Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14272 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14272 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/05/2025
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10033 R.G. anno 2021 proposto da:
COGNOME NOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME domiciliat i presso l’avvocato NOME COGNOME;
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME ;
intimati
avverso la sentenza del Tribunale di Nuoro n. 344/2019 e l’ordinanza n. 22/2020 della Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 aprile 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
ex art. 348bis c.p.c. – Ricorso proposto congiuntamente avverso la sentenza di primo grado e l’ordinanza di inammissibilità dell’appello Trattazione delle censure
Ud.23/04/2025 CC
1. ─ NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno convenuto in giudizio RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE – ora RAGIONE_SOCIALE – e lo stesso NOME COGNOME deducendo che socio della società era NOME COGNOME deceduto nel 2012, di cui essi attori erano eredi. Hanno rilevato di aver richiesto la liquidazione della quota caduta in successione, senza ricevere riscontro da parte di COGNOME. Hanno domandato pertanto che si accertasse il loro diritto alla liquidazione della quota di NOME Contena, con condanna dei convenuti al pagamento di quanto dovuto; hanno chiesto pure di essere tenuti indenni dai costi e dagli oneri eventualmente vantati da Equitalia e da altri soggetti che avevano emesso cartelle di pagamento nei confronti della società: ciò con riguardo a posizioni insorte prima dell’ingresso nella compagine da parte del loro dante causa.
Nella resistenza dei convenuti il Tribunale di Nuoro ha escluso che NOME COGNOME potesse essere destinatario delle domande proposte, visto che unico legittimato passivo in ordine alla domanda di liquidazione della quota doveva considerarsi la società; ha quindi rilevato che in base all’accertamento eseguito dal consulente tecnico d’ufficio la quota degli eredi di NOME COGNOME presentava un valore negativo pari a euro 7.379,12 e ha osservato che l’asserita esenzione degli attori dal pagamento dei debiti della società risultava non essere provata, non emergendo da alcuno dei documenti prodotti, e che, in ogni caso, correttamente il c.t.u. aveva calcolato il valore della quota al momento dello scioglimento del rapporto sociale, ossia del decesso del de cuius , non essendovi altri elementi da cui desumere un diverso momento in cui il rapporto stesso potesse considerarsi estinto. Il Tribunale ha quindi esposto che la questione relativa alla inesigibilità delle cartelle di pagamento e alla proposizione di una domanda di rottamazione delle stesse -questione fatta valere da parte attrice nella sua memoria di replica -involgeva tematiche che esulavano dal giudizio. Infine, il Tribunale ha ritenuto non suffragata da prova la
deduzione di parte convenuta relativa ad asseriti utili percepiti da parte attrice.
2 . ─ NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno impugnato detta pronuncia e la Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha pronunciato ordinanza con cui ha dichiarato inammissibile il gravame a norma degli artt. 348bis e 348ter c.p.c..
– Gli stessi COGNOME e COGNOME ricorrono per cassazione, facendo valere cinque motivi di impugnazione. COGNOME e COGNOME sono rimasti intimati. Vi è memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Deve darsi atto che con la propria memoria la parte ricorrente ha fatto cenno a una seconda iscrizione del giudizio qui in esame. Per il medesimo ricorso vi è stata, cioè, una doppia costituzione. Ciò non toglie che il ricorso in trattazione alla data odierna possa essere senz’altro definito.
-L’esordio dell’esposizione dei motivi di ricorso è il seguente: «Sia la sentenza di primo grado che l’ordinanza del 21 gennaio 2021, quindi entrambi i provvedimenti impugnati, devono essere cassati».
I motivi di ricorso sono presentati come segue.
Il primo è titolato: «Violazione falsa applicazione dell’art. 2289 c.c., ciò ovviamente in correlazione agli altri motivi del presente ricorso».
Il secondo è titolato: «Violazione falsa applicazione dell’art. 36 (responsabilità ed obblighi degli amministratori, dei liquidatori e dei soci) in correlazione a tutti gli altri motivi».
