Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20166 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20166 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16805/2024 R.G. proposto da : NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOMECOGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso il DECRETO di TRIBUNALE ROMA n. 1251/2024 depositato il 27/05/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Roma ha dichiarato inammissibile il reclamo ex art. 26 L.F. proposto dall’avv. NOME COGNOME avverso il decreto con
cui il G.D. del fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, sulla sua istanza di pagamento di un acconto sul compenso già liquidato con riferimento alla prestazione di opera professionale svolta nell’ambito del giudizio di opposizione allo stato passivo promosso da Unicredit (in cui il legale ha patrocinato la procedura), ha ‘preso atto del parere del curatore sulla impossibilità di accordare allo stato un acconto sulla prededuzione maturata’.
Il decreto impugnato ha, preliminarmente, dato atto che il curatore aveva espresso parere sfavorevole alla liquidazione dell’acconto , osservando che le prededuzioni privilegiate ammontavano ad oltre 3.3 milioni di euro, contro un attivo di cassa di circa 3.1 milioni, e vi era necessità di accantonare spese per contenziosi attivi e passivi ancora pendenti.
Il giudice di merito ha quindi ritenuto inammissibile il reclamo presentato ex art. 36 L.F., sul rilievo che: i) non c’ era un provvedimento di diniego del pagamento da parte del GD, ma solo di presa d’atto delle determinazioni del curatore circa l’impossibilità di provvedervi allo stato; ii) se anche fosse stato censurata l’omissione, da parte del curatore, della presentazione di un’istanza per provvedere al pagamento del credito prededucibile, lo strumento era il reclamo ex 36 L.F.; iii) il professionista, in mancanza di una dichiarazione di antistatarietà, non aveva un diritto soggettivo ad incassare le somme versate dalla parte soccombente; iv) l’accantonamento ex art. 113 L.F. era discrezionale e non poteva essere sindacato; v) la reclamante non aveva allegato il ricorrere delle condizioni previste da ll’art. 111-bis, comma 3, L.F. per procedere al pagamento fuori dal riparto.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo a quattro motivi.
La curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha resistito in giudizio con controricorso.
Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta, chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 26 e 36 L.F..
Espone la ricorrente che non ha formato oggetto di censura un atto di amministrazione del curatore né un provvedimento del comitato dei creditori, bensì un provvedimento del G.D. idoneo ad incidere su diritti soggettivi.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost e 26 L.F. sul rilievo che, una volta che la parte abbia formulato una domanda di riforma di un provvedimento adottato da un giudice ed assoggettato a facoltà di reclamo, non sussiste alcun presupposto perché il giudice del reclamo possa astenersi dal valutare la domanda in relazione al suo effettivo estrinsecarsi. Pertanto, anche la declaratoria di non luogo a provvedere deve essere valutata dal giudice del reclamo, se conforme o meno al diritto.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 113 L.F., 24 e 111 Cost.; viene censurata la parte motiva del decreto nella parte in cui si afferma che la valutazione del curatore di provvedere, o meno, a riparti parziali costituisca una sorta di ‘zona franca’ rispetto al sindacato di legittimità (ed invero anche di opportunità) che la legge attribuisce al Giudice Delegato.
Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 111-bis, comma 3, L.F. e 93 c.p.c., nella parte in cui il decreto impugnato ha ritenuto che non sarebbero stati soddisfatti i requisiti allegativi atti a confortare l’adozione di un riparto parziale nei termini previsti dall’art. 111-bis L.F..
5. I primi quattro motivi, da esaminare unitariamente, in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono inammissibili. Va preliminarmente osservato che è orientamento consolidato di questa Corte (cfr. Cass. Sez. U. n. 26989/2016 e n. 7037/2016; vedi anche, recentemente, Cass. n. 3184/2025) quello secondo cui il ricorso ex art. 111, comma 7, Cost., sebbene proponibile estensivamente anche contro i provvedimenti diversi dalle «sentenze» -e quindi anche contro ordinanze e decreti -è ammissibile solo quando detti provvedimenti siano caratterizzati dal duplice requisito della decisorietà e della definitività (cd. sentenze in senso sostanziale), tipico dei provvedimenti giurisdizionali destinati a produrre effetti di diritto sostanziale con efficacia di giudicato e ad incidere in modo definitivo sui diritti soggettivi delle parti, sia pure secondo una declinazione di ‘giurisdizione contenziosa’ non circoscritta al processo ordinario o speciale di cognizione, ma estesa ad ogni «controversia, anche potenziale, fra parti contrapposte, chiamate a confrontarsi in contraddittorio nel processo».
Con particolare riferimento al requisito della definitività, questa Corte ha chiarito che ha natura funzionale, poiché riguarda la disciplina del provvedimento, di cui esprime l’attitudine al “giudicato formale”, non solo nella tradizionale accezione della insuscettibilità di distinta impugnazione -o di assorbimento in ulteriore provvedimento a sua volta impugnabile -, ma anche nel senso della irrevocabilità e immodificabilità del provvedimento da parte del giudice che l’ha emanato, o riproponibilità della domanda ad opera della parte interessata, di modo che l’accertamento giudiziale e l’attribuzione dei beni della vita non possono più essere rimessi in discussione (Cass. Sez. U., 17636/2003, 1914/2016, 24068/2019, 36671/2022, 22048/2023; cfr. Cass. 17836/2019, 11524/2020, 26567/2020, 22797/2022, 10350/2023, 22707/2023, 18826/2024).
Questi principi sono stati affermati anche in materia fallimentare, avendo questa Corte (cfr. Cass. n. 5447/2019; Cass. n. 17835/2019; 33878/2022) statuito che è inammissibile il ricorso straordinario per cassazione proposto, ai sensi dell’art. 111 Cost., nei confronti del decreto adottato dal tribunale, in sede di reclamo, avverso la decisione del giudice delegato che abbia avuto ad oggetto l’esercizio del potere di amministrazione e gestione dei beni acquisiti al fallimento e delle funzioni di direzione della procedura fallimentare, e non la soluzione di controversie su diritti, perché detti provvedimenti sono privi dei caratteri della definitività e decisorietà.
Nel caso di specie, il reclamo ha ritenuto inammissibile un provvedimento del G.D. che aveva ritenuto a sua volta inammissibile un provvedimento del G.D. che ‘prende atto del parere del curatore sulla impossibilità di accordare allo stato un acconto sulla prededuzione maturata dall’Avv. COGNOME
È indubitabile che la decisione del G.D. non sia destinata ad incidere in modo definitivo sul diritto soggettivo al compenso per le prestazioni rese dal ricorrente in favore della curatela fallimentare (su cui non v’è discussione), inerendo al potere dello stesso giudice di gestione, amministrazione e direzione della procedura e restando, comunque, salva la possibilità per l’interessato di riproporre l’istanza di pagamento.
Né la circostanza dedotta dalla ricorrente, secondo cui la controparte della causa dalla stessa patrocinata aveva già versato alla procedura le spese di lite liquidate dal giudice della causa di opposizione, è rilevante, non determinando tale circostanza -all’infuori dell’ipotesi in cui il legale si sia dichiarato antistatario (e non è il caso di specie) – una sorta di vincolo di destinazione di tali somme al pagamento del legale della procedura, soprattutto ove il suo credito concorra con altri dello stesso rango in presenza di una carenza di attivo.
Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c. e 4 tabella 7 del D.M. 55/2014.
Espone il ricorrente che il procedimento di reclamo ex art. 26 L.F. non dà ingresso ad un giudizio ordinario di cognizione, ma ad un procedimento strutturato e da definire con le forme del diritto camerale disciplinato dall’art. 739 c.p.c.. Nel caso di specie, invece, il giudice di merito ha provveduto alla liquidazione delle spese di lite applicando le tariffe forensi inerenti al rito ordinario di cognizione, e non a quelle della volontaria giurisdizione.
Il motivo è infondato.
Se è pur vero che il giudizio di reclamo ex art. 26 L.F. non è giudizio ordinario di cognizione, è, tuttavia, un procedimento camerale di natura contenziosa (come emerge dallo stesso rilievo che la ricorrente rivendica il diritto alla liquidazione del compenso), con la conseguenza che non si applicano -come invocato dalla ricorrente – le tariffe legali che disciplinano i procedimenti di volontaria giurisdizione.
Per tutto quanto sopra esposto il ricorso deve essere respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in
dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 6.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1-quater, del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 9.7.2025