Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 35009 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 35009 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6612/2024 R.G. proposto da
NOME, NOME COGNOME COGNOME
elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , e per essa la mandataria RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in
Oggetto: Contratti bancari – Conto corrente – Fideiussione – Capitalizzazione – Interessi – Superamento tasso soglia
R.G.N. 6612/2024
Ud. 06/12/2024 CC
Bari INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende
-controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO BARI n. 1916/2023 depositata il 29/12/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 06/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1916/2023, pubblicata in data 29 dicembre 2023, la Corte d’appello di Bari ha respinto l’appello principale proposto da RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Bari n. 2113/2021, depositata in data 1° giugno 2021, mentre ha accolto l’appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE rappresentata da RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano agito -la prima quale correntista, i secondi quali fideiussori -premettendo in fatto di avere intrattenuto con il Banco di Napoli (poi RAGIONE_SOCIALE) un rapporto di conto corrente con affidamento ed un rapporto di conto anticipi.
Avevano dedotto che sui rapporti in questione erano stati applicati tassi di interesse eccedenti le soglie usurarie, capitalizzazione degli interessi, spese di gestione, commissioni e commissioni di massimo scoperto non dovute, ed avevano quindi chiesto di accertare la nullità delle clausole contrattuali in questione; di procedere alla
rideterminazione del saldo effettivo del rapporto e di condannare la convenuta al risarcimento dei danni per illegittima segnalazione presso la Centrale Rischi.
Costituitasi la convenuta formulando domanda riconvenzionale e sollevata dagli attori in corso di giudizio ulteriore eccezione di nullità delle fideiussioni in quanto contemplanti clausole che integravano violazione delle intese anticoncorrenziali, il Tribunale di Bari aveva: respinto le domande attoree di ripetizione e risarcimento e la domanda riconvenzionale di condanna al pagamento del saldo; dichiarato la nullità della clausola relativa alle commissione di massimo scoperto sino al 2° trimestre 2009; accertato un saldo contabile del conto corrente di € 198.788,48 a debito p er la correntista.
La Corte d’appello, per quanto ancora qui rileva, ha:
-disatteso il primo motivo di gravame -concernente l’omessa pronuncia sulla questione della mancata consegna alla cliente dei contratti in copia firmata -rilevando che il Tribunale aveva invece pronunciato sul motivo in questione, disattendendolo;
-dichiarato inammissibili il secondo e terzo motivo di appello -con i quali si censurava la decisione di prime cure sia per aver non dichiarato l’impossibilità di ricostruire il saldo passivo, con automatica preclusione alla determinazione di qualunque saldo a favore della banca, sia per non aver accertato l’usura nei rapporti in questione in quanto gli stessi non solo si ponevano in contrasto con il disposto di cui all’art. 345 c.p.c., deducendo questioni nuove, ma anche risultavano violare il disposto d i cui all’art. 342 c.p.c., difettando i motivi medesimi del requisito della
specificità, essendosi gli appellanti limitati a riprodurre il contenuto delle comparse conclusionali di primo grado;
-respinto il quarto motivo di appello -col quale si censurava la sentenza del Tribunale nella parte in cui non aveva dichiarato la nullità delle fideiussioni -ritenendo la questione esaminabile, trattandosi della deduzione di una nullità rilevabile d’ufficio, ma dichiarando il motivo di appello ‘infondato per difetto di interesse al rilievo della dedotta nullità delle fideiussioni per conformità allo schema ABI, non essendo chiara la finalizzazione concreta della chiesta declaratoria di nullità’ in quanto, da un lato, la nullità in questione non avrebbe comportato la nullità dell’intera garanzia e, dall’altro lato, i rapporti garantiti risultavano ancora in essere con la conseguenza che la disapplicazione delle clausole nulle non avrebbe potuto comunque comportare la liberazione dei garanti, non essendosi la Banca avvalsa delle clausole in questione;
-dichiarato inammissibile il quinto motivo -col quale si censurava la decisione di prime cure nella parte in cui non aveva accolto la domanda risarcitoria per illegittima segnalazione in Centrale Rischi -ritenendo anche tale motivo inammissibile per viola zione dell’art. 342 c.p.c.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bari ricorrono RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME
È rimasta intimata RAGIONE_SOCIALE
Si è costituita con controricorso RAGIONE_SOCIALE e per essa la mandataria RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria dei crediti, ai sensi della Legge n. 130/1999, in forza di un contratto di cessione di crediti,
ai sensi degli artt. 4 e 7, Legge 130/1999, concluso in data 19 aprile 2022.
In data 9 luglio 2024, il Consigliere delegato, ha formulato proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. segnalando la inammissibilità del ricorso.
A detta proposta ha fatto seguito istanza del ricorrente per la definizione del giudizio.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Il primo motivo di ricorso è, testualmente, rubricato:
‘Nullità ed illegittimità della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c., per manifesta contraddittorietà, e in relazione agli art. 2697 c.c. e 116 c.p.c.; ed ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per vizio di ultrapetizione per pronunzia su domanda non proposta dalla appellante incidentale. Violazione sotto questo profilo anche degli artt. 112, 345 e 346 cpc., per avere la Corte, omesso la totale pronuncia di rigetto di ogni domanda e pretesa avversa, rinvenendo una diversa domanda di mero accertamento , qualificata ‘minus’ rispetto a quella di condanna, pur essendo anche quella irricostruibile, ignorando le difese delle istanti e errando nell’esame di un duplice fatto decisivo per il giudizio, ovvero, sia la incompletezza della documentazione che precludeva qualsiasi domanda della banca, anche di mero accertamento, sia la mancata formulazione di alcuno specifico motivo di appello sul punto.’ .
Lo stesso viene così sintetizzato:
‘La sentenza della Corte d’Appello di Bari viene censurata nella parte in cui ha omesso di accogliere l’appello principale degli attuali ricorrenti, e al tempo stesso ha omesso di dichiarare l’inammissibilità dell’appello incidentale e di rigettare oltr e alla domanda di condanna della Banca, anche qualunque statuizione di accertamento in suo favore, e di riformare in tal senso la sentenza di primo grado, perché proposte senza avere la stessa Banca ottemperato al suo onere di prova della sequenza integrale degli estratti conto, dalla apertura fino alla chiusura, nonché senza avere formulato la stessa Banca né poter formulare alcuna domanda di mero accertamento, neanche in appello’ .
1.2. Il secondo motivo di ricorso è, testualmente, rubricato: ‘Nullità ed illegittimità della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c., per manifesta contraddittorietà, e violazione e dell’art. 91 cpc’ .
Lo stesso è così argomentato:
‘Sul capo della sentenza che ha pronunciato condanna alle spese, totalmente in faviore dlela Apellante inciddentale, la sentenz appare contraddittoria, oltra che in violazione dell’art. 91 cpc: La sentenz adoveva solo rigettare ogni domanda della banca, e in uno dichiarare irricostruibile il conto azionato. Ha invece, ciononostante statuito con una pronuncia di accertamento su un rapporto non ricostruibile, e nel contempo dichiarato di rinvenire una domanda di accertamento mai proposta, sicché doveva condannare la appellante incidentale in toto, o al più compensare in parte le spes ; non solo, ma neppure è dato comprendere come, avendo la Corte di Appello confermato la sentenza di primo grado, sia sul punto della mancata chiusura del conto, e della mancata prova da parte della banca non ottemperata in primo grado, sia su punto del rigetto della domanda di condanna, possa la stessa sentenza di Appello aver condannato la
appellata alle spese, anche di secondo grado e in misura integrale, e non invece la appellante incidentale’ .
Il ricorso deve essere dichiarato improcedibile, non risultando prodotta in atti la relata di notifica della sentenza impugnata, come previsto dall’art. 369 c.p.c.
Questa Corte, anche recentemente, ha chiarito che la previsione dell’art. 369, secondo comma, c.p.c. non consente di distinguere tra il deposito della sentenza impugnata e quello della relazione di notificazione della stessa, con la conseguenza che la mancanza di uno dei due documenti determina l’improcedibilità del ricorso, a meno che ricorra una delle seguenti condizioni: 1) il deposito del documento mancante avvenga entro il termine di venti giorni dalla notifica del ricorso per cassazione; 2) detto documento sia nella disponibilità del giudice perché prodotto dalla controparte o presente nel fascicolo d’ufficio; 3) il ricorso per cassazione risulti notificato prima della scadenza dei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza (cfr. da ultimo, Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 28781 del 08/11/2024; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 27883 del 29/10/2024; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 27313 del 22/10/2024; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 24023 del 07/08/2023).
Poiché il ricorso in esame è stato notificato a seguito della riforma introdotta dal d.lgs. n. 149/2022, va ulteriormente chiarito che la parte ricorrente era gravata dell’onere di depositare , unitamente al ricorso, la relata di notifica, mediante inserimento nella busta telematica, con la quale l’atto è depositato, del messaggio di posta elettronica certificata in formato .eml o .msg (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 14790 del 27/05/2024).