Il terzo è titolato: «Decadenza dalla prova di documenti oltre ai termini dell’art. 183 c.p.c. ai fini della valutazione del valore della quota, art. 2697, onere della prova e 2426 c.c.».
Il quarto è titolato: «Violazione e falsa applicazione degli art. 2272, 2274, 2280 e 2495 c.c. e 36 d.P.R. 29 settembre 1973».
Il quinto è titolato: «Violazione degli artt. 167 c.p.c. e 2267 .
Responsabilità per le obbligazioni sociali, art. 2291 c.c.».
3 . -Il ricorso è inammissibile.
Parte ricorrente assume, come si è visto, di voler impugnare sia la sentenza di primo grado che l’ordinanza di inamm issibilità dell ‘appello .
Nello svolgimento dei motivi di ricorso l’unico pre ciso riferimento ad enunciazioni espresse dal Tribunale o dalla Corte di appello trova espressione nella trattazione del terzo mezzo di censura, ove è riportato il seguente passaggio dell’ordinanza ex artt. 348bis e 348ter c.p.c. resa dal Giudice del gravame: «uanto alle poste debitorie, evidenziano l’infondatezza della generica allegazione di inesigibilità per prescrizione dei crediti tributari, mai accertata giudizialmente, né vi è prova in atti di contenzioso tributario avviato quando NOME COGNOME era socio della società ». Si tratta di una affermazione che i ricorrenti hanno impugnato in modo confuso, contestando, a quanto pare, gli esiti della disposta consulenza tecnica: profilo ─ questo ─ che per certo non poteva essere investito dal ricorso per cassazione, posto che, come è noto, l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348ter c.p.c. è ricorribile per cassazione, ex art. 111, comma 7, Cost., limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, ad esempio, l’inosservanza degli artt. 348bis , comma 2, e 348ter , commi 1, primo periodo e 2, primo periodo, c.p.c.), purché compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso, mentre non sono deducibili né errores in iudicando (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), né vizi di motivazione, salvo il caso (che, però, trascende in violazione della legge processuale) della motivazione mancante sotto l’aspetto materiale e grafico, della motivazione apparente, del contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, ovvero di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (Cass. 6 novembre 2023, n. 30759; Cass. 21 agosto 2018, n. 20861 ).
Per il resto, il ricorso reca l’indistinto riferimento ai due
provvedimenti e non indica a quali statuizioni dell’uno o dell’altro si riferiscano i mezzi di censura articolati. Ciò detto, come questa S.C. ha avuto modo di rilevare, il ricorso per cassazione, con il quale siano impugnate congiuntamente la sentenza di primo grado e l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348 -bis c.p.c., deve contenere la trattazione separata delle censure indirizzate a ciascuno dei due provvedimenti e, ove sia ritenuta l’esistenza di un identico errore, deve individuare ed illustrare tale identità, così da consentire di distinguere quale sia la critica da riferire all’uno e quale all’altro di essi, essendo in mancanza il ricorso inidoneo a raggiungere il suo scopo, che è quello della critica al provvedimento impugnato (Cass. 17 maggio 2017, n. 12440).
La detta carenza si traduce, del resto, anche nella irrituale proposizione delle censure di violazione o falsa applicazione di legge, dal momento che l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, n. 4, c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare non solo le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U. 28 ottobre 2020, n. 23745; Cass. 6 luglio 2021, n. 18998).
Fermo il carattere assorbente che assume la mancata indicazione delle statuizioni che si intendevano impugnare deve infine osservarsi, per completezza, come si riveli comunque priva di concludenza la deduzione, contenuta nel quinto motivo, per cui, con riferimento al tema della legittimazione, COGNOME «era decaduto da ogni contestazione
essendosi costituito in data di prima udienza il giorno 15 dicembre 2016». Va ricordato, al riguardo, che il difetto di legittimazione, ancorché non oggetto di contestazione dall’altra parte, è rilevabile d ‘ ufficio se risultante dagli atti di causa (Cass. 1 settembre 2021, n. 23721).
4 . ─ Nulla è da statuire in punto di spese processuali, stante la mancata resistenza degli intimati.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione