottenerne la condanna all’adempimento del contratto di cessione di azienda concluso tra le parti in data 20.11.2012. Con sentenza del 9.6.2016, il Tribunale accolse parzialmente la domanda attorea, condannando il convenuto al pagamento della somma di € 33.000,00 a titolo di prezzo della cessione e compensando per metà le spese di lite; rigettò, invece, la domanda risarcitoria pure avanzata. Il COGNOME propose gravame, riproponendo le medesime questioni già avanzate in primo grado. Con sentenza del 30.6.2020, la Corte d’appello di Venezia rigettò l’appello e confermò la sentenza di prime cure, evidenziando che correttamente il Tribunale aveva affermato che la volturazione della licenza non costituiva l’oggetto del contratto.
Avverso detta sentenza, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, basato su un unico motivo, illustrato da memoria, cui resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con l’unico motivo, si denuncia omesso esame ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c. La Corte lagunare avrebbe omesso di valutare e considerare che il contratto d’azienda tra la società resistente e l’odierno ricorrente più non esisteva, poiché
sin dal grado d’appello, la società resistente aveva affittato i locali ad altra azienda. Pertanto, posto che l’odierno ricorrente, sulla base della ritenuta esistenza del contratto di cessione d’azienda, è stato condannato, sia in primo che in secondo grado, al pagamento di una somma di denaro per la mancata conclusione del contratto di cessione d’azienda, egli avrebbe dovuto ottemperare solo se la società avesse a sua volta adempiuto le proprie obbligazioni contrattuali, cioè se avesse ceduto la propria azienda.
2.1 -Il ricorso è improcedibile ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., non risultando agli atti la copia notificata della sentenza impugnata, pubblicata il 30.6.2020, che il ricorrente afferma essergli stata notificata in data 14.7.2020. La difesa del ricorrente ha infatti depositato soltanto una copia conforme della sentenza impugnata, ma non corredata da alcuna dimostrazione di avvenuta notifica nei suoi confronti, non rinvenendosi in atti alcunché al riguardo.
Sul punto deve ribadirsi la oramai costante giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio e alla quale si intende dare continuità (di recente, ribadendo consolidati approdi ermeneutici, Cass. n. 15832/2021), che, riguardo alla produzione della copia notificata della sentenza e più in generale di decorrenza dei termini di impugnazione, afferma: ‘ In tema di notificazione del provvedimento impugnato ad opera della parte, ai fini dell’adempimento del dovere di controllare la tempestività dell’impugnazi one in sede di giudizio di legittimità, assumono rilievo le allegazioni delle parti, nel senso che, ove il ricorrente non abbia allegato che la sentenza impugnata gli è stata notificata, si deve ritenere che il diritto di impugnazione sia stato esercitato entro il c.d. termine “lungo” di cui all’art. 327 c.p.c., procedendo all’accertamento della sua
osservanza, mentre, nella contraria ipotesi in cui l’impugnante abbia allegato espressamente o implicitamente che la sentenza contro cui ricorre gli sia stata notificata ai fini del decorso del termine breve di impugnazione (nonché nell’ipotesi in cui tale circostanza sia stata eccepita dal controricorrente o sia emersa dal diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d’ufficio), deve ritenersi operante il te rmine di cui all’art. 325 c.p.c., sorgendo a carico del ricorrente l’onere di depositare, unitamente al ricorso o nei modi di cui all’art. 372, comma 2, c.p.c., la copia autentica della sentenza impugnata, munita della relata di notificazione, entro il termine previsto dall’art. 369, comma 1, c.p.c., la cui mancata osservanza comporta l’imp rocedibilità del ricorso, escluso il caso in cui la notificazione del ricorso risulti effettuata prima della scadenza del termine breve decorrente dalla pubblicazione del provvedimento impugnato e salva l’ipotesi in cui la relazione di notificazione risult i prodotta dal controricorrente o presente nel fascicolo d’ufficio’ .
Tale conclusione è ribadita, con alcune precisazioni, i cui presupposti fattuali di applicazione peraltro non ricorrono nella specie, anche dalla più recente giurisprudenza nomofilattica (Cass., Sez. Un., n. 21349/2022).
Nella specie, peraltro, il ricorso di NOME COGNOME risulta essere stato notificato il 12.10.2020 e quindi ben oltre i sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza del la Corte d’appello di Venezia, avvenuta in data 30.6.2020, così neppure operando l’eccezione all’obbligo di deposito della sentenza e della relata (se la prima è stata notificata) individuata fin da Cass. n. 17066/2013; né, come già detto, una copia notificata della sentenza stessa, ritualmente formata, risulta comunque dagli atti di causa legittimamente esaminabili da questa Corte.
N. 27091/20 R.G.
3.1 -Solo ad abundantiam , può anche osservarsi che il ricorso non avrebbe comunque potuto sottrarsi alla declaratoria di inammissibilità.
Infatti, n ella sentenza impugnata si dà atto che, all’udienza del 2.10.2019, le parti conclusero come in epigrafe. In questa, sono state riportate le conclusioni delle parti; quanto al COGNOME, risulta che egli insistette per l’accoglimento delle conclusioni di primo grado, tese a sostanzialmente negare che un accordo di cessione fosse mai stato raggiunto tra le parti e, dunque, ad escludere ogni sua responsabilità.
Orbene, anche ad ammettere che la questione della sopravvenuta inesistenza dell’azienda sia mai stata ritualmente dedotta in giudizio (il ricorrente non indica quando ciò sia avvenuto; la controricorrente sostiene che la questione è stata sollevata nell’ambito del giudizio incidentale di sospensiva ex art. 373 c.p.c.), è evidente che le conclusioni finalmente rassegnate dal COGNOME non vi fanno cenno: dunque, eventuali domande proposte dal predetto (in teoria ammissibili, se riferite ad una circostanza sopravvenuta in corso di causa) si intendono con ogni evidenza rinunciate.
Ogni doglianza ulteriore, dunque, non può che risultare inammissibile, perché riferita a domande che, ove mai effettivamente proposte, sarebbero da considerarsi in ogni caso rinunciate. Qualora, invece, le stesse fossero state ribadite dal COGNOME all’udienza del 2.10.2019 , ma la C orte d’appello non ne avesse tenuto conto (omettendo di riprodurle in epigrafe), si sarebbe dinanzi ad un errore revocatorio , che avrebbe dovuto denunciarsi ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.
Tutto ciò, naturalmente, pur a prescindere dalla stessa formulazione del l’unico motivo proposto, che cumula inammissibilmente le doglianze di cui all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., in un guazzabuglio pressoché inestricabile (v. Cass. n. 26790/2018), discutendosi anche di motivazione insufficiente (vizio di per sé non più denunciabile dal 2012 -v. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014).
Si aggiunga, infine, che la denuncia della pretesa violazione dell’art. 1460 c.c. è questione logicamente, ma inammissibilmente, anticipatoria di ogni altra questione e comunque incompatibile con la tesi di fondo seguita dal COGNOME: si può discutere di eccezione di inadempimento se la propria obbligazione sia dovuta, costituendo detto strumento un rimedio posto a tutela della parte non inadempiente ; ma il COGNOME, per tutto il giudizio d’appello, ha sostenuto di nulla dovere. Anche per tal verso, dunque, risulta conclamata l’inammissibilità dell’ unico mezzo di impugnazione, benché assorbita dalla riscontrata causa di improcedibilità.
4.1 -In definitiva, il ricorso è improcedibile.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
In relazione alla data di proposizione del ricorso principale (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
la Corte dichiara il ricorso improcedibile e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.500,00 per compensi,
oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno