Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 13809 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 13809 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21209/2021 R.G. proposto da:
NOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME , presso l’indirizzo di posta elettronica certificata dei quali è domiciliata per legge
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME AVV_NOTAIO , presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del quale è domiciliata per legge
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 466/2021 depositata il 16/03/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/03/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. La società RAGIONE_SOCIALE – con atto di intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione per la convalida innanzi al Tribunale di Trani (notificato il 28 febbraio 2013) – intimava a COGNOME NOME lo sfratto, per morosità; dalla “parte del capannone ad uso deposito ed opificio”, dell’immobile posto in Andria alla INDIRIZZO, concesso in locazione alla NOME con contratto dell’1/01/2003 per il canone annuale anticipato di € 1.000,00, motivando lo sfratto con la morosità della conduttrice nel pagamento di tutti i canoni maturati dall’inizio delta locazione per l’ammontare complessivo di € 11.000,00. L’intimante chiedeva la convalida dello sfratto per morosità e, subordinatamente, la declaratoria di risoluzione del contratto per finita locazione alla sua naturale scadenza del 31/12/2013. Il giudizio veniva iscritto a ruolo e rubricato con il n. 326/2013.
La medesima società RAGIONE_SOCIALE con un secondo atto notificato in data 28/02/2013, intimava alla stessa COGNOME NOME altro sfratto per morosità, relativo alla “parte della palazzina uffici, costituente porzione del piano terra, composto di n. 2 vani”, dell’immobile sito in Andria alla INDIRIZZO. A supporto della propria domanda l’intimante deduceva che l’immobile era stato concesso in locazione alla NOME con contratto dell’1/11/2006 per il canone annuale anticipato di € 500,00 oltre IVA e che la conduttrice era divenuta morosa nel pagamento di tutti i canoni maturati dall’inizio della locazione per l’ammontare complessivo di € 3.500,00 oltre IVA, e per gli aggiornamenti annuali maturati. A questo secondo giudizio veniva attribuito il n. 327/2013.
In entrambi i procedimenti si costituiva la COGNOME, che: si opponeva allo sfratto; contestava la sussistenza della morosità; deduceva che gli immobili in questione erano solo formalmente
intestati alla RAGIONE_SOCIALE, ma in effetti erano di proprietà dei germani COGNOME NOME (padre di NOME), NOME e COGNOME NOME; rilevava che i contratti in di locazione erano stati stipulati con l’RAGIONE_SOCIALE e dunque dovevano essere regolati dalla L. 203/82 e di conseguenza che il giudice competente per materia era la Sezione Agraria del Tribunale; eccepiva la prescrizione del credito.
Con specifico riferimento al giudizio n. 326/13 la COGNOME aggiungeva che i canoni erano stati corrisposti fino a tutto luglio 2010, come attestato da due fatture che esibiva, e che, per la restante parte, dovevano intendersi compensati con il credito che la RAGIONE_SOCIALE vantava nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in virtù di una cessione di credito di € 3.000,00 operata dalla RAGIONE_SOCIALE, creditrice della RAGIONE_SOCIALE, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE. In via riconvenzionale, la RAGIONE_SOCIALE chiedeva condannarsi la RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni in proprio favore, quantificandoli in € 11.000,00, pari all’importo arbitrariamente preteso dalla intimante.
Anche con riguardo al giudizio n. 327/13 la COGNOME sosteneva che i canoni erano stati corrisposti fino a tutto luglio 2010, e che per la restante parte dovevano intendersi compensati con il debito di € 1.500,00 che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva nei confronti di COGNOME NOME (suo padre e socio della RAGIONE_SOCIALE), che aveva provveduto a corrispondere il predetto importo a tale AVV_NOTAIO NOME COGNOME per conto della predetta RAGIONE_SOCIALE, in relazione alla regolarizzazione dell’emungimento delle acque da pozzo artesiano nei terreni di proprietà delia RAGIONE_SOCIALE
Il Giudice rigettava la richiesta di convalida di sfratto, disponeva ii mutamento di rito e riuniva i due procedimenti.
La causa veniva istruita a mezzo di acquisizione documentale, interrogatorio delle parti e prova per testi.
Il Tribunale di Trani con sentenza n. 123/2018 dichiarava risolti entrambi i contratti di locazione di cui sopra per grave inadempimento
della conduttrice NOME, che veniva condannata al rilascio degli immobili e al pagamento delle spese di lite.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello la COGNOME, nella predetta qualità, che eccepiva: a) la nullità della sentenza per omessa lettura del dispositivo in udienza; b) la nullità della sentenza ‘limitatamente al capo della sentenza non letto alla pubblica udienza relativo alla “condanna di COGNOME NOME a pagare alla RAGIONE_SOCIALE la somma complessiva di € 11.500, 00, a titolo di canoni di locazione scaduti a non pagati, contenuto nel decreto di correzione di errore materiale del 19 ottobre 2018′; c) erroneità della sentenza nel merito. Chiedeva: in via preliminare, la sospensione deli efficacia esecutiva della sentenza impugnata e la sua integrale riforma nel merito, con accoglimento delle conclusioni rassegnate in via riconvenzionale nei giudizi innanzi al Tribunale di Trani poi riuniti e di cui alla sentenza impugnata.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE, che contestava la fondatezza dell’impugnazione, ex adverso proposta, della quale chiedeva il rigetto con conferma della sentenza impugnata; con appello incidentale, nell’ipotesi di accoglimento del motivo relativo alla nullità delia sentenza per integrazione del dispositivo, chiedeva che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, la RAGIONE_SOCIALE fosse condannata al pagamento dei canoni di locazione nella misura di € 11.500,00 oltre interessi di mora dalia scadenza e fino al soddisfo.
La Corte d’appello di Bari: dapprima, con ordinanza, disponeva la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata; e, poi, con sentenza n. 466/2021:
confermava la propria competenza funzionale (con esclusione di quella della sezione specializzata agraria);
in limitato accoglimento dell’appello principale, dichiarava la nullità del capo del dispositivo della sentenza di primo grado, come
integrato con provvedimento 19 ottobre 2018 del Tribunale, concernente la condanna della COGNOME al pagamento dei canoni;
in accoglimento dell’appello incidentale, condannava la RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore della società RAGIONE_SOCIALE della somma complessiva di euro 11.500,00 oltre accessori come per legge, con distrazione in favore del procuratore antistatario.
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso l’RAGIONE_SOCIALE, articolando tre motivi.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte mentre il Difensore di parte ricorrente ha depositato nota con la quale ha richiamato il contenuto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è improcedibile.
A norma dell’ art. 369 c.p.c., il ricorso per cassazione deve essere depositato nella cancelleria della S.C., a pena di improcedibilità, «nel termine di giorni venti dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto».
Unitamente al ricorso de v’essere depositata , sempre a pena di improcedibilità, giusta il disposto del n. 2 del secondo comma del medesimo art. 369 cit., la «copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta».
Scopo di tale obbligo di deposito è quello di consentire alla Corte di controllare la tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione (giacché, come è noto, una volta che sia stata effettuata la notifica della sentenza, il ricorrente deve rispettare il c.d. «termine breve» di impugnazione del provvedimento) a tutela dell’interesse di carattere pubblicistico (e quindi indisponibile per le parti) al rispetto del vincolo della cosa giudicata formale.
Le Sezioni Unite (Cass. Sez. Un., n. 21349 del 2022) hanno precisato che, nel giudizio di cassazione, è esclusa la dichiarazione di improcedibilità ex art. 369, comma 2, n. 2), c.p.c., quando l’impugnazione sia proposta contro una sentenza notificata, di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica (o le copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notifica a mezzo EMAIL), ove tale documentazione risulti comunque nella disponibilità del giudice, per essere stata prodotta dal cont roricorrente nel termine di cui all’art. 370, comma 3, c.p.c., ovvero acquisita – nei casi in cui la legge dispone che la cancelleria provveda alla comunicazione o alla notificazione del provvedimento impugnato (da cui decorre il termine breve per impugnare ex art. 325 c.p.c.) mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio.
Ma nella specie ciò non ricorre.
D’altro canto, non può essere applicato nella specie il principio di diritto, affermato fin da Cass. n. 17066 del 2013, secondo il quale: <>.
Nel caso di specie, infatti, la sentenza impugnata è stata depositata in Cancelleria il 16 marzo 2021, mentre il ricorso è stato
notificato il 27 luglio 2021, quando il termine di sessanta giorni dalla data di pubblicazione era irrimediabilmente spirato.
Il ricorso, pertanto, è improcedibile.
Il ricorso, se mai fosse procedibile, sarebbe comunque inammissibile.
2.1. Invero, RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE con il primo motivo denuncia <> nella parte in cui la corte territoriale, in tesi difensiva, ha omesso di considerare <>.
Sottolinea che i beni oggetto dei due contratti di affitto per cui è stato giudizio di merito appartengono a COGNOME NOME, suo padre, che ne dispone dal 1980; e che il motivo che ha generato la controversia non è la morosità, ma lo spirito di ripicca che i fratelli NOME e NOME hanno nei confronti di loro padre.
Si duole che la corte territoriale, rovesciando la sentenza del giudice di primo grado, ha ritenuto non provata la fittizieità della intestazione, affermando (p. 3) <>
In definitiva, secondo parte ricorrente, RAGIONE_SOCIALE: non ha alcun legittimo interesse da tutelare con lo strumento processuale dello sfratto per morosità; non ha mai corrisposto il prezzo di beni a seguito dell’atto di compravendita degli stessi; non ha mai avuto la disponibilità dei beni oggetto di sfratto pur essendone apparentemente proprietaria.
E l’ animus dell’intimante sarebbe guidato esclusivamente dalla forte diatriba familiare esistente tra lei ed i suoi fratelli.
Il motivo è inammissibile sotto plurimi profili.
In primo luogo, perché denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, ma tanto fa inammissibilmente, in quanto pretende di considerare un fatto ciò che tale non è: il preteso carattere fittizio dell’acquisto della proprietà dei beni locati da parte della locatrice.
Non solo: invece di individuare il preteso fatto come emergente dal giudizio di merito e non considerato, evoca – pag. 21 – risultanze probatorie che dovrebbero evidenziarlo, tra l’altro senza rispettare l’art. 366 n. 6 e del tutto genericamente.
Inoltre, se anche il preteso fatto fosse tale, la corte territoriale l’ha considerato e ne ha ritenuto l’irrilevanza, sulla base della sostanziale evocazione del principio per cui <>.
Infine, la Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, non ha affatto omesso l’esame di alcun fatto storico, principale o secondario, controverso tra le parti e decisivo per il giudizio; ma ha semplicemente valutato le prove acquisite secondo il suo prudente apprezzamento, dando poi adeguata contezza delle conclusioni raggiunte.
Occorre qui ribadire che le risultanze probatorie vanno valutate nella loro globalità, nel loro insieme; e che il giudice di merito non è tenuto a compiere in sentenza un’analisi di tutte le deduzioni delle parti e di tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che egli, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del proprio convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente.
Tanto è avvenuto nel caso di specie nel quale la Corte territoriale – dopo aver confermato la fondatezza soltanto parziale dell’eccezione
di prescrizione del credito della RAGIONE_SOCIALE, <>, tale essendo l’oggetto del giudizio in concreto incardinato (non l’effettiva titolarità giuridica del bene) – ha ritenuto non provato l’avvenuto pagamento di somme da parte di quest’ultima (per effetto del deposito delle fatture in fotocopia, della nota denominata ‘cessione di credito’, nonché della nota del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e della fotocopia dell’assegno ad essa acclusa); ed ha per l’effetto condannato la COGNOME, nella sua qualità, al pagamento dei canoni scaduti e non corrisposti.
2.2. Con il secondo motivo l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 primo comma n.,3 c.p.c., nella parte in cui (p. 5 dal primo al diciasettesimo rigo) non ha posto a fondamento della propria decisione una serie di circostanze ampiamente provate sia in punto di difetto di legittimo interesse in capo alla società RAGIONE_SOCIALE (essendo i beni giunti a detta società mediante trasferimenti fittizi) che in punto di sussistenza della debitoria (non sussistendo le asserite morosità né con riguardo al capannone e neppure con riguardo alla palazzina di INDIRIZZO).
Si duole che la corte territoriale non ha posto a fondamento della decisione circostanze non contestate (se non tardivamente e in maniera generica) e rilevanti (quale l’avvenuta cessione di credito, sicché l’esistenza di tale operazione non avrebbe potuto essere posta in discussione).
Osserva che l’unico documento disconosciuto è quello relativo alla copia del bilancio della RAGIONE_SOCIALE che attestava la cessione di credito da parte di RAGIONE_SOCIALE alla sua RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ma tale disconoscimento era fine a sé stesso, in quanto lei non avrebbe mai potuto produrre l’originale, essendo in possesso della stessa società che aveva formulato il disconoscimento, per cui la controparte, se avesse voluto
dare supporto alla sua contestazione, avrebbe dovuto produrre l’originale, cosa che invece non fece.
In definitiva, secondo l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente, la corte territoriale è incorsa nel vizio denunciato in quanto non ha posto a fondamento della propria decisione, oltre alle prove acquisite nel corso dell’attività istruttoria, tutte le circostanze che erano rimaste non contestate e che erano state da lei evidenziate nel ricorso in appello.
Anche questo motivo è inammissibile.
Invero, la complessa doglianza, in esso esposta, non risponde ai paradigmi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.
Infatti, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 cod. proc. civ., che non a caso è dedicato alla valutazione delle prove; si veda Cass. n. 11892 del 2016, il cui consolidato principio di diritto, già ripetuto da Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto, è stato ribadito in massima, da Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020).
La violazione dell’art. 116 c.p.c. non è dedotta secondo i criteri indicati dalla citata Cass. n. 11892 del 2016 (secondo cui: <>), ribaditi dalle citate decisioni delle Sezioni Unite.
In definitiva, la violazione del 115 e 116 non è dedotta secondo i criteri indicati consolidata giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite.
2.3. Con il terzo motivo l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione delle norme in tema di prescrizione in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. nella parte in cui (pag. 5 da rigo 18 a rigo 28) l’ha condannata al pagamento dei canoni scaduti e non corrisposti per un totale di euro 11.500; e, condividendo la prospettazione del Tribunale di Trani, ha ritenuto che la prescrizione sia stata interrotta dagli atti di citazione per convalida di sfratto con contestuale ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti, senza considerare che detti atti erano circoscritti alle annualità 2009 e 2010, con la conseguenza che con riferimento ai canoni relativi alle annualità fino al 2008 era indubbiamente intervenuta la prescrizione.
In definitiva, secondo l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente, a tutto voler concedere, le annualità 2006, 2007 e 2008 non sarebbero dovute né per il contratto stipulato il 1° gennaio 2003 e neppure per quello stipulato il 1° novembre 2006, in quanto i relativi canoni sarebbero stati richiesti per la prima volta con gli atti di citazione per convalida di sfratto notificati in data 28 febbraio 2013, quando era ampiamento decorso il termine quinquennale di prescrizione.
Il motivo è inammissibile.
L’inammissibilità consegue alla violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c., dato che parte ricorrente fonda il motivo sugli atti di intimazione di sfratto (e particolarmente su quello del 2010), ma omette di riprodurne il contenuto per la parte che dovrebbe sorreggere il motivo ed inoltre omette di localizzare l’atto del 2010 in questo giudizio di legittimità.
Inoltre, parte ricorrente contesta sostanzialmente al giudice di merito di avere erroneamente ravvisato, nella situazione di fatto in concreto accertata, l’avvenuta decorrenza del termine prescrizionale in relazione alle annualità 2006, 2007 e 2008, ma tanto fa inammissibilmente, in quanto detta valutazione comporta, non un giudizio di diritto, ma un giudizio di fatto, da impugnarsi, se del caso, sotto il profilo del vizio di motivazione.
3 . All’improcedibilità del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
dichiara improcedibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 2.300 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2024, nella camera di consiglio