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Ricorso improcedibile: l’onere del deposito notifica

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso improcedibile a causa del mancato deposito della prova di notifica via PEC della sentenza impugnata. Il caso verteva su un’indennità per l’occupazione esclusiva di un immobile in comproprietà. L’ordinanza ribadisce il rigore formale richiesto per l’ammissibilità del ricorso, sottolineando che l’omissione non è sanabile.

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Ricorso improcedibile: l’importanza cruciale del deposito della notifica PEC

Quando si arriva al giudizio di Cassazione, la forma diventa sostanza. Un errore procedurale, anche se apparentemente piccolo, può portare a un ricorso improcedibile, vanificando le ragioni di merito. Una recente ordinanza della Suprema Corte ci ricorda quanto sia rigoroso l’onere probatorio a carico del ricorrente, specialmente per quanto riguarda il deposito della notifica della sentenza impugnata effettuata a mezzo Posta Elettronica Certificata (PEC).

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da una controversia tra due fratelli, comproprietari in parti uguali di un immobile a uso commerciale. Uno dei due citava in giudizio l’altro, chiedendo la condanna al pagamento di un’indennità per l’occupazione esclusiva del bene. Il convenuto non solo si opponeva alla richiesta, ma presentava una domanda riconvenzionale per ottenere il rimborso di alcune spese (funerarie e di successione) anticipate per il loro comune dante causa.

Il Tribunale di primo grado rigettava la domanda principale e accoglieva quella riconvenzionale. La Corte d’Appello, invece, riformava parzialmente la decisione, condannando il fratello che utilizzava l’immobile a versare all’altro una somma di 2.000 euro a titolo di indennità, confermando per il resto la sentenza precedente.

Contro questa decisione, il soccombente proponeva ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione: un ricorso improcedibile

La Corte di Cassazione, senza entrare nel merito delle doglianze, ha dichiarato il ricorso improcedibile. La decisione si fonda su un vizio puramente procedurale: il mancato rispetto degli oneri di deposito previsti dall’art. 369 del codice di procedura civile.

Le Motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su un principio consolidato e rigoroso. Il ricorrente, nel proprio atto di impugnazione, aveva dichiarato che la sentenza della Corte d’Appello gli era stata notificata via PEC in una data specifica. Questa dichiarazione, secondo la giurisprudenza, fa sorgere in capo al ricorrente stesso un onere ineludibile: depositare, insieme al ricorso, copia della sentenza impugnata munita della relata di notifica.

Nel caso di notifica a mezzo PEC, questo onere si traduce nella necessità di depositare anche le copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, o meglio ancora, i file originali in formato .eml o .msg. Questi documenti sono l’unica prova che attesta il perfezionamento della notifica e, di conseguenza, la tempestività dell’impugnazione entro il termine breve di 60 giorni.

Nel caso di specie, il ricorrente aveva depositato solo una copia autentica della sentenza, priva di qualsiasi attestazione della notifica. Questa omissione, sottolinea la Corte, costituisce un vizio che determina l’improcedibilità del ricorso, rilevabile d’ufficio e non sanabile. Non è possibile, infatti, produrre tardivamente tale documentazione, né si può sperare che la produca la controparte. La ragion d’essere di questa sanzione, spiegano i giudici, è quella di presidiare con efficacia un comportamento omissivo che ostacola la corretta e celere instaurazione del processo di cassazione.

Per completezza, la Corte ha aggiunto che, anche se il ricorso fosse stato procedibile, sarebbe stato comunque rigettato nel merito. I motivi di ricorso, infatti, tendevano a una rivalutazione dei fatti e delle prove (come le dichiarazioni rese in interrogatorio), attività preclusa nel giudizio di legittimità, che è limitato al controllo sulla corretta applicazione del diritto.

Le Conclusioni

Questa ordinanza è un monito fondamentale per tutti gli operatori del diritto. Nel giudizio di cassazione, l’attenzione agli adempimenti formali deve essere massima. La dichiarazione di avvenuta notifica della sentenza impugnata non è una mera formalità, ma un atto di auto-responsabilità che impone oneri probatori precisi e non derogabili. L’omesso deposito della prova della notifica PEC nelle forme richieste dalla giurisprudenza conduce inesorabilmente a una declaratoria di ricorso improcedibile, impedendo alla Corte di esaminare le ragioni, per quanto fondate possano essere, alla base dell’impugnazione. Una lezione severa sull’importanza di unire la solidità delle argomentazioni di merito al più scrupoloso rispetto delle regole processuali.

Perché il ricorso è stato dichiarato improcedibile?
Il ricorso è stato dichiarato improcedibile perché il ricorrente non ha depositato, insieme all’atto di impugnazione, la prova della notifica della sentenza impugnata avvenuta tramite Posta Elettronica Certificata (PEC), come richiesto dall’art. 369 del codice di procedura civile.

È possibile sanare l’omesso deposito della relata di notifica in un momento successivo?
No, la Corte di Cassazione ha ribadito che l’omissione del deposito della prova della notifica entro il termine previsto per il deposito del ricorso è un vizio non sanabile. La produzione successiva dei documenti è considerata tardiva e inefficace.

Qual è l’onere specifico del ricorrente in caso di notifica della sentenza via PEC?
Il ricorrente è tenuto a depositare, unitamente al ricorso, la relata di notifica telematica, che consiste nei messaggi di posta elettronica certificata di spedizione e ricezione, preferibilmente nel loro formato originale (.eml o .msg), per dimostrare il perfezionamento e la data della notifica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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