Poiché, da un lato, la relata di notifica della sentenza impugnata non risulta né prodotta assieme al ricorso né prodotta dalla
contro
ricorrente né diversamente disponibile nel fascicolo d’ufficio e, dall’altro lato, tra la data di pubblicazione della decisione impugnata (29 dicembre 2023) e la data di notifica del ricorso (13 marzo 2024) risultano essere decorsi più di sessanta giorni, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.
Non è inopportuno, al riguardo, rammentare che: I) l’improcedibilità del ricorso è rilevabile anche d’ufficio, senza necessità di stimolare il contraddittorio sul punto, trattandosi di questione di rito relativa ai requisiti di procedibilità della domanda (Cass. Sez. 1 Ordinanza n. 27313 del 22/10/2024); II) la declaratoria di improcedibilità non si pone in contrasto con l’art. 6 CEDU (cfr. Corte EDU, sentenza del 23 maggio 2024, Patricolo e altri c. Italia ) poiché integra una sanzione adeguata rispetto al fine di assicurare il rapido svolgimento del procedimento dinanzi alla Corte di cassazione, che è preordinato alla verifica della corretta applicazione della legge ed interviene dopo la celebrazione di due gradi di giudizio deputati alla delibazione nel merito della pretesa, e non costituisce impedimento idoneo a compromettere il diritto di accesso a un tribunale (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 24724 del 16/09/2024; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 19475 del 15/07/2024).
Il ricorso deve quindi essere dichiarato improcedibile, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Si pone, a questo punto, la questione di verificare l’applicabilità dell’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., il quale richiama, in caso di decisione conforme alla proposta, il disposto di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c.
4.1. Sebbene la decisione non risulti conforme alla proposta, essendosi la prima dovuta arrestare di fronte ad un profilo preliminare in rito che ha impedito l’esame dei motivi di ricorso, ritiene tuttavia questa Corte di poter nondimeno procedere ad una delibazione dei motivi di ricorso al solo fine di verificare la possibilità di applicare la sanzione processuale.
È agevole osservare, infatti, che, diversamente opinando, si assisterebbe alla disfunzionale conseguenza di sottrarre la parte alla sanzione prevista dall’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c. nell’ipotesi in cui il difetto che affligge il ricorso in sede di legittimità risulti addirittura più radicale e grave di quello evidenziata nella proposta ex art. 380bis , c.p.c., sostanzialmente assicurando un regime di maggior favore ad una situazione di patologia ancora più marcata.
4.2. Si ritiene, quindi, che, ove il ricorso sia stato oggetto di una proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c., la declaratoria di improcedibilità ex art. 369 c.p.c. adottata all’esito della richiesta di decisione non osti all’esa me dei motivi di ricorso ed al vaglio di conferma della proposta ex art. 380bis c.p.c. al solo fine di procedere all’applicazione del meccanismo previsto dall’ultimo comma della previsione testè richiamata.
4.3. Procedendo, allora, a tale verifica, è da ritenersi che i due motivi di ricorso fossero effettivamente inammissibili, come osservato nella proposta ex art. 380bis c.p.c.
Quanto al primo motivo, infatti, lo stesso veniva a proporre cumulativamente -ma soprattutto inestricabilmente -una serie di profili eterogenei, non solo caratterizzati da una reciproca incompatibilità logico-giuridica ma anche esposti in modo cumulativo e reciprocamente interferente, gravando inammissibilmente questa Corte del compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili,
onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26874 del 23/10/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7009 del 17/03/2017; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011) e precludendo la possibilità di cogliere con chiarezza le singole doglianze prospettate onde consentirne l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/2015 e, successivamente, Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 39169 del 09/12/2021).
Quanto al secondo motivo, lo stesso risultava privo di concreta autonomia, in quanto avrebbe postulato la fondatezza della prima censura, laddove la inammissibilità di quest’ultima viene a consolidare la ratio decidendi del capo di statuizione concernente le spese di lite.
4.4. La constatazione del fatto che il giudizio, ove non approdato ad una declaratoria di improcedibilità del ricorso, sarebbe comunque pervenuto alla conferma della proposta ex art. 380bis c.p.c. comporta, quindi, la possibilità di applicare il meccanismo previsto dall’ultimo comma del medesimo art. 380bis c.p.c. con la conseguente condanna ulteriore dei ricorrenti soccombenti al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata nonché, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00, somme che si liquidano come da dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se
dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara il ricorso improcedibile;
condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 5.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, della somma equitativamente determinata in € 5.000,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.;
condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di € 2.500,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione