Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19641 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18459/2024 R.G. proposto da :
elettivamente domiciliato in
VIA
COGNOME N. 46
, presso lo studio
dell’avvocato NOME COGNOME (
) che lo
rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
N.N.
C.F.
O.V.
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19641 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
-intimata-
avverso SENTENZA della CORTE D’APPELLO CATANIA n. 223/2024 depositata il 07/02/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
Con ricorso depositato il 21.01.2016, il sig. chiedeva nei confronti di che venisse dichiarata la separazione giudiziale dei coniugi. N.N. O.V.
Il Giudice di primo grado con sentenza emessa nel giudizio n. 276/16 R.G., pronunciava la separazione personale dei coniugi, rigettando la domanda di mantenimento avanzata dalla moglie, condannando la stessa alle spese e onorari di causa in favore dell’erario.
Con ricorso del 30.07.2022 la sig.ra proponeva appello e la sentenza di primo grado veniva riformata, con la pronuncia nr 223/2024 del 7.02.2024 che poneva a carico del marito la corresponsione alla moglie della somma di € 150,00 mensili, per il mantenimento della stessa. O.V.
La Corte distrettuale riteneva che esistesse una sperequazione reddituale fra le parti rilevando, da un lato, che l’appellato poteva contare su una entrata di circa € 1000,00 mentre, dall’altra, l’appellante disponeva di un reddito saltuario che comunque non era superiore ad € 400,00.
Escludeva poi che l’appellante in ragione dell’età fosse in grado di procurarsi una stabile occupazione sottolineando che comunque la Sessa non era rimasta inerte con riguardo alla ricerca di una attività lavorativa.
Osservava poi che neppure la nascita di un figlio era in grado di elidere l’obbligo di mantenimento in capo al marito non avendo quest’ultimo provato un effettivo depauperamento.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo cui non ha resistito . N.N. O.V.
Con provvedimento del 3.12.2024 il Consigliere delegato comunicava la proposta di definizione anticipata ex art 380 bis c.p.c. rilevando la mancanza della relata di notifica del ricorso alla controparte, che è rimasta intimata, prescritta ai sensi dell’art 369 c.p.c. a pena di procedibilità del ricorso in quanto la mancata produzione dell’atto presupposto (la notifica del ricorso), non consente di verificare la tempestività del deposito dello stesso, ai sensi dell’art.369 citato.
Con memoria del 9.1.2025 il difensore del ricorrente ha formulato istanza di decisione, ex art. 380 bis comma 2 c.p.c. rappresentando che il ricorso, nella realtà dei fatti, veniva notificato alla controparte e per la stessa al suo difensore, a mezzo pec, in data 03.09.2024 e in pari data il ricorso veniva iscritto presso la Corte di legittimità; che, per mero errore materiale la prova dell’avvenuta notifica non veniva inserita nella busta telematica di deposito del ricorso, ma correttamente lo stesso veniva notificato e il ricorso depositato nel termine di venti giorni prescritto e imposto dall’art. 369 c.p.c..
Il ricorrente ha altresì depositato memoria illustrativa in vista dell’udienza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
Con un unico motivo si denuncia la violazione dell’art 116 c.p.c. in relazione all’art 360 primo comma nr 5 c.p.c. per avere la Corte di appello ritenuto che il marito avrebbe dovuto provare la riduzione delle proprie condizioni economiche per la crescita del figlio.
Si sostiene che la crescita di un bambino comporta un continuo esborso di soldi è un fatto presuntivo che non va provato, ma deve essere tenuto nella più giusta considerazione dal giudicante e valutato contestualmente alle prove prodotte in giudizio.
Va preliminarmente esaminata la questione della procedibilità del ricorso.
L’art 369 c.p.c. stabilisce che il ricorso è depositato a pena d’improcedibilità, nel termine di giorni venti dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto.
È chiaramente onere della parte ricorrente dare la prova dei requisiti di ammissibilità e di procedibilità del ricorso e, quindi, anche della tempestività del deposito in cancelleria, dimostrando la data di effettuazione dell’ultima notificazione del ricorso. E tale onere il ricorrente può agevolmente assolvere producendo un documento che deve essere in suo possesso, ovverosia la ricevuta da cui risulta l’esito positivo o negativo della consegna della PEC;).
Ciò posto nel caso di specie il ricorrente per sua stessa ammissione non ha inserito per errore la busta telematica la prova dell’avvenuta notifica producendola in allegato alla memoria redatta ai sensi dell’art 380 bis c.p.c.
Tale tardiva produzione non evita la sanzione di improcedibilità in quanto avvenuta oltre il termine perentorio di venti giorni prescritto dall’art 369 c.p.c. in quanto consentire il recupero dell’omissione mediante la produzione a tempo indeterminato con lo strumento
dell’art. 372 c.p.c. vanificherebbe il senso dell’ adempimento del meccanismo processuale previsto dalla norma.
La proposta di definizione anticipata va, dunque, confermata.
Nessuna determinazione in punto spese non avendo la parte intimata svolto difese nella presente sede.
Giova ricordare che ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 3 “la Corte… quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica l’art. 96, commi 3 e 4”.
La norma sottende una valutazione legale tipica del legislatore delegato, in ragione della quale l’applicazione delle sanzioni – di quelle del comma 3 come di quelle del comma 4 dell’art. 96 – non è subordinata ad una valutazione discrezionale ma discende, “di default”, dalla definizione del giudizio in conformità alla proposta.
E’ però giocoforza ritenere che, per l’applicazione dell’ art. 96 c.p.c., comma 3 per ragioni legate al modo stesso di funzionare dell’effetto processuale ivi previsto, non sarà sufficiente la sola decisione in conformità alla proposta ma sarà necessario anche che ricorra una situazione che consenta una pronuncia sulle spese.
Ebbene, nella specie, come detto, tale situazione manca per la carenza di svolgimento di attività difensiva in questa sede da parte dell’intimata.
Da tale presupposto reputa, invece, il Collegio possa e debba prescindersi per l’applicazione dell’art. 96 c.p.c., comma 4; nonostante anche quest’ultima innovativa previsione sia in premessa ancorata alla ricorrenza dei casi di cui allo stesso art. 96, commi 1, 2 e 3 e, dunque, supponga che la controparte sia “costituita”, nel caso in esame (ossia quello della decisione conforme alla proposta ex art. 380-bis, comma 3) appare consentito prescinderne, dal momento che a quei presupposti si
sostituisce quello previsto dallo stesso art. 380-bis, comma 3: vale a dire la definizione del giudizio in conformità alla proposta.
Del resto, una diversa interpretazione priverebbe la previsione di cui all’art. 380-bis, comma 3, in gran parte se non del tutto di significato, almeno nella parte in cui richiama l’art. 96, comma 4 essendo evidente che, anche se quel richiamo mancasse, la Corte, chiamata a pronunciarsi a seguito di istanza di definizione ex art. 380-bis, comma 2, potrebbe comunque pronunciare, “nei casi previsti dai commi 1, 2 e 3”, condanna al pagamento in favore della Cassa delle Ammende.
L’art. 380-bis, comma 3, recupera dunque, in parte qua, un ben distinguibile spazio prescrittivo autonomo, coerente con l’obiettivo della novella, solo ove per la condanna prevista dal richiamato art. 96, comma 4 si prescinda dai casi ivi previsti in presenza del diverso e autosufficiente presupposto, che a quelli si sostituisce, della decisione conforme alla proposta, non potendosi invece una sostanziale differenza ricavarsi, almeno sul piano testuale, dall’uso dell’indicativo “applica”, atteso che anche l’art. 96 c.p.c., comma 4 coniuga allo stesso modo il verbo che prescrive l’azione demandata al giudice (“condanna”).
Va poi aggiunto che in favore di tale esegesi militano, da un lato, la ratio della disposizione in esame che, diretta a disincentivare la richiesta di definizione ordinaria a fronte di una proposta di definizione accelerata, prescinde dalla costituzione dell’intimato e non può certo ritenersi meno avvertita nel caso in cui tale costituzione manchi (con il rischio, ad opinare diversamente, di un depotenziamento dell’istituto); dall’altro, il rilievo che quella prevista dall’art. 96 c.p.c., comma 4 è sanzione disposta a favore
della collettività e non già della parte vittoriosa, come è invece nel caso dell’art. 96, comma 3.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso.
Condanna il ricorrente, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 3 al pagamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di € 2500,00 .
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/2003.
Così deciso in Roma, 18.06.2025
Il Presidente
(NOME COGNOME)