Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16223 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16452/2020 R.G. proposto da COMUNE DI CASTELLANETA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e di- feso dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato il seguente indirizzo di posta
elettronica certificata: ;
– ricorrente –
contro
COGNOME (nata il 25/05/1926), COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME (nata il 21/02/ 1935), rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato il se- guente indirizzo di posta elettronica certificata:
;
– controricorrenti –
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16223 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/06/2025
avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, n. 40/20, depositata il 30 gennaio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza non definitiva n. 1419 del 19 ottobre 1999, il Tribunale di Taranto, pronunciando sulle domande riunite proposte da NOME COGNOME in qualità di procuratore speciale di NOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME, e da NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di procuratrice generale di NOME NOME, NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME, nei confronti del Comune di Castellaneta, riconobbe il diritto degli attori al pagamento delle indennità dovute per l’espropriazione e l’occupazione legittima ed illegittima di un fondo destinato alla realizzazione di un intervento di edilizia residenziale pubblica, detratto quanto già versato in via provvisoria, e degl’interessi sulle somme rivalutate.
1.1. Con sentenza definitiva n. 85 del 2001, il medesimo Tribunale provvide poi alla liquidazione delle indennità, condannando il Comune al pagamento degli importi complessivi di Lire 577.831.030 in favore di NOME COGNOME e Lire 1.027.879.558 in favore di NOME COGNOME oltre interessi legali dal 9 maggio 2000.
1.2. Quest’ultima sentenza fu parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, che con sentenza n. 58 del 7 aprile 2003 rideterminò le indennità di espropriazione in Euro 64.085,00 in favore del Galli ed Euro 114.293,00 in favore della COGNOME, e quelle di occupazione legittima in misura pari agl’interessi legali sulle predette somme per il periodo di quindici mesi, oltre interessi e rivalutazione come riconosciuti dalla sentenza non definitiva di primo grado.
Avendo pagato, in pendenza del giudizio di appello, le somme di Euro 330.676,00 in favore del COGNOME ed Euro 557.773,45 in favore della COGNOME, il Comune convenne separatamente in giudizio quest’ultima, in proprio e nella
qualità, nonché NOME e NOME COGNOME per sentirle condannare alla restituzione dei maggiori importi rispettivamente di Euro 173.494,65 ed Euro 83.329,94, indebitamente corrisposti in eccedenza rispetto alle somme liquidate dalla sentenza di secondo grado, oltre interessi legali e rivalutazione.
Si costituirono le convenute, in ciascuno dei due giudizi, e resistettero alle domande, chiedendone il rigetto.
NOME e NOME COGNOME chiamarono inoltre in causa NOME, NOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME ed NOME COGNOME i quali si costituirono in giudizio, associandosi alle conclusioni delle convenute.
2.1. Nel corso del giudizio, avendo gli espropriati proceduto a pignoramento presso terzi per ottenere il pagamento dell’ulteriore importo di Euro 283.829,93, oltre interessi e rivalutazione, il Comune convenne in giudizio NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME ed NOME COGNOME proponendo opposizione all’esecuzione.
Si costituirono i convenuti, e resistettero alla domanda, chiedendone il rigetto.
2.2. Riuniti i tre giudizi, il Tribunale di Taranto, con sentenza n. 2214 del 4 luglio 2016, rigettò la domanda di restituzione e l’opposizione all’esecuzione.
L’impugnazione proposta dal Comune è stata rigettata dalla Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con sentenza del 30 gennaio 2020.
Premesso che risultavano incontroversi a) la cessione volontaria dei fondi, avvenuta con contratti stipulati il 16 ottobre ed il 23 dicembre 1981, b) il riconoscimento, con la sentenza n. 58/03, delle indennità di occupazione legittima, calcolate ai sensi dell’art. 5bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, per il periodo di quindici mesi previsto dai contratti di cessione, c) l’effettuazione del pagamento soltanto in data 9 aprile 2002, e d) l’intervenuta formazione del giudicato in ordine agl’interessi ed alla rivalutazione, per effetto della mancata impugnazione della sentenza n. 1419/99, la Corte ha ritenuto che le obbligazioni del Comune fossero sorte a seguito del trasferimento della proprietà dei suoli, verificatosi al momento delle cessioni volontarie. Precisato inoltre che i
quindici mesi previsti dai contratti di cessione non costituivano un periodo contrassegnato da termini d’inizio e fine, ma una quantità di tempo da considerare ai fini della determinazione dell’indennità di occupazione, ha ritenuto condivisibile il calcolo delle somme dovute effettuato dal c.t.u. nominato nel corso del giudizio, dando atto della mancata formulazione di osservazioni entro il termine all’uopo fissato dal Tribunale, della genericità dei rilievi sollevati all’udienza del 6 aprile 2016 e della tardività di quelli proposti in comparsa conclusionale. Ha ritenuto pertanto esistenti i crediti fatti valere dagli appellati ed insussistente l’indebito fatto valere dal Comune, con la conseguente infondatezza dell’opposizione da quest’ultimo proposta.
Avverso la predetta sentenza il Comune ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. I COGNOME e la COGNOME hanno resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, si rileva che la difesa del Comune, pur avendo dichiarato, nell’intestazione del ricorso, che la sentenza impugnata è stata notificata il 7 febbraio 2020, ha omesso di produrne la copia notificata, limitandosi a depositare una copia autentica, rilasciata dalla Cancelleria della Corte d’appello, la quale non risulta corredata dalla relazione di notificazione, con la conseguenza che risulta impossibile stabilire se (avuto riguardo anche alla applicabilità della sospensione dei termini processuali prevista dall’art. 83, comma secondo, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come prorogata dall’art. 36, comma primo, del d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla legge 5 giugno 2020, n. 40) il ricorso, notificato l’8 giugno 2020, sia stato effettivamente proposto entro il termine di cui all’art. 325, secondo comma, cod. proc. civ.
Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di ricorso per cassazione, l’omesso deposito della relata di notifica della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 2 cod. proc. civ., comporta l’improcedibilità del ricorso per cassazione, a meno che la stessa non risulti comunque nella disponibilità del Giudice di legittimità, perché prodotta dal controricorrente o acquisita mediante l’istanza di trasmissione del
fascicolo d’ufficio (cfr. Cass., Sez. III, 29/10/2024, n. 27883; 16/09/2024, n. 24724; Cass., Sez. I, 15/07/2024, n. 19475). Tale vizio, rilevabile anche d’ufficio, non può ritenersi sanato dalla mancata contestazione da parte della controricorrente, trovando l’improcedibilità la sua ragione nell’esigenza di presidiare, con efficacia sanzionatoria, un comportamento omissivo che ostacola la stessa sequenza di avvio di un determinato processo (cfr. Cass., Sez. II, 20/06/2024, n. 17014; Cass., Sez. lav., 12/02/2020, n. 3466). L’improcedibilità non si pone d’altronde in contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost. e con l’art. 6 della CEDU, costituendo una sanzione adeguata rispetto al fine di assicurare il rapido svolgimento del procedimento dinanzi alla Corte di cassazione, in quanto comminata per l’omissione di un adempimento preliminare che non pregiudica il diritto alla difesa ed al giusto processo, intervenendo dopo la celebrazione di due gradi di giudizio deputati alla delibazione nel merito della pretesa, ed essendo volto a consentire la verifica del passaggio in giudicato della decisione impugnata (cfr. Cass., Sez. III, 16/09/2024, n. 24724; Cass., Sez. I, 15/07/2024, n. 19475; in proposito, v. anche Corte EDU, sent. 23/05/2024, NOME e altri c. Italia). La relativa declaratoria non richiede la preventiva stimolazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ., trattandosi di una questione di rito attinente ai requisiti di procedibilità della domanda (cfr. Cass., Sez. I, 22/10/2024, n. 27313): essa può essere evitata soltanto nel caso in cui il ricorso per cassazione sia stato notificato prima del sessantesimo giorno successivo alla pubblicazione del provvedimento impugnato, perdendo in tal caso rilievo la data della notificazione di quest’ultimo (cfr. Cass., Sez. II, 8/11/2024, n. 28781).
Nella specie, tuttavia, tale prova di resistenza non consente di pervenire ad un esito favorevole al ricorrente, giacché, pur tenendo conto della sospensione prevista dall’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, e prorogata dall’art. 36 del d.l. n. 23 del 2020, il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza impugnata dovrebbe considerarsi scaduto il 3 giugno 2020, laddove, come si è detto, il ricorso è stato notificato l’8 giugno successivo.
Il ricorso va pertanto dichiarato improcedibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
dichiara improcedibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma l’8/01/2